Sentenza N. 409 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1998
Data deposito/pubblicazione
16/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1998
Presidente:, dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI; prof.
Cesare MIRABELLI; prof. Fernando SANTOSUOSSO; avv. Massimo VARI;
dott. Cesare RUPERTO; dott. Riccardo CHIEPPA; prof. Gustavo
ZAGREBELSKY; prof. Valerio ONIDA; prof. Carlo MEZZANOTTE; avv.
Fernanda CONTRI; prof. Guido NEPPI MODONA; prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
degli artt. 1, commi 1 e 2, e 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992,
n. 80 (Attuazione della direttiva 80/19987/CEE in materia di tutela
di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di
lavoro), promosso con ordinanza emessa l’11 aprile 1996 dal Tribunale
di Verbania sui ricorsi riuniti proposti da Rocco Pangallo ed altri
contro l’Inps iscritta al n. 1344 del registro ordinanze 1996 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione di Rocco Pangallo ed altri e
dell’Inps, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 29 settembre 1998 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
Uditi l’avv.to Antonio Todaro per l’Inps e l’Avvocato dello Stato
Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
previa riunione di tre giudizi di appello aventi ad oggetto
altrettante sentenze di rigetto di domande di lavoratori subordinati
dirette ad ottenere la condanna dell’Istituto nazionale della
previdenza sociale (Inps), quale gestore del Fondo di garanzia
istituito con il d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della
direttiva 80/19987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati
in caso di insolvenza del datore di lavoro), al pagamento dei crediti
di lavoro maturati nei tre mesi precedenti la data del pignoramento
negativo eseguito in danno del loro datore di lavoro, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale “del combinato disposto di
cui agli articoli 1, commi 1 e 2, e 2 comma 7 del d.lgs. 27 gennaio
1992, n. 80” nella parte in cui non prevede l’intervento del Fondo di
garanzia a favore dei lavoratori subordinati, per i crediti di lavoro
che abbiano maturato prima dell’entrata in vigore di detto decreto
legislativo nei confronti di datori di lavoro non assoggettabili a
procedure concorsuali, in riferimento agli artt. 3 e 38 della
Costituzione.
1.1. – Il giudice a quo premette che l’identificazione dei
lavoratori subordinati che godono della garanzia stabilita dall’art.
2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992 ha carattere preliminare
rispetto ad ogni altra questione. Secondo il Tribunale di Verbania,
la lettera della norma ed il rinvio all’art. 1, comma 1, dimostrano
che possono beneficiarne soltanto coloro i quali espletano attività
alle dipendenze di datori di lavoro non assoggettabili a procedure
concorsuali. Dunque, prosegue il giudice di merito, la questione di
costituzionalità è rilevante, poiché dal suo accoglimento
deriverebbe l’affermazione del diritto degli appellanti, salva la
successiva verifica concernente l’avvenuto esperimento dell’azione
entro il termine pure stabilito dalla norma.
Ad avviso del Tribunale, “l’attuale esclusione dell’intervento a
favore dei soggetti dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili
a procedure concorsuali realizza un’evidente ed ingiustificata
disparità di trattamento previdenziale rispetto ai lavoratori i cui
crediti siano maturati successivamente all’entrata in vigore del
d.lgs. n. 80 del 1992, i quali, a differenza dei primi, beneficiano
dell’istituto sia nelle ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, sia di
quelle di cui al comma 2”. La disparità di trattamento, si sostiene
nell’ordinanza, non è giustificata dalla circostanza che la
direttiva 80/19987/CEE prevede la garanzia soltanto in favore dei
lavoratori dipendenti da datori assoggettabili a procedure
concorsuali, in quanto il legislatore nazionale, una volta
determinatosi, nell’esercizio della sua discrezionalità, ad
estendere la tutela anche a favore di quelli dipendenti da datori
soggetti soltanto ad esecuzione individuale, avrebbe dovuto ampliarla
in modo coerente e omogeneo, senza “introdurre ingiustificate
distinzioni basate sulla data di maturazione del credito”. Pertanto,
conclude il giudice a quo “la disciplina enucleata dal combinato
disposto di cui all’art. 1 commi 1 e 2 e all’art. 2, comma 7” del
d.lgs. n. 80 del 1992 realizza una disparità di trattamento la cui
irragionevolezza, a fronte di situazioni omogenee, conforta, pur
nell’estrema frammentarietà che contraddistingue l’ordinamento
previdenziale, il giudizio di non manifesta infondatezza della
questione.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata.
La direttiva 80/19987/CEE, premette la difesa erariale, mira al
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
tutela dei lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro
assoggettabili a procedure concorsuali, e riconosce agli Stati membri
la facoltà di introdurre disposizioni più favorevoli. La Corte di
giustizia della comunità europea ha accertato l’inadempimento
dell’Italia all’obbligo di conformarsi alla direttiva nel termine da
essa fissato (Corte di giustizia, 2 febbraio 1989, C-22/1987) e,
successivamente, ha affermato l’obbligo degli Stati membri di
risarcire i danni derivati ai singoli dal mancato recepimento delle
disposizioni comunitarie (Corte di giustizia, 19 novembre 1991, C-6 e
9/1990). Il d.lgs. n. 80 del 1992, prosegue l’interveniente,
nell’attuare la direttiva, ha esteso la tutela anche ai dipendenti di
datori di lavoro non soggetti a procedure concorsuali, ma soltanto
per il futuro e, allo scopo di adempiere gli obblighi sanciti dalla
Corte di giustizia, ha attribuito ai lavoratori dipendenti da imprese
assoggettabili a procedure concorsuali un’indennità per il danno
eventualmente subito per il ritardo nel recepimento della direttiva.
Pertanto, osserva ancora l’Avvocatura dello Stato, poiché la Corte
di giustizia ha ritenuto che la limitazione della tutela non lede il
principio della parità di trattamento in ambito comunitario (Corte
di giustizia, 9 novembre 1995, C-479-93) e la diversa data di
maturazione dei crediti costituisce elemento sufficiente a rendere
disomogenee le situazioni poste in comparazione, non sussiste la
denunziata disparità di trattamento. Infine, conclude
l’interveniente, neppure è irragionevole che il decreto legislativo
abbia ampliato il livello minimo di tutela previsto dalla direttiva
CEE e, con norma transitoria, abbia attribuito soltanto ai lavoratori
che hanno subito un danno dalla sua mancata attuazione il diritto ad
ottenere le garanzie di cui avrebbero goduto nel caso di tempestivo
recepimento delle norme comunitarie.
3. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’Inps,
convenuto nel giudizio principale, il quale ha eccepito
l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.
Secondo l’Istituto, il Tribunale non ha preliminarmente accertato
se le azioni siano state promosse entro il termine stabilito
dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992 e tale omissione
rende la questione di costituzionalità meramente ipotetica ed
inammissibile per difetto di rilevanza. In ogni caso, a suo avviso,
le censure sollevate dal Tribunale sono infondate, in quanto le
situazioni poste in comparazione sono disomogenee. Le procedure
concorsuali presuppongono infatti, normalmente, il concorso dei
creditori ed impediscono la prosecuzione delle azioni individuali,
che è invece possibile nei confronti dei datori di lavoro non
assoggettati alle prime. La responsabilità patrimoniale del
debitore, senza i limiti del concorso – sostiene la parte – configura
una più intensa garanzia delle ragioni del singolo creditore e ciò
è sufficiente a dimostrare l’incongruità del richiamo degli artt. 3
e 38 della Costituzione, dato che esso si basa sulla omologazione di
situazioni non omogenee.
La circostanza che il legislatore ha ritenuto di estendere anche ai
lavoratori dipendenti da datori non assoggettabili a procedure
concorsuali la garanzia disciplinata dal d.lgs. n. 80 del 1992,
conclude infine l’Inps, è irrilevante nel senso prospettato dal
Tribunale, perché frutto di una scelta riservata alla
discrezionalità del legislatore, non sindacabile nel giudizio di
costituzionalità.
4. – Gli appellanti nel processo principale si sono anch’essi
costituiti nel giudizio innanzi alla Corte ed hanno chiesto che la
questione di costituzionalità sia dichiarata fondata.
Le parti private ripercorrono le argomentazioni svolte
nell’ordinanza di rimessione e sostengono che il legislatore, nel
disciplinare le fattispecie perfezionatesi anteriormente al
recepimento della direttiva Cee, avrebbe potuto configurare il
risarcimento del danno derivato dalla sua mancata attuazione come una
fattispecie autonoma ovvero regolamentarla con modalità identiche
alla prestazione a regime. Realizzata questa seconda soluzione è, a
loro avviso, irragionevole che la garanzia non sia stata estesa anche
ai crediti maturati anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n.
80 del 1992 e vantati dai lavoratori subordinati dipendenti da datori
non assoggettabili a procedure concorsuali.
Dunque, concludono le parti, il legislatore italiano, poiché ha
tutelato con identiche modalità i crediti di tutti i lavoratori
subordinati sin dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, non poteva
successivamente distinguere le due categorie e prevedere la garanzia
per quelli maturati anteriormente alla data di entrata in vigore del
d.lgs. n. 80 del 1992 soltanto in favore dei lavoratori dipendenti da
datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali.
5. – All’udienza pubblica la difesa erariale e l’Inps hanno
insistito per la dichiarazione di infondatezza della questione di
costituzionalità.
dall’ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 38 della
Costituzione, concerne il “combinato disposto di cui agli artt. 1,
commi 1 e 2, e 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80”
(Attuazione della direttiva 80/19987/CEE in materia di tutela di
lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro),
“nella parte in cui non prevedono l’intervento del Fondo di Garanzia
a favore dei lavoratori che abbiano maturato crediti di lavoro, nel
periodo anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. citato, nei
confronti di datori di lavoro non assoggettabili a procedure
concorsuali”.
Secondo il giudice rimettente, invero, la limitazione temporale,
riferita alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1992,
della garanzia in favore dei lavoratori subordinati dipendenti da
datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali
costituisce un’ingiustificata disparità di trattamento a danno di
quelli di essi che vantano crediti non riconducibili alla predetta
data. Il giudice a quo ritiene altresì irragionevole che i
lavoratori dipendenti da datori di lavoro assoggettabili a procedure
concorsuali godano invece della stessa garanzia anche relativamente
ai crediti da ultimo indicati. Né, secondo il giudice rimettente,
tale disparità di trattamento può essere giustificata dalla
considerazione che la direttiva 80/19987/CEE riguarda solo quella
categoria di lavoratori, poiché una volta che la discrezionalità
del legislatore aveva disposto quella tutela anche per i dipendenti
da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali,
avrebbe dovuto estenderla in modo coerente ed omogeneo, senza
introdurre ingiustificate distinzioni basate sulla data di entrata in
vigore del citato decreto legislativo.
2. – In via preliminare va esaminata l’eccezione dell’INPS di
inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto
il Tribunale rimettente avrebbe omesso di accertare, in limine se le
azioni proposte dai lavoratori siano state promosse entro il termine
fissato dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992.
L’eccezione è infondata.
Premesso che non è sindacabile, nel giudizio di costituzionalità,
l’ordine logico con il quale il rimettente affronta le questioni
sottoposte al suo esame (sentenze nn. 267 e 226 del 1998), nel caso
di specie il Tribunale, dopo avere affermato che la questione di
legittimità costituzionale sollevata “riveste carattere preliminare
rispetto ad ogni altro profilo di controversia”, ha sostenuto, in
modo non implausibile, che la questione stessa appare rilevante, in
quanto il suo eventuale accoglimento determinerebbe l’estensione
della fattispecie normativa anche riguardo ai ricorrenti.
3. – Nel merito la questione è infondata, sotto i diversi profili
prospettati.
Il giudice rimettente dubita, innanzi tutto, che le norme
denunziate violino l’art. 3 in collegamento con l’art. 38 della
Costituzione, in quanto la garanzia per i crediti di lavoro previsti
nel citato art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1992, vantati dai
lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro non
assoggettabili alle procedure concorsuali, opererebbe soltanto per i
crediti relativi alle procedure intervenute successivamente
all’entrata in vigore del decreto legislativo stesso.
Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il
fluire del tempo costituisce, di per sé, idoneo elemento di
differenziazione delle situazioni soggettive, anche nella specifica
materia previdenziale, cosicché è stato escluso che possa
giudicarsi in sé irragionevole, in quanto riferibile a situazioni
non omogenee tra di loro, la previsione di una disciplina normativa
diversificata ratione temporis dal momento che differenziazioni
temporali agevolative nell’ambito di una stessa categoria di soggetti
si giustificano con la necessità di bilanciamento con le
disponibilità delle risorse indispensabili a tal fine e con le
connesse esigenze finanziarie (ex plurimis sentenze n. 175 del 1997,
n. 311 del 1995, nn. 385 e 378 del 1994, n. 243 del 1993, nn. 455 e
95 del 1992).
Deve quindi escludersi che, sotto questo aspetto, vi sia una
lesione del principio di parità di trattamento tra lavoratori
appartenenti ad una stessa categoria, poiché non si tratta di
situazioni omogenee.
4. – L’ordinanza di rimessione prospetta un ulteriore profilo di
violazione dell’art. 3 in collegamento con l’art. 38 della
Costituzione, in quanto le norme censurate, attribuendo ai soli
lavoratori dipendenti da datori di lavoro, assoggettati a procedure
concorsuali intervenute anteriormente all’entrata in vigore del
decreto legislativo, un’indennità per i crediti di cui al comma 1,
realizzerebbero un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto
ai lavoratori dipendenti da datori assoggettati soltanto ad
esecuzione individuale, giacché essi non godrebbero di alcuna
garanzia per crediti dello stesso tipo.
Anche sotto questo profilo, la proposta questione di
costituzionalità non appare fondata. In proposito, va premesso che
l’attuale sistema di tutela dei crediti dei lavoratori subordinati
dipendenti da datori di lavoro soggetti a procedure concorsuali trae
origine dalla direttiva 80/19987/CEE, concernente appunto “il
ravvicinamento” – da effettuarsi entro il termine ultimo del 23
ottobre 1983 – delle legislazioni degli Stati membri relative alla
tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di
lavoro. La Corte di giustizia delle comunità europee, chiamata a
pronunciarsi in questa vicenda, ha, dapprima, giudicato l’attuazione
di questa direttiva, contenuta nella legge 29 maggio 1982, n. 297,
inidonea all’adempimento dell’obbligo di conformarsi e
successivamente ha statuito che lo Stato italiano era comunque tