Sentenza N. 40 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
05/03/1998
Data deposito/pubblicazione
05/03/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/02/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di
lavori pubblici), aggiunto con il d.-l. 3 aprile 1995, n. 101,
convertito, con modificazioni, nella legge 2 giugno 1995, n. 216,
promossi con ordinanze emesse: 1) il 25 luglio 1996 dal Tribunale
amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna sul ricorso proposto da
AL.CO. Albertini Costruzioni S.n.c. contro il Ministero dei lavori
pubblici ed altri, iscritta al n. 1352 del registro ordinanze 1996 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima
serie speciale, dell’anno 1997; 2) il 25 giugno-3 ottobre 1996 dal
Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna sul ricorso
proposto dal Consorzio Artigiani Edili e Affini – CAREA S.r.l. contro
lo IACP della provincia di Bologna ed altri, iscritta al n. 193 del
registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il giudice
relatore Cesare Mirabelli.
1996) nel corso di un giudizio diretto ad ottenere l’annullamento
dell’aggiudicazione di un appalto mediante licitazione privata
indetta dal Provveditorato alle opere pubbliche per l’Emilia-Romagna,
per essere stata esclusa l’offerta con un ribasso maggiore di quello
risultato ammissibile, il Tribunale amministrativo regionale per
l’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento all’art. 97 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 21,
comma 1-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in
materia di lavori pubblici).
La disposizione denunciata, aggiunta con il d.-l. 3 aprile 1995, n.
101, convertito, con modificazioni, nella legge 2 giugno 1995, n.
216, nell’adottare il criterio del prezzo più basso per
l’aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o
licitazione privata, stabilisce (al comma 1-bis ultima parte) che
fino al 1 gennaio 1997 sono escluse dagli appalti di lavori pubblici
di importo superiore ed inferiore alla soglia comunitaria le offerte
che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un
quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammesse.
Il Tribunale amministrativo ritiene di dover applicare questa
norma, nonostante sia in contrasto con il diritto comunitario, che
non consente l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse
ma ne prevede la verifica in contraddittorio con l’interessato,
perché l’importo dell’appalto è inferiore a quello considerato
dalla disciplina comunitaria. Lo stesso giudice ritiene, tuttavia,
che l’esclusione delle offerte, basata su di un criterio matematico
di determinazione del massimo ribasso consentito, sia in contrasto
con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione,
enunciato dall’art. 97 della Costituzione. Difatti essa impedirebbe
in modo assoluto di fruire del prezzo più vantaggioso e di
realizzare gli obiettivi dell’amministrazione con il minor sacrificio
economico. Il criterio adottato dal legislatore sarebbe inoltre
suscettibile di provocare effetti distorsivi, rendendo possibile
interferire in un meccanismo i cui valori sono determinati dalle
imprese, le quali, accordandosi nella presentazione delle offerte,
potrebbero menomare ingiustamente la posizione di chi non partecipa
all’accordo e presenta un’offerta con un prezzo inferiore.
2. – Con ordinanza emessa il 25 giugno-3 ottobre 1996 (reg. ord.
n. 193 del 1997) nel corso di un giudizio promosso per ottenere
l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione di lavori a
seguito di licitazione privata indetta dall’Istituto autonomo per le
case popolari della Provincia di Bologna, il Tribunale amministrativo
regionale per l’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 21, comma 1-bis ultima parte, della legge 11
febbraio 1994, n. 109.
Il giudice rimettente rileva che i lavori, il cui importo è
inferiore a quello previsto per l’applicazione della disciplina
comunitaria, sono stati aggiudicati con il criterio del prezzo più
basso, determinato mediante offerte a prezzi unitari, e ritiene che
debba essere applicata la norma che prevede l’esclusione automatica
delle offerte con una percentuale di ribasso che superi di un quinto
la media aritmetica di tutte le offerte ammesse. In base a questo
criterio la ditta aggiudicataria dell’appalto avrebbe dovuto essere
esclusa. Ma proprio il criterio adottato dal legislatore sarebbe in
contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione
(art. 97 della Costituzione), perché non consentirebbe di realizzare
i lavori da appaltare con il minor sacrificio economico possibile.
Inoltre l’obbligo di esclusione generalizzata delle offerte anomale,
senza la loro puntuale verifica in contraddittorio con l’offerente,
potrebbe provocare effetti distorsivi, rendendo possibile ai
partecipanti alla gara di interferire in un meccanismo i cui valori
sono determinati dalle stesse imprese, le quali potrebbero accordarsi
nel presentare le offerte, per alzare o abbassare la soglia di
ammissibilità delle offerte. Sarebbe inoltre irragionevole, ed in
contrasto con il principio di buona amministrazione, che la stessa
offerta successivamente esclusa concorra a determinare la media alla
quale si rapporterà il livello di ammissibilità delle offerte.
Ad avviso del giudice rimettente, la lesione della norma
costituzionale risulterebbe aggravata quando il ridotto numero delle
offerte ammesse o presentate consentirebbe il controllo, in
contraddittorio con l’interessato, dei sospetti di anomalia, senza
che ne derivino intralci per la speditezza dell’azione
amministrativa. L’irragionevolezza sarebbe ancora maggiore nei casi
di aggiudicazione con il sistema dei prezzi unitari, che non
consentirebbe scarti o ribassi eccessivi, sicché pur in presenza di
offerte sostanzialmente omogenee sarebbero escluse quelle di poco
inferiori ad altre ammesse.
L’irragionevolezza del meccanismo di esclusione automatica
comporterebbe anche la violazione dell’art. 3 della Costituzione, per
l’ingiustificata disparità di trattamento tra offerte ammesse ed
offerte escluse, essendo incongruo ed iniquo il criterio della loro
differenziazione.
3. – Nei due giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o
infondate.
L’Avvocatura premette che, per gli appalti di importo inferiore
alla soglia stabilita dalla direttiva comunitaria sugli appalti, la
legge italiana non è vincolata a rispettare il modello comunitario,
che consente l’esclusione dell’offerta reputata anomala solo dopo che
siano state valutate le giustificazioni fornite dall’offerente.
Il criterio automatico di individuazione dell’offerta anomala,
adottato dalla disposizione denunciata, non sarebbe criticabile sotto
il profilo della congruenza allo scopo e della ragionevolezza o
razionalità, giacché per opere di minore rilievo economico non
entrano in gioco divari tra le capacità tecnologiche ed
organizzative dell’impresa che possono talvolta giustificare ribassi
eccezionali. La scelta legislativa, dell’esclusione automatica,
sarebbe intesa a soddisfare esigenze di speditezza dell’azione
amministrativa, che è fattore essenziale del buon andamento. Mentre
i possibili inconvenienti, segnalati dal giudice rimettente per il
criterio di esclusione delle offerte fondato sull’applicazione di una
formula aritmetica, varrebbero per ogni sistema che si avvalga di
automatismi basati su indici sintomatici.
Ad avviso dell’Avvocatura, il metodo automatico di individuazione
dell’offerta anomala non sarebbe di per sé criticabile sotto il
profilo della ragionevolezza. Questo varrebbe ad escludere anche la
violazione del principio di eguaglianza per il diverso trattamento
delle offerte, in ragione della loro posizione rispetto alla soglia
di ammissione fissata con il computo della media.
criteri di aggiudicazione degli appalti mediante pubblico incanto o
licitazione privata. Il Tribunale amministrativo regionale per
l’Emilia-Romagna ritiene che l’art. 21, comma 1-bis della legge 11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici)
aggiunto con il d.-l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con
modificazioni, nella legge 2 giugno 1995, n. 216, nello stabilire,
fino al 1 gennaio 1997, l’esclusione automatica delle offerte che
presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto
la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammesse, sia in
contrasto con l’art. 97 (reg. ord. n. 1352 del 1996) o con gli artt.
3 e 97 della Costituzione (reg. ord. n. 193 del 1997).
Ad avviso dei giudici rimettenti, l’esclusione automatica di
offerte con maggiore ribasso, senza che debba essere verificata in
concreto in ciascun caso la loro affidabilità, contrasterebbe con il
principio di buon andamento dell’amministrazione, perché priverebbe
irragionevolmente quest’ultima della possibilità di scegliere
l’offerta con il prezzo più vantaggioso. Il criterio di esclusione
basato sulla media delle offerte presentate dagli stessi partecipanti
alla gara sarebbe, inoltre, irragionevole, sia perché le imprese
potrebbero accordarsi sulle offerte da presentare, sia perché la
media alla quale viene riferita la percentuale di ribasso ammissibile
è determinata tenendo conto anche delle offerte che saranno
successivamente considerate anomale. La lesione del principio di
buon andamento sarebbe evidente se si considera che, quando il numero
di offerte è ristretto o quando le offerte escluse presentano un
prezzo che si discosta di poco da quello ammesso, sarebbe possibile
la verifica di quelle anomale senza che ne derivino intralci alla
speditezza dell’azione amministrativa. Il meccanismo automatico di
esclusione, essendo irragionevole, renderebbe, infine, non
giustificata la disparità di trattamento tra le offerte ammesse e
quelle escluse.
2. – Le due questioni di legittimità costituzionale investono, con
prospettazioni pressoché identiche, la medesima disposizione.
Essendo evidentemente connesse, i relativi giudizi possono essere
riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
3. – I dubbi di legittimità costituzionale non sono fondati.
La disposizione costituzionale che impone di organizzare i pubblici
uffici in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione (art. 97 Cost.) stabilisce sia una finalità da
perseguire e da raggiungere che un criterio caratterizzante l’azione
amministrativa.
Il principio di buon andamento riguarda non solo i profili
attinenti alla struttura degli apparati ed all’articolazione delle
competenze attribuite agli uffici che compongono la pubblica
amministrazione, ma, investendone il funzionamento nel suo complesso
(sentenza n. 22 del 1966), comprende anche i profili attinenti alle
funzioni ed all’esercizio dei poteri amministrativi. Al principio di
buon andamento deve essere improntata sia la disciplina
dell’organizzazione che quella delle attività e delle relazioni
dell’amministrazione con altri soggetti; i relativi procedimenti
devono essere idonei a perseguire la migliore realizzazione
dell’interesse pubblico, nel rispetto dei diritti e degli interessi
legittimi dei soggetti coinvolti dall’attività amministrativa.
L’obiettivo del buon andamento dell’amministrazione può essere,
tuttavia, perseguito e realizzato con modalità e strumenti diversi,
egualmente efficaci, la cui scelta è rimessa, nei limiti della
ragionevolezza, alla discrezionalità del legislatore (sentenza n.
103 del 1993).
In questa prospettiva anche la disciplina dei procedimenti
amministrativi deve essere improntata al principio di buon andamento,
quindi coerente e congrua rispetto al fine che si vuol perseguire
(sentenza n. 331 del 1988; sentenza n. 123 del 1968), in relazione
sia all’esigenza generale di efficienza dell’azione amministrativa
(sentenza n. 266 del 1993) che agli obiettivi particolari cui è
preordinata la disciplina di specifici procedimenti.
4. – In materia di appalti mediante pubblico incanto o licitazione
privata, l’aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso
persegue l’obiettivo dell’amministrazione di acquisire, con il minor
onere economico, la prestazione richiesta e garantisce condizioni di
parità tra gli offerenti riconosciuti idonei a fornire l’opera o il
servizio, posti in concorrenza tra di loro. Risponde, tuttavia, al
pubblico interesse anche evitare che un ribasso eccessivo sia
significativo di un’offerta non affidabile e ponga a rischio, nella
esecuzione della prestazione, l’esatto o il tempestivo adempimento.
