Sentenza N. 407 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1997
Data deposito/pubblicazione
17/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il 19 febbraio 1997 dalla Corte d’assise di Teramo nel procedimento
penale a carico di Palmarini Carlo, iscritta al n. 232 del registro
ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 19, prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 1997 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
un imputato per delitto in ordine al quale è prevista la pena
dell’ergastolo (omicidio volontario aggravato dai motivi futili) ha
formulato richiesta di giudizio abbreviato dopo la scadenza del
termine previsto dall’art. 458, comma 1, del codice di procedura
penale, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, e
che il pubblico ministero non ha prestato il proprio consenso
deducendo la tardività della richiesta e la non decidibilità del
giudizio allo stato degli atti, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nella parte
in cui prevede che la richiesta di giudizio abbreviato, anche nelle
ipotesi di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo,
debba essere rivolta al giudice per le indagini preliminari nel
termine di giorni sette dalla notificazione del decreto di giudizio
immediato. A parere del giudice a quo è irragionevole imporre entro
un termine stabilito a pena di decadenza la presentazione della
richiesta di giudizio abbreviato, per i reati puniti con la pena
dell’ergastolo, al giudice per le indagini preliminari, posto che
tale giudice non può che dichiarare inammissibile la richiesta. È
soltanto con riferimento al giudice dibattimentale – osserva la Corte
rimettente – che deve articolarsi il termine per la richiesta di
giudizio abbreviato, essendo a quell’organo riservato il compito di
valutare tale richiesta ai fini della riduzione della pena, ove
all’esito del dibattimento ritenga insussistente l’aggravante che
determina l’astratta punibilità con la pena dell’ergastolo e,
quindi, “ammissibile il giudizio abbreviato e ingiustificato il
dissenso del pubblico ministero”. D’altra parte, puntualizza il
rimettente, la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato prima
della apertura del dibattimento è già prevista in sede di giudizio
direttissimo.
In ogni caso, conclude il giudice a quo, il termine di sette giorni
previsto dalla norma impugnata anche nel caso in cui il rito
abbreviato sia precluso dal titolo di reato, si appalesa incongruo
ove rapportato al maggior termine di quindici giorni stabilito
dall’art. 555, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. per i meno gravi
reati attribuiti alla competenza del pretore.
2. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A
parere dell’Avvocatura, l’ipotesi di inammissibilità della richiesta
di giudizio abbreviato rientra nelle regole del sistema, mentre
sarebbe al di fuori dello stesso riservare tale richiesta al giudice
del dibattimento, non potendo a tal proposito valere quale termine di
raffronto il giudizio direttissimo, considerate le differenze che lo
separano dal giudizio immediato. L’esclusione del potere del giudice
di sindacare l’imputazione, è aspetto, dunque, del tutto
irrilevante, “tenuto conto che proprio la particolarità di ciascun
procedimento speciale non dovrebbe permettere l’equiparazione tra i
diversi procedimenti con presupposti diversi”. Quanto alla dedotta
incongruità del termine, per formulare la richiesta di giudizio
abbreviato, osserva conclusivamente l’Avvocatura, lo stesso è frutto
di una discrezionale scelta del legislatore che si giustifica in
ragione delle peculiarità del rito, mentre nessun risalto può
assumere il diverso termine stabilito dall’art. 555, comma 1, lettera
e), cod. proc. pen., considerata la differenza che sussiste tra il
decreto di giudizio immediato ed il decreto di citazione a giudizio
nel procedimento pretorile.
artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura
penale, nella parte in cui prevede che la richiesta di giudizio
abbreviato, anche nell’ipotesi di reato astrattamente punibile con la
pena dell’ergastolo, debba essere rivolta al giudice per le indagini
preliminari nel termine di sette giorni dalla notificazione del
decreto di giudizio immediato. Posto infatti – osserva la Corte
rimettente – che al giudice per le indagini preliminari non è
consentito di sindacare l’imputazione e che, pertanto, nel caso di
reati puniti con la pena dell’ergastolo, gli è preclusa la
possibilità di ammettere il giudizio abbreviato anche se
tempestivamente richiesto, risulterebbe priva di ragionevolezza la
previsione di un termine di decadenza per la presentazione della
richiesta di trasformazione del rito da formulare ad un giudice privo
del potere di definire il procedimento allo stato degli atti.
Considerato, quindi, che è il giudice del dibattimento l’organo al
quale è demandato il compito di procedere all’eventuale “recupero”
della richiesta di giudizio abbreviato in funzione della riduzione di
pena, qualora all’esito della istruttoria dibattimentale ritenga
erroneamente contestata ab origine la circostanza aggravante dalla
quale scaturisce la punibilità del reato con la pena perpetua, è
con riferimento a quell’organo che dovrebbe a parere del rimettente
“articolarsi il termine per la richiesta di giudizio abbreviato”,
analogamente a quanto previsto nel caso di giudizio direttissimo
dall’art. 452, comma 2, cod. proc. pen.
