Sentenza N. 406 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
28/11/1994
Data deposito/pubblicazione
28/11/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/11/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, avv. Mauro
FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof. Giuliano
VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
comma, del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni
delle disposizioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per
la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e sostituzione
dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione
obbligatoria, per la nuzialità e la natalità), come modificato
dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, promosso con
ordinanza emessa l’8 febbraio 1994 dal Pretore di Salerno nel
procedimento civile vertente tra Centore Bruno e l’I.N.P.S., iscritta
al n. 173 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno
1994;
Visti gli atti di costituzione di Centore Bruno e dell’I.N.P.S.,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 25 ottobre 1994 il Giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Uditi l’avv. Carlo De Angelis per l’I.N.P.S. e l’Avvocato dello
Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Centore dopo che l’I.N.P.S. aveva interrotto l’erogazione delle
pensioni di reversibilità di cui era titolare per aver egli
completato il periodo di corso legale degli studi universitari, il
Pretore di Salerno, con ordinanza emessa l’8 febbraio 1994, ha
sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 13, terzo comma, del regio
decreto-legge 14 aprile 1939, n. 636, come modificato dall’art. 2
della legge 4 aprile 1952, n. 218 nella parte in cui non prevede
anche per lo studente universitario “fuori corso”, avendo egli
completato il corso legale degli studi, lo slittamento fino al 26
anno di età del diritto alla pensione di reversibilità.
Osserva il giudice a quo che la norma impugnata, con il prevedere
la corresponsione della pensione di reversibilità ai figli
superstiti a carico del genitore al momento del decesso fino “a 21
anni qualora frequentino una scuola media professionale, e per tutta
la durata del corso legale, ma non oltre il ventiseiesimo anno di
età, qualora frequentino l’università”, viene ad assicurare maggior
tutela allo studente attardatosi nel licenziarsi dalla scuola media
superiore fino al compimento del 21 anno di età; questi, infatti,
potrà contare, quale studente universitario, sull’erogazione della
prestazione pensionistica fino al limite massimo dei 26 anni, mentre
lo studente che termina regolarmente la scuola media superiore,
iscrivendosi all’università intorno al 19 anno di età, vedrà
cessare l’erogazione alcuni anni prima in coincidenza, appunto, con
il perfezionamento del corso legale di laurea cui è iscritto.
Rileva il rimettente che la normativa in oggetto viene a porsi in
contrasto non solo con il principio di uguaglianza, ma anche con il
più generale criterio della “logicità e congruenza”, non apparendo
ragionevole, tenuto conto anche della maggiore complessità degli
studi universitari, privare del trattamento pensionistico lo studente
che abbia diligentemente completato la scuola media superiore al
compimento del 18 anno di età e non sia riuscito, magari proprio a
causa dell’evento luttuoso, a completare nei tempi ordinari il ciclo
degli studi universitari.
2. – Nel giudizio avanti alla Corte si è costituita la parte
privata sostenendo l’incostituzionalità della normativa impugnata.
In particolare la difesa ritiene la norma censurabile anche sotto
il “profilo della razionalità” dal momento che, relativamente agli
studi universitari viene ad avere rilevanza oltre all’iscrizione, il
semplice decorso del tempo richiesto per il completamento del corso
di laurea cui si è iscritti, mentre sembrerebbe più razionale
prevedere il prolungamento del diritto alla pensione di
reversibilità fino al 26 anno di età sulla base della frequenza
dell’università, dimostrabile attraverso la certificazione degli
esami sostenuti in ciascun anno.
3. – Si è costituito anche l’I.N.P.S. chiedendo che la questione
sia dichiarata infondata sul rilievo che il diritto alla pensione di
reversibilità durante la frequenza del corso legale degli studi
universitari appare adeguatamente tutelato.