Anche quest’ultimo interesse può essere egualmente perseguito con
strumenti diversi.
La disciplina comunitaria, che regola solo gli appalti di importo
superiore ad una determinata soglia, compone l’esigenza di garantire
la concorrenza e di acquisire la prestazione al prezzo più
vantaggioso per l’amministrazione con l’esigenza di assicurare la
serietà delle offerte, prevedendo che l’amministrazione, prima di
rifiutare quelle che presentino carattere anormalmente basso rispetto
alla prestazione, chieda le precisazioni che ritiene utili in merito
alla composizione dell’offerta e proceda alla verifica, tenendo conto
delle giustificazioni fornite (art. 30 della direttiva 93/37/CEE del
Consiglio del 14 giugno 1993). Non può, dunque, essere disposta
l’esclusione di una offerta in base a criteri matematici, ma occorre
sempre una motivata valutazione e determinazione
dell’amministrazione.
Per gli appalti che non rientrano nella disciplina comunitaria,
l’esigenza di garantire la serietà dell’offerta, in relazione al
ribasso proposto, può essere perseguita anche con modalità diverse.
La norma denunciata esclude la discrezionalità
dell’amministrazione, restringendo la scelta del prezzo più basso in
una fascia delimitata secondo un criterio predeterminato, nel cui
ambito si presume che l’offerta sia affidabile. La media delle
offerte esprimerebbe un prezzo che, in base appunto ad una
valutazione “media”, è considerato adeguato e rispetto al quale un
ribasso nei limiti della percentuale prevista dalla legge non
porrebbe a rischio la serietà dell’offerta. Questa disciplina,
oltre ad avere carattere del tutto temporaneo, essendo operante
soltanto sino al 1 gennaio 1997, riguarda esclusivamente appalti di
minore importo, per i quali una più complessa procedura di analisi
delle offerte è considerata eccessivamente onerosa rispetto al
beneficio che deriverebbe dal minor prezzo eventualmente ottenibile e
tale da rendere meno tempestiva l’aggiudicazione dei lavori. In
questi limiti la scelta del legislatore non appare palesemente
arbitraria né incoerente o incongrua rispetto al fine.
Neppure può essere considerato palesemente irragionevole prevedere
che la percentuale di ribasso ammissibile sia riferita alla media di
tutte le offerte, tenendo conto anche di quelle il cui ribasso sarà
poi considerato eccessivo. Difatti ogni offerta dovrebbe esprimere il
prezzo considerato effettivamente adeguato da ciascun concorrente
ammesso, il quale è sempre un potenziale destinatario
dell’aggiudicazione, non essendo prevedibile in anticipo, rispetto
alla presentazione di tutte le offerte, la fascia di ribasso
consentito, nella quale l’offerta stessa potrebbe poi risultare
compresa.
Le ordinanze di rimessione argomentano le distorsioni che
potrebbero derivare da accordi tra partecipanti alla gara nella
presentazione delle offerte. Vengono, in tal modo, prospettate
situazioni patologiche, le quali potrebbero configurare una illecita
turbativa della gara e che, appunto in quanto non attinenti al
normale funzionamento della disciplina denunciata, non possono essere
poste a base di una pronuncia di illegittimità costituzionale (da
ultimo, sentenza n. 175 del 1997).
5. – La violazione dell’art. 3 della Costituzione per
ingiustificata disparità di trattamento tra offerte ammesse ed
offerte automaticamente escluse è stata denunciata sul presupposto
della irragionevolezza del criterio di determinazione del ribasso
ammissibile. Ma, in difetto di questo presupposto, non si può
ritenere che il diverso trattamento delle offerte abbia carattere
discriminatorio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1-bis della legge 11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici),
aggiunto con il d.-l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con
modificazioni, nella legge 2 giugno 1995, n. 216, sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna con le ordinanze
indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 5 marzo 1998.
Il cancelliere: Fruscella