Sentenza N. 4 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
19/02/1965
Data deposito/pubblicazione
19/02/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/02/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
158 del R. D. 4 febbraio 1915, n. 148, dell’art. 22 del R.D. 3 marzo
1934, n. 383, e dell’art. 10 del D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, promossi
con le seguenti ordinanze:
1) 18 dicembre 1963, emessa dal Pretore di San Cipriano Picentino
nel procedimento penale a carico di Fortunato Scipione, iscritta al n.
14 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, n. 54 del 29 febbraio 1964;
2) 14 gennaio 1964, emessa dal Pretore di Moncalieri nel
procedimento penale a carico di Dotta Carlo, iscritta al n. 16 del
Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 54 del 29 febbraio 1964;
3) 15 marzo 1964, emessa dal Pretore di Serramanna nel procedimento
penale a carico di Spiga Simone, iscritta al n. 68 del Registro
ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
n. 126 del 23 maggio 1964.
Udita nella camera di consiglio del 22 ottobre 1964 la relazione
del Giudice Michele Fragali.
1. – I Pretori di San Cipriano Picentino, Moncalieri e Serramanna,
con ordinanze rispettivamente del 18 dicembre 1963, 14 gennaio 1964 e
15 marzo 1964, hanno proposto a questa Corte questione di legittimità
costituzionale degli artt. 8 e 158 del R. D. 4 febbraio 1915, n. 148,
contenente il testo unico della legge comunale e provinciale. Il
Pretore di Moncalieri e quello di Serramanna hanno pure denunciato
l’illegittimità dell’art. 22 del T. U. della stessa legge approvato
con R. D. 3 marzo 1934, n. 383, modificato dalla legge 27 giugno 1942,
n. 851, e della legge 9 giugno 1947, n. 530; il Pretore di Moncalieri
ha infine impugnato l’art. 10 del D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203.
Le norme denunciate stabiliscono che, senza autorizzazione del Capo
dello Stato, accordata previo parere del Consiglio di Stato, non può
procedersi per fatto commesso dal prefetto e dal sindaco; e
nell’ordinanza del Pretore di San Cipriano Picentino si fa riferimento
agli artt. 28 e 3 della Costituzione, in quella del Pretore di
Moncalieri soltanto all’art. 28, e nell’altra del Pretore di Serramanna
agli artt. 3, 28, 104 e 112.
2. – L’ordinanza del Pretore di San Cipriano Picentino rileva che
l’istituto della garanzia amministrativa, regolato dalle norme
denunciate, appare in contrasto con il principio della eguale e diretta
responsabilità dei pubblici funzionari sancito dall’art. 28 della
Costituzione. Non sembra decisivo opporre che questa norma riporta tale
responsabilità alle leggi civili, penali ed amministrative, perché il
rinvio non consente alla legge una assoluta libertà di
regolamentazione del principio costituzionale. Il carattere
incondizionato della responsabilità è determinato dall’avverbio
“direttamente” contenuto nel suddetto art. 28, e l’unico presupposto
della stessa può essere soltanto l’esistenza di un illecito; la
garanzia amministrativa interrompe il nesso di conseguenzialità fra
illecito e sanzioni, sulla base di considerazioni attinenti
esclusivamente alla qualità del soggetto attivo del reato. Ne deriva
anche la violazione del principio di eguaglianza sancito nell’art. 3
della Costituzione, sia nel rapporto tra la responsabilità
incondizionata di tutti i cittadini e la più favorevole posizione dei
sindaci e prefetti, sia nel rapporto tra questa posizione e la
responsabilità di altri titolari di pubbliche funzioni, con
conseguente ingiustificata disparità di trattamento. La esistenza di
ipotesi di autorizzazione a procedere, nella Costituzione e in leggi
costituzionali, non legittima le norme impugnate, perché le ipotesi
predette concretano forme di tutela della piena autonomia di organi
costituzionali.
A sua volta, il Pretore di Moncalieri si limita a ricordare la
sentenza di questa Corte 18 giugno 1963, n. 94, che dichiarò
illegittimo l’art. 16 del Codice di procedura penale, ove si prevedeva
l’autorizzazione a procedere per i reati commessi in servizio di
polizia.
Infine il Pretore di Serramanna, ripetuto che le disposizioni
denunciate violano il principio della diretta responsabilità dei
funzionari, osserva che tale effetto non è escluso dal carattere
processuale del particolare presupposto, e che, per quanto la norma
possa essere stata dettata, non per stabilire un privilegio, ma a
tutela della funzione, non resta impedito che essa incida sulla
eguaglianza dei soggetti nei confronti del principio di responsabilità
per gli atti commessi in violazione dei diritti, tenuto conto che la
funzione è sufficientemente tutelata dalle esimenti di carattere
sostanziale contenute nell’art. 51 del Codice penale. Secondo il
Pretore di Serramanna, l’eccezione al principio di eguaglianza non
trova fondamento in un’effettiva diversità di situazioni oggettive e
soggettive; le altre ipotesi di autorizzazione a procedere previste
dalla Costituzione e da leggi costituzionali sono di indole
eccezionale; le norme sulla garanzia amministrativa infine contrastano
con il principio della indipendenza della Magistratura da ogni altro
potere e con l’obbligo del P. M. di promuovere l’azione penale, perché
condizionano questo dovere alla valutazione di organi estranei al
potere giudiziario.
3. – Le ordinanze suddette sono state notificate come appresso:
quella del Pretore di San Cipriano Picentino all’imputato il 7 gennaio
1964, al P. M. e al Presidente del Consiglio dei Ministri
rispettivamente il 2 e il 18 dello stesso gennaio; quella del Pretore
di Moncalieri all’imputato il 24 gennaio 1964, al P. M. e al Presidente
del Consiglio dei Ministri rispettivamente il 22 e il 21 dello stesso
gennaio; quella del Pretore di Serramanna all’imputato e al P. M. il 20
marzo 1964, al Presidente del Consiglio dei Ministri il 23 dello stesso
marzo.
Le ordinanze sono state rispettivamente comunicate ai Presidenti
delle Camere il 31 dicembre 1963, il 18 gennaio 1964 e il 16 marzo 1964
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54 del 29
febbraio 1964 le prime due, e n. 126 del 23 maggio 1964 la terza.
Innanzi alla Corte non v’è stata costituzione di parti; il
Presidente del Consiglio dei Ministri non è intervenuto.
1. – I tre giudizi possono riunirsi, vertendo tutti sulla
legittimità costituzionale delle norme che accordano ai prefetti, a
chi ne fa le veci e ai sindaci la c.d. garanzia amministrativa.
2. – La Corte è convinta che tali norme non si confanno con il
precetto contenuto nell’art. 28 della Costituzione: corroborano questo
suo giudizio gli stessi argomenti esposti nella sentenza del 6 giugno
1963, n. 94, a proposito dell’analoga garanzia che l’art. 16 del Codice
di procedura penale aveva previsto per i reati commessi in servizio di
polizia.
Come altra volta si è avvertito (sentenza 23 gennaio 1962, n. 1),
è in contrasto con il precetto fondamentale contenuto nell’art. 28
della Costituzione la legge che, della responsabilità quivi regolata,
adottasse una disciplina tale da comportarne una esclusione più o meno
manifesta. Ora, il subordinare ad una autorizzazione amministrativa
l’attuazione di quella responsabilità è renderne possibile l’esonero
discrezionale, perché discrezionalmente deve in tal caso esserne
consentito l’esperimento; il che segnatamente non è permesso
prescrivere in materia penale, essendo eccezionalmente dettati, e da
norme costituzionali, i casi di deroga al principio
dell’obbligatorietà dell’azione del P. M.. Né viene meno la detta
discrezionalità ove, come nel caso del prefetto e del sindaco, la
legge ordinaria disponga che l’autorizzazione deve essere accordata
previo parere del Consiglio di Stato: questo organo supremo,
nell’esprimere il suo avviso, non esplica una attività vincolata. Ed
ove si osservi che, quando non si ritenesse di seguire tale avviso,
deve essere sentito il Consiglio dei Ministri, s’intende meglio come il
procedimento di autorizzazione risulti inquadrato in un sistema
suscettibile di provocare la insindacabile liberazione da quella
responsabilità. Ciò a parte il fatto che le norme predette, nella
sostanza, attribuiscono all’autorità amministrativa il potere di
sottrarre a quella giurisdizionale, mediante il diniego
dell’autorizzazione, il giudizio sulla responsabilità del funzionario
o del dipendente e quindi ex art. 28, secondo comma, della
Costituzione, anche sulla sua responsabilità; un giudizio cioè al
quale la stessa Amministrazione è interessata e che, per il suo
oggetto e per la sua natura, implica esercizio di giurisdizione, quindi
di funzione del tutto estranea alla sfera amministrativa (artt. 102 e
103 della Costituzione).