4. – È pure intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Ha osservato la
difesa erariale che nella disciplina impugnata non sono ravvisabili
macroscopiche incongruenze, rilevando che il diverso trattamento
rispettivamente assicurato al superstite infraventunenne ed a quello
infraventiseienne si spiega ragionevolmente, sia con ragioni di
ordine storico, poiché la maggiore età si acquistava al compimento
del 21 anno di età, che con la necessità di limitare l’impegno di
solidarietà che non può spingersi a riconoscere il trattamento di
reversibilità a chi risulta semplicemente iscritto all’università
sino al compimento del 26 anno di età, senza correttivi connessi ai
risultati di merito e di frequenza.
parte dell’I.N.P.S. della pensione di reversibilità ad un orfano al
termine del corso legale universitario prima del 26 anno di età, il
Pretore di Salerno ha sollevato questione di costituzionalità
dell’art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939 n. 636
(modificato dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218 e dall’art.
22 della legge 21 luglio 1965, n. 903) in relazione all’art. 3 della
Costituzione, sotto il duplice profilo della disparità di
trattamento e della irragionevolezza, poiché mentre consente la
prosecuzione della pensione fino al 26 anno di età al figlio che ha
iniziato tardivamente il corso legale universitario per essersi egli
attardato nel conseguire la licenza di scuola media professionale,
non prevede lo stesso slittamento della erogazione pensionistica fino
allo stesso limite di età del figlio che, maturandosi
tempestivamente e subito iscrittosi all’università, si sia
successivamente attardato andando “fuori corso”.
2. – La questione è inammissibile.
Il primo profilo – di disparità di trattamento – va disatteso
anzitutto perché in entrambe le ipotesi (e cioè sia per lo studente
che utilizza l’erogazione della pensione fino al 26 anno di età
essendosi iscritto tardivamente all’università a causa del ritardo
nel licenziarsi dalla scuola media, sia per lo studente universitario
iscrittosi tempestivamente) la durata della pensione non va oltre lo
stesso periodo del corso legale della facoltà cui l’uno e l’altro
sono iscritti.
Né può rilevare la considerazione della diversa durata del
godimento della pensione nei due casi indicati, e cioè della diversa
età a cui cessa tale erogazione per i due orfani, dal momento che
trattasi di situazioni fra loro non omogenee.
3. – Alcune perplessità possono tuttavia sorgere in ordine alla
lamentata irragionevolezza sulla norma denunziata.
Se, invero, la ratio dell’erogazione della pensione, e della sua
prosecuzione, risiede, più che nella giovane età degli orfani,
nella concreta impossibilità di procurarsi un reddito proprio a
motivo della dedizione del loro tempo agli studi, non appare chiara
la coerenza legislativa nel riconoscere tale ratio quando la perdita
di tre anni negli studi sia avvenuta nel corso della scuola media
professionale, e non riconoscerla anche quando il ritardo nei più
complessi studi universitari si sia verificato non per negligenza, ma
talvolta per effetti psicologici ed economici derivanti dalla perdita
dei genitori, e più spesso perché in alcune facoltà la pesantezza
ed il numero degli esami o di altri adempimenti non consentono a
numerosi studenti di laurearsi entro i termini del corso legale. In
questi casi, la dedizione del proprio tempo agli studi anche nel
periodo “fuori corso” (e comunque sempre nello stesso limite massimo
di 26 anni) potrebbe essere dimostrata con la certificazione degli
esami sostenuti in detto periodo.
Tuttavia, analogamente a quanto deciso dalla sentenza n. 274 del
1993, va ripetuto anche nel presente giudizio che il riordino di
questa materia, con particolare riguardo alla precisazione delle
condizioni (o dei “correttivi” di cui parla l’Avvocatura) circa la
effettiva dedizione agli studi degli orfani universitari infra
ventiseienni ai fini dell’erogazione pensionistica, esula dall’ambito
dei poteri di questa Corte, spettando evidentemente al legislatore.
La questione, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 13, terzo comma, del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n.
636 (Modificazioni delle disposizioni obbligatorie per l’invalidità
e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione
involontaria e sostituzione dell’assicurazione per la maternità con
l’assicurazione obbligatoria, per la nuzialità e la natalità), come
modificato dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952 n. 218, sollevata,
in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Salerno
con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: SANTOSUOSSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 28 novembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA