Sentenza N. 4 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
22/01/1970
Data deposito/pubblicazione
22/01/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/01/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
– Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI
– Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
231, primo comma, 398, secondo comma, e 409 (in relazione all’art. 148,
terzo comma, seconda parte) del codice di procedura penale, promossi
con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 6 marzo 1968 dal pretore di Roma nel
procedimento penale a carico di Valentini Fernando, iscritta al n. 81
del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 152 del 15 giugno 1968;
2) ordinanza emessa il 14 maggio 1968 dal pretore di Roma nel
procedimento penale a carico di La Sorsa Cordelia ed altri, iscritta al
n. 192 del registro ordinanze 1968 è pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 261 del 12 ottobre 1968;
3) ordinanza emessa il 23 gennaio 1969 dal pretore di Torino nel
procedimento penale a carico di Ferraris Roberto, iscritta al n. 64 del
registro ordinanze 1969 è pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969.
Visti gli atti di costituzione di Valentini Fernando e d’intervento
del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 novembre 1969 il Giudice
relatore Paolo Rossi;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco
Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso del processo penale a carico di Valentini Fernando
il pretore di Roma, con ordinanza 6 marzo 1968, ha sollevato,
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 231 e 398 del codice di
procedura penale in quanto le espressioni “che reputa necessari” (art.
231) e “può compiere” (art. 398) autorizzano il pretore a compiere o
meno atti di istruzione sommaria nei procedimenti per reati di sua
competenza.
Si assume nell’ordinanza che la discrezionalità così lasciata al
pretore può risolversi in violazione del principio consacrato
nell’art. 24 della Costituzione togliendo al prevenuto il mezzo di
conoscere tempestivamente le accuse mossegli, di presentare difese e
d’ottenere il proscioglimento in fase istruttoria. Anche il principio
più generale dell’art. 3 della Costituzione potrebbe essere violato
per l’eventuale diverso uso delle facoltà consentite dagli artt. 231 e
398 del codice di procedura penale nei confronti di soggetti che pur si
trovino in situazioni analoghe.
Il pretore di Roma ha sollevato altresì la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 409 del codice di procedura
penale in relazione all’art. 148, terzo comma, parte seconda, stesso
codice, con riferimento all’art. 111, primo comma, della Costituzione,
osservando che le norme impugnate consentono che il decreto di
citazione a giudizio dell’imputato non sia motivato, contro il
principio costituzionale secondo cui “tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati”.
Il giudice a quo ha infine denunciato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 225 del codice di procedura penale, per
contrasto con l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte
in cui con l’inciso “per quanto è possibile” ha consentito che non si
ritenessero applicabili anche al c.d. esame del sospettando da parte
degli ufficiali di polizia giudiziaria, le disposizioni di cui agli
artt. 304 e 304 quater del codice di procedura penale, relative
all’interrogatorio dell’imputato.
2. – Nel corso del procedimento penale a carico di La Sorsa
Cordelia ed altri, il pretore di Roma, con ordinanza del 14 maggio
1968, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli
artt. 231, primo comma, e 398, secondo comma, del codice di procedura
penale nei medesimi limiti sopra precisati, in riferimento agli stessi
artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione.
3. – Nel corso del procedimento penale a carico di Ferraris
Roberto, il pretore di Torino, con ordinanza del 23 gennaio 1969, ha
sollevato la questione di legittimità da ultimo ricordata, in termini
sostanzialmente analoghi.
La prima ordinanza è stata ritualmente notificata, comunicata è
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1968.
In questa sede sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, mediante
atto depositato il 5 luglio 1968 e l’avvocato Enzo Gaito,
nell’interesse dell’imputato Valentini Fernando, con atto depositato il
19 giugno 1968.
L’Avvocatura dello Stato ha rilevato:
a) che la prima questione deve ritenersi certamente infondata
perché dichiarata tale dalla Corte costituzionale, una prima volta con
la sentenza n. 46 del 1967 e successivamente con l’ordinanza n. 4 del
1968;
b) che ugualmente infondata appare la questione concernente
l’assenza di motivazione del decreto di citazione a giudizio, perché
da un lato, essendo atto meramente strumentale, non manifesta un
contenuto giurisdizionale, e, d’altro canto, alla stregua dei
precedenti giurisprudenziali della Corte costituzionale (sentenza n.
119 del 1957), risulta che l’obbligo della motivazione è sancito al
fine principale “di rendere più penetrante è più efficace il
sindacato del provvedimento in caso di impugnazione”, scopo in
relazione al quale non può certamente pretendersi l’estensione del
principio all’ipotesi del decreto di citazione in giudizio;
c) che nemmeno la terza questione si palesa fondata; invero la
denuncia dell’art. 225 del codice di procedura penale appare in primo
luogo inammissibile, posto che la norma trova applicazione nella
fattispecie dell’interrogatorio sommario della persona arrestata in
flagranza di reato, e tale non è il caso ricorrente nel procedimento
nel quale la norma è stata denunciata; in secondo luogo la riserva in
essa contenuta, alla stregua della quale le norme relative
all’interrogatorio dell’imputato si applicano solo “per quanto
possibile”, trova giustificazione nella circostanza che si tratta di un
atto di polizia giudiziaria assunto, il più delle volte, quando
l’azione penale non è stata iniziata e la competenza non è stata
ancora individuata.
La parte privata si è limitata a far proprie le argomentazioni
svolte dal giudice a quo per quanto attiene alla prima e alla terza
questione sollevata, aggiungendo, in ordine alla seconda (art. 409 del
codice di procedura penale) che, poiché il decreto di citazione a
giudizio presuppone il convincimento della sussistenza di sufficienti
elementi probatori a carico del prevenuto, esso contiene una volontà
decisoria identica a quella propria della sentenza di rinvio a
giudizio, sicché, come questa, deve anch’esso esser motivato.
Risultano altresì ritualmente comunicate e pubblicate la seconda e
la terza ordinanza di remissione, sopra indicate.
Le questioni sollevate dalle tre ordinanze dei pretori di Roma e di
Torino coincidono completamente per quanto riguarda gli artt. 231 e 398
del codice di procedura penale. Le cause devono, quindi, venir riunite
e decise con unica sentenza.
All’esame della Corte le questioni si presentano nei seguenti
termini:
1) Se il potere di compiere i soli atti istruttori che reputi
necessari, attribuito discrezionalmente al pretore dagli artt. 231,
primo comma (nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della legge
5 dicembre 1969, n. 932), e 398, secondo comma, del codice di
procedura penale, non costituisca violazione degli artt. 24, secondo
comma, e 3 della Costituzione, in quanto consente al pretore di non
contestare il fatto all’imputato e di non interrogarlo prima di
emettere il decreto di citazione a giudizio, con la possibilità di
procedere in maniera diversa nei confronti di soggetti versanti in
uguali condizioni.
2) Se l’articolo 225 del codice di procedura penale (nel testo
vigente prima della citata legge 5 dicembre 1969, n. 932), disponendo
che nei casi di flagranza o di urgenza gli ufficiali di polizia possono
procedere a sommario interrogatorio dell’arrestato, sommarie
informazioni testimoniali, nonché ad atti di ricognizione ispezione o
confronto, osservate solo “per quanto è possibile” le norme
sull’istruzione formale, non contrasti con il principio sancito
dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione, secondo cui la difesa
è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
3) Se l’art. 409 del codice di procedura penale, non comprendendo
tra i requisiti del decreto di citazione in giudizio davanti al pretore
l’obbligo di indicarne i motivi, non contrasti con il principio sancito
nell’art. 111 della Costituzione, per cui tutti i provvedimenti
giurisdizionali devono essere motivati.
Nessuna delle questioni può trovare accoglimento.
1) Sulla prima questione (artt. 231 e 398 del codice di procedura
penale; artt. 24 e 3 della Costituzione) la Corte si è già
ripetutamente pronunciata con la sentenza n. 46 del 1967 e con
l’ordinanza n. 4 del 1968, né sono stati dedotti motivi che inducano a
diverso avviso.
2) La seconda questione (art. 225 del codice di procedura penale;
art. 24 della Costituzione) è venuta a cadere con la sentenza di
questa Corte n. 86 del 1968 che dichiarò appunto la illegittimità
costituzionale degli artt. 225 e 232 del codice di procedura penale,
nella parte in cui consentivano, nelle indagini di polizia ivi
previste, il compimento di atti istruttori senza l’applicazione degli
artt. 390, 304 bis, ter, quater del codice di procedura penale.
3) La terza questione è infondata. In dottrina si suole
distinguere tra provvedimenti giurisdizionali soggetti all’obbligo
della motivazione (art. 111, primo comma, Costituzione) e provvedimenti
ordinatori, nei quali si potrebbe far rientrare il decreto di citazione
davanti al pretore che non ha alcun carattere decisorio. È certo
comunque che il decreto di citazione a giudizio, avente i soli scopi di
contestazione dell’accusa e di assegnazione di termini processuali, non
può essere motivato altrimenti che in funzione di tali scopi. E deve
ritenersi che esso rispetta il principio costituzionale sancito
dall’art. 111, primo comma, quando contiene l’enunciazione del fatto
contestato, del titolo del reato, degli articoli di legge applicabili
ed indica altresì i testimoni a carico e discarico che il giudice
reputa utili per l’accertamento della verità.
L’intrinseca garanzia dei diritti di difesa dell’imputato nei
processi davanti al pretore si rinviene nell’art. 398 del codice di
procedura penale, così come esso deve leggersi dopo le sentenze n. 33
del 1966 e n. 151 del 1967.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 231, primo comma (testo antecedente alla
legge 5 dicembre 1969, n. 932) e 398, secondo comma, del codice di
procedura penale, sollevata dal pretore di Roma con ordinanze del 6
marzo 1968 e del 14 maggio 1968 nonché dal pretore di Torino con
ordinanza 23 gennaio 1969, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo
comma, della Costituzione;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 225 del codice di procedura penale (testo
antecedente alla citata legge 5 dicembre 1969, n. 932), sollevata,
limitatamente all’inciso “per quanto è possibile” dall’ordinanza 6
marzo 1968 del pretore di Roma, in riferimento all’art. 24, secondo
comma, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 409 del codice di procedura penale, sollevata dall’ordinanza
6 marzo 1968 del pretore di Roma, in riferimento all’art. 111, primo
comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.