Non è rilevante obiettare che la c.d. garanzia amministrativa
intende tutelare la funzione del prefetto, di chi ne fa le veci e del
sindaco contro azioni inconsulte la cui proposizione ne lederebbe il
prestigio, e che vuole essere un mezzo per permettere di valutare il
comportamento di quei funzionari nel rispetto delle attribuzioni di
ciascuno e della discrezionalità che doveva eventualmente esercitarsi.
Spetta all’autorità giurisdizionale riconoscere la temerarietà o la
pretestuosità di singole azioni; e peraltro un sistema, come quello in
vigore, in cui l’osservanza del limite della competenza e della
discrezionalità amministrativa è assicurata, a seconda delle ipotesi,
dalle norme concernenti il regolamento delle attribuzioni e dalle altre
che, nel Codice di procedura civile (art. 295) e in quello di procedura
penale (art. 20), governano la sospensione del processo in relazione
all’insorgere di pregiudiziali amministrative, il preordinamento di una
ulteriore garanzia a favore del prefetto, di chi ne fa le veci e del
sindaco, posto in confronto al principio di parità proclamato
nell’art. 3 della Costituzione, appare irrazionalmente distintivo,
atteso che altri funzionari amministrativi svolgono compiti non meno
elevati e importanti di quelli spettanti al prefetto e al sindaco,
ugualmente implicativi di estesi poteri discrezionali.
Deve perciò pronunziarsi l’illegittimità costituzionale dell’art.
158 della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148, e
dell’art. 22 del T.U. della stessa legge, approvato con R.D. 3 marzo
1934, n. 383.
Essi debbono dichiararsi illegittimi anche in quanto dispongono che
il prefetto, chi ne fa le veci e il sindaco non possono essere chiamati
a rendere conto dell’esercizio delle loro funzioni fuorché dalla
superiore autorità governativa: la disposizione, mentre contiene la
premessa di quella che prevede l’autorizzazione amministrativa, può
avere valore a sé stante, in quanto si risolve anche essa nel negare
all’autorità giurisdizionale ogni attribuzione in merito alla
responsabilità di quei due funzionari.
3. – Le ordinanze dei Pretori di Moncalieri e di Serramanna
denunciano anche l’art. 8 del T.U. 4 febbraio 1915, n. 148.
Ma non è il caso di dichiararne l’illegittimità costituzionale,
perché esso è stato assorbito nell’art. 22 del T.U. 3 marzo 1934, n.
383, e perciò deve intendersi riferito a questo il richiamo contenuto
nell’art. 158 del T.U. del 1915.
Il Pretore di Moncalieri fa richiamo altresì alle modificazioni
apportate al T.U. del 1934 con le leggi 27 giugno 1942, n. 851, e 9
giugno 1947, n. 530, nonché con l’art. 10 del D.P.R. 5 aprile 1951, n.
203. Tali modifiche, però, o non riguardano le norme concernenti la
garanzia amministrativa (legge 27 giugno 1942, n. 851), o rinviano
genericamente al T.U. 4 febbraio 1915, n. 148 (legge 9 giugno 1947, n.
530; D.P.R. 5 aprile 1951, n. 203): perciò non possono essere oggetto
di pronunzia da parte di questa Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
decidendo con unica sentenza nei giudizi di legittimità
costituzionale proposti con le ordinanze indicate in epigrafe,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 158 del T.U.
della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148, e dell’art.
22 del T.U. della stessa legge approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 febbraio 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.