Sentenza N. 40 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
31/05/1965
Data deposito/pubblicazione
31/05/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/05/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI
– Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, promosso con
ordinanza emessa il 20 marzo 1964 dalla Corte dei conti – Sezione III
giurisdizionale – su ricorso proposto dall’Ospedale civile Vittorio
Emanuele Il di Catania contro il Ministero del tesoro, iscritta al n.
105 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ospedale civile
Vittorio Emanuele Il di Catania e del Ministero del tesoro;
udita nell’udienza pubblica del 17 febbraio 1965 la relazione del
Giudice Michele Fragali;
uditi gli avvocati Paolo Torrisi e Domenico Schiavone, per
l’Ospedale, ed il vice avvocato generale dello Stato Giorgio Macioti,
per il Ministero del tesoro.
1. – Ai fini della decisione di un ricorso proposto dall’Ospedale
civile Vittorio Emanuele Il di Catania contro il Ministero del tesoro,
direzione generale degli istituti di previdenza, in opposizione a
decreti ministeriali che avevano ripartito il carico della pensione di
quiescenza relativa ad alcuni salariati dell’Ospedale, la Corte dei
conti (ordinanza 20 marzo 1964 della III sezione giurisdizionale) ha
mosso dubbi sulla legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35,
ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, in relazione
all’art. 3 della Costituzione. L’art. 34 della predetta legge del 1962
dispone che i salariati degli enti locali i quali, anteriormente al 1
gennaio 1938, abbiano prestato soltanto servizio senza obbligo di
iscrizione e senza iscrizione facoltativa e successivamente abbiano
conseguito nomina regolare, debbono essere iscritti alla rispettiva
Cassa di previdenza soltanto se, ai fini della loro iscrizione
obbligatoria, in base alle norme in vigore alla data di assunzione, era
richiesto unicamente il requisito della nomina regolare. Il successivo
art. 35, ultimo comma, dà a tale disposizione valore di
interpretazione autentica di quella precedente, contenuta nell’art. 34
della legge 24 maggio 1952, n. 610, che, a sua volta, con norma pure
espressamente qualificata interpretativa dell’art. 5, ultimo comma,
della legge 25 luglio 1941, n. 934, aveva affermato essere obbligatoria
l’iscrizione predetta a decorrere dalla data d’assunzione, per i
salariati che, anteriormente al 1 gennaio 1938, avessero prestato
soltanto servizi senza obbligo di iscrizione e senza iscrizione
facoltativa e che successivamente avessero conseguito nomina regolare
pur se avente carattere temporaneo.
La Corte dei conti ha considerato che la norma denunciata
unicamente mira ad escludere dalla iscrizione obbligatoria i salariati
dipendenti dalle istituzioni di assistenza e beneficenza, per i quali,
come condizione per la partecipazione obbligatoria alla cassa di
previdenza, era richiesto, oltre il requisito della nomina regolare,
anche il diritto ad acquistare la stabilità. Essa pertanto, più che
interpretare la precedente legge del 1952, che era in armonia con la
posizione previdenziale del personale in questione determinata dalle
disposizioni precedenti e in particolare dal citato art. 5 della legge
25 luglio 1941, n. 934, ha introdotto una nuova situazione normativa
modificando quella posizione; di tal che l’affermazione legislativa che
la norma nuova ha valore di interpretazione autentica appare soltanto
un espediente per attribuire al suo dettato una efficacia retroattiva.
La Corte ha soggiunto che la norma denunciata è venuta a peggiorare la
posizione di una categoria di salariati, i quali erano in condizioni
soggettive ed oggettive identiche agli altri non esclusi; e ha in tal
modo determinato una palese disparità di trattamento tra i salariati
degli enti locali, a seconda che il loro collocamento a riposo fosse
avvenuto prima o dopo la sua entrata in vigore.
L’ordinanza è stata notificata alle parti, al Procuratore generale
della Corte dei conti e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 25
maggio 1964; è stata comunicata ai Presidenti delle Camere il 5 giugno
successivo. È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 157 del 27 giugno 1964.
Si sono costituiti in giudizio tanto l’Ospedale Vittorio Emanuele
Il di Catania (15 luglio 1964) quanto il Ministero del tesoro (16
luglio 1964); non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
2. – L’Ospedale ha ribadito le osservazioni svolte dalla Corte dei
conti, ed ha specificato che questa ha fatto consistere la
contrapposizione dei salariati delle istituzioni di beneficenza e di
quelli dei comuni e delle amministrazioni provinciali, nel fatto che,
per costoro, la iscrizione era obbligatoria anche se avessero avuto
unicamente il requisito della nomina regolare, e per gli altri
occorreva invece l’ulteriore requisito della nomina con diritto alla
stabilità; la legge 24 maggio 1952, n. 610, invece aveva compreso
nell’obbligo di iscrizione entrambi i gruppi.
La norma impugnata, conclude l’Ospedale, si è perciò proposta di
creare disuguaglianza in un tempo in cui, per la legge vigente,
esisteva eguaglianza, determinando una situazione di disparità nel
seno di una stessa categoria di salariati, financo tra coloro che al
tempo della pubblicazione della legge nuova avevano avuto liquidati i
loro diritti e coloro per i quali, a quel tempo, la liquidazione era
pendente.
3. – Il Ministero del tesoro ha rilevato che la norma denunciata,
intervenendo quando era dubbio se l’art. 34 della legge 24 maggio 1952,
n. 610, potesse riferirsi ai salariati delle opere pie assunti prima
del 1 gennaio 1938 e nominati successivamente a tale data anche in via
temporanea, ha inteso determinare i requisiti richiesti
dall’ordinamento anteriore per la iscrizione alla cassa di previdenza
di quei lavoratori, che, ab initio, si erano trovati in una posizione
giuridica diversa da quella che era stata fatta agli altri salariati
degli enti locali: sotto questo profilo la questione proposta risulta
manifestamente infondata.
A volere poi ammettere che la norma impugnata abbia effettivamente
la portata che le è stata attribuita dalla Corte dei conti, la
differenza di disciplina, secondo il Ministero, non incide sul diritto
a pensione di tutti i gruppi di salariati, ma esclusivamente sulla
ripartizione fra ospedale e cassa di previdenza dell’onere concernente
il trattamento di quiescenza di alcuni dipendenti del primo e, a
prescindere dalla circostanza che l’ordinanza non investe affatto
questo problema, non è concepibile un principio di parità di
trattamento nella ripartizione di oneri economici fra enti pubblici; i
quali si pongono tutti semplicemente come gestori del pubblico danaro,
e non come portatori di interessi propri rispetto ai quali possa
concepirsi quell’esigenza di parità. La ripartizione degli oneri è
stata fatta in proporzione di periodi determinati dalla legge, e in
questa determinazione la legge non incontrava alcun limite derivante
dall’art. 3 della Costituzione, potendo essa liberamente assegnare a
ciascun ente l’onere parziale di singole erogazioni, così come
liberamente fra essi aveva distribuito le funzioni di previdenza.
Nella specie, per giunta, secondo il Ministero, l’onere non va
tutto a gravare sull’ospedale, per la quota da esso dovuta, perché è
stata fatta salva la facoltà di una sua sostituzione nei diritti
acquisiti dal lavoratore verso l’Istituto nazionale per la previdenza
sociale per il periodo non assistito da iscrizione alla cassa.
Il Ministero del tesoro aggiunge infine che non sarebbe
ingiustificata una discriminazione di trattamento fra salariati delle
opere pie e salariati degli altri enti locali: le due diverse
categorie di enti hanno differenze di struttura, di finalità e di
posizione giuridica, in funzione della maggiore o minore intensità
dell’interesse pubblico rispettivamente affidato alle cure di ciascuno,
e l’asserita disparità di trattamento dei salariati collocati a riposo
dopo la legge interpretativa e quelli liquidati anteriormente è una
conseguenza di fatto, che dovrebbe essere eliminata mercé la revisione
delle pensioni antiche.
4. – Tanto l’Ospedale quanto il Ministero del tesoro il 4 febbraio
1965 hanno depositato memorie, nelle quali hanno confermato i
rispettivi punti di vista.
L’Ospedale, per dimostrare il carattere innovativo dell’art. 34
della legge del 1962, ha ancora rilevato che esso applica “le
disposizioni della legge anteriore” solo a quei salariati, per i quali,
ai fini dell’iscrizione obbligatoria, in base alle norme in vigore alla
data di assunzione, era richiesto unicamente il requisito della “nomina
regolare”, mentre queste norme riguardavano “anche” quei salariati che,
“comunque assunti”, avevano prestato servizio senza obbligo di
iscrizione e senza iscrizione facoltativa e che successivamente avevano
conseguito nomina regolare; la legge anteriore richiede il requisito di
un’assunzione “comunque”, la legge denunciata esige il requisito
dell’assunzione “con nomina regolare”, donde ha innovato, non
interpretato.
L’innovazione riflette non soltanto il modo di ripartizione
dell’onere della pensione, ma anche il trattamento dei pensionati,
perché la norma concerne i salariati degli istituti di beneficenza
aventi servizio anteriore al 10 gennaio 1938, i quali conseguirebbero
il diritto a godere della pensione degli istituti di previdenza solo
con la nomina in pianta stabile: senza questa norma a loro
spetterebbero solo gli assegni dell’I.N.P.S. La precedente norma invece
li accomunava ai salariati degli altri enti locali.
5. – All’udienza del 17 febbraio 1965 le parti comparse
insistettero nelle loro deduzioni e ne illustrarono il contenuto.
1. – Deve anzitutto essere presa in esame la deduzione del
Ministero del tesoro per cui la Corte dei conti, dovendo decidere
soltanto sul modo di ripartire, fra l’Ospedale di Catania e la Cassa di
previdenza per i dipendenti degli enti locali, il debito inerente al
trattamento pensionistico dei salariati degli istituti di beneficenza,
non poteva ricercare se le norme regolatrici di quella ripartizione
avevano un contenuto tale da riflettere disuguaglianza di trattamento
tra tali salariati e i salariati degli altri enti pubblici locali.
Il Ministero del tesoro ritiene in sostanza che l’Ospedale non
possa far valere un diritto alla parità di trattamento con la Cassa di
previdenza, perché è erogatore di pubblico danaro in base ad una
competenza amministrativa assegnatagli nell’esercizio di un potere
discrezionale di organizzazione. Una deduzione di tale contenuto si
risolve però nel porre in dubbio il rapporto fra la questione di
legittimità costituzionale e la questione che forma oggetto del
processo a quo; quindi nel contestare che la prima sia rilevante ai
fini della decisione sulla seconda.
In argomento questa Corte deve osservare che la rilevanza della
questione di legittimità è stata affermata dalla Corte dei conti per
il modo stesso come è stata proposta (sentenza 21 giugno 1960, n. 44).
La Corte dei conti ha ritenuto che fosse necessario decidere se il
trattamento fatto dalle norme impugnate ai creditori della pensione
rispettasse il principio di eguaglianza perché ha creduto che quel
trattamento fosse la ragione del criterio adottato per la ripartizione
dell’obbligazione pensionistica fra gli enti debitori, che era la
materia sulla quale doveva pronunziarsi; aveva cioè ritenuto che, se
illegittimo fosse stato il modo di quel trattamento, illegittimo
sarebbe stato anche il modo di questa ripartizione. La rilevazione, sia
pure implicita, di tal rapporto di dipendenza esaurisce l’esame
preliminare di rilevanza che doveva essere fatto sulla questione, e la
Corte costituzionale non può sindacare il giudizio emesso in ordine a
tale esame.
2. – Nel merito, questa Corte, pur essendo suo compito anche quello
di intendere la portata e il contenuto delle disposizioni ad essa
denunciate (sentenza 19 febbraio 1965, n. 11), perché il controllo di
legittimità di una norma ordinaria, implicando il suo raffronto con
una della Costituzione, ha per suo logico e indefettibile presupposto
l’accertamento del significato di entrambe, ritiene tuttavia che, nella
specie, sia inutile ricercare il significato della norma denunciata
onde accertare se questa sia di carattere interpretativo, come sostiene
il Ministero del tesoro, o di valore innovativo, come è nell’opinione
della Corte dei conti e dell’Ospedale di Catania.
Se la norma stessa avesse efficacia interpretativa, la questione di
legittimità proposta dovrebbe riferirsi anche alle disposizioni che in
ipotesi essa intendeva interpretare e diverrebbe allora necessario
decidere se l’asserita violazione del principio di eguaglianza sia da
riscontrare in queste norme prima che in quella interpretativa. Si
tratterebbe allora di prendere in esame l’art. 34 della legge 24 maggio
1952, n. 610, concernente miglioramenti ai trattamenti di quiescenza a
favore degli iscritti e dei pensionati degli istituti di previdenza, e
addirittura l’art. 9 della legge 25 luglio 1941, n. 934,
sull’ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati
degli enti locali, nonché l’art. 4, parte seconda, del R.D. 14 aprile
1926, n. 679, che approva l’ordinamento della Cassa stessa; e la Corte
costituzionale dovrebbe decidere se, nella disciplina del rapporto
pensionistico riguardante i salariati degli istituti di beneficenza, le
leggi predette abbiano rispettato il principio di eguaglianza, così
come dovrebbe accertare se tale parità sia stata osservata riguardo
alla norma denunciata quando ad essa si desse valore innovativo. Donde
la inanità dell’indagine proposta dal Ministero del tesoro.
3. – Quali che siano le norme suscettibili di essere investite per
illegittimità costituzionale, questa Corte ritiene che il principio di
parità non è stato violato sotto nessuno dei profili considerati
dalla Corte dei conti; gli unici che in questa sede possono essere
valutati.
Non è infatti priva di razionalità una disparità di trattamento
pensionistico tra i salariati degli istituti di beneficenza e quelli
degli altri enti locali. Differenze tra quegli istituti e questi enti
sussistono con riferimento alla natura, all’attività, al modo di
finanziamento, al diverso contenuto dell’interesse pubblico che hanno
competenza a realizzare, alla diversa natura di questo interesse e al
diverso grado della sua intensità; ed è ovvio che tali dissomiglianze
debbono ripercuotersi sul trattamento di ciascuno dei due gruppi di
salariati, i cui compiti rispettivi sono peraltro differenziati in
relazione altresì alle varie esigenze che prospettano le funzioni di
ognuna delle categorie di enti dai quali i salariati dipendono. Tanto
più quelle difformità debbono ripercuotersi sul rapporto di lavoro di
ciascun gruppo, in quanto varie sono le possibilità finanziarie degli
enti sui quali grava il carico complessivo della pensione (quelli
datori di lavoro e quelli pensionistici), e in vario grado tali enti
possono sopportare quel carico. È compito soltanto della legge
ordinaria valutare gli interessi in giuoco e graduarne secondo gli
aspetti concreti la disciplina, non avendo il principio costituzionale
di eguaglianza sottratto al legislatore la potestà di riconoscere le
differenze che la realtà esprime e di adeguare ad esse le proprie
determinazioni (sentenza 26 giugno 1957, n. 105).
La disparità di fatto che risulta dall’applicazione del criterio
di ripartizione impugnato, a seconda che il trattamento dei pensionati
sia stato irrevocabilmente determinato prima o dopo l’entrata in vigore
della norma denunciata, è quella che talora si collega al succedersi
delle leggi; e non è eliminabile in sede di controllo di legittimità
costituzionale ove non risultino lesi diritti fondamentalmente
garantiti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 34 e 35, ultimo comma, della legge 22 novembre 1962, n.
1646, contenente modifiche agli ordinamenti degli istituti di
previdenza presso il Ministero del tesoro, proposta dalla Corte dei
conti con ordinanza 20 marzo 1964, in riferimento all’art. 3 dalla
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – ANTONIO
MANCA – ALDO SANDULLI – GIUSEPPE
BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO
MORTATI – GIUSEPPE CHIARELLI –
GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.