“In ogni caso”, conclusivamente rileva il giudice a quo, il termine
previsto dalla norma impugnata, ed operante anche nell’ipotesi in cui
il titolo di reato sia ostativo alla celebrazione del giudizio
abbreviato, risulta incongruo se posto a raffronto con il maggior
termine di quindici giorni stabilito dall’art. 555, comma 1, lettera
e), del codice di rito, per la analoga richiesta riguardante “i reati
di competenza del pretore, all’evidenza di ben minore gravità”.
2. – La questione è infondata sotto entrambi i profili dedotti.
La previsione oggetto di impugnativa non può infatti ritenersi in
contrasto con nessuno dei parametri invocati, neppure nell’ipotesi in
cui al giudice per le indagini preliminari, destinatario della
richiesta di giudizio abbreviato, sia preclusa la celebrazione del
rito alternativo ostandovi il titolo di reato contestato. Non può
infatti profilarsi alcuna violazione del principio del giudice
naturale, essendo l’organo al quale proporre la domanda di
trasformazione del rito predeterminato dalla legge, né elusione del
diritto di difesa, dal momento che l’imputato è posto in condizioni
di formulare le proprie richieste in rito, né, infine, appaiono in
alcun modo prospettabili le dedotte censure di irragionevolezza. Può
anzi rilevarsi, a quest’ultimo riguardo, che la soluzione suggerita
dalla Corte rimettente di trasferire alla fase che precede la
dichiarazione di apertura del dibattimento la previsione del termine
per la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato, oltre a
non potersi certo ritenere l’unica scelta costituzionalmente imposta,
presenta, a ben guardare, gli stessi “vizi” che il petitum perseguito
intenderebbe sanare, giacché anche per il giudice chiamato a
celebrare quella fase – per di più privo, a differenza del giudice
che ha emesso il decreto di giudizio immediato, del fascicolo
contenente gli atti delle indagini e, quindi, neppure in grado di
verificare se il processo possa essere definito allo stato degli atti
– permarrebbe inalterata l’impossibilità di celebrare il rito
alternativo, proprio perché vi osta il titolo di reato e difetta in
quella fase il potere di controllo in ordine alla correttezza della
imputazione elevata.
Per altro verso, neppure pertinente si rivela il richiamo alla
disciplina dettata in tema di trasformazione del rito direttissimo
dall’art. 452, comma 2, cod. proc. pen., attesa l’evidente
eterogeneità dei modelli posti a raffronto e considerato che quella
previsione – come si precisa nella relazione al codice – è stata
dettata dall’intendimento “di evitare una non economica retrocessione
del procedimento al giudice delle indagini preliminari”.
Se da un lato, dunque, il composito quadro scaturito dalle pronunce
di questa Corte in tema di giudizio abbreviato e reati puniti con la
pena dell’ergastolo presenta indubbiamente aspetti problematici, al
punto da aver generato un riproporsi di questioni in sé indicative
“del disagio degli organi giurisdizionali nell’applicazione del
giudizio alternativo in discorso”, non può tuttavia non ribadirsi
che a tale articolata gamma di dubbi attuativi e di perplessità di
coerenza sistematica soltanto il legislatore “può porre rimedio,
ridisegnando l’istituto, su questo come su altri profili (cfr.
sentenze nn. 328, 187 e 92 del 1992), in termini di maggiore
razionalità della disciplina e così di più adeguato utilizzo di
questo strumento alternativo al giudizio ordinario” (v. ordinanza n.
449 del 1995).
Per ciò che infine concerne la dedotta incongruità del termine
stabilito dalla norma oggetto di impugnativa in rapporto al diverso e
maggior termine previsto dall’art. 555, comma 1, lettera e), cod.
proc. pen., in tema di procedimento davanti al pretore, questa Corte
ha già avuto modo di disattendere la fondatezza di analoga censura.
A tale riguardo, si è infatti osservato, fra l’altro, che, a
differenza “di quanto accade per l’emissione del decreto di citazione
a giudizio davanti al pretore, il giudizio immediato può essere
ritualmente introdotto soltanto nei casi in cui la prova appare
evidente; un requisito, questo, che si salda all’altro – parimenti
assente nel procedimento pretorile – rappresentato dal termine di
novanta giorni entro il quale il pubblico ministero deve formulare al
giudice la richiesta di giudizio immediato a far tempo dalla
iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335
del codice di procedura penale, e che segnala la peculiare speditezza
di un rito la cui specialità trae alimento proprio dalla sostanziale
chiarezza dei fatti, ritenuti, dunque, di pronto e agevole
accertamento” (v. sentenza n. 122 del 1997). Peculiarità, quindi,
che per un verso adeguatamente giustificano la brevità del termine
e, sotto altro profilo, segnalano l’improprietà del tertium evocato
a raffronto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, dalla Corte di
assise di Teramo con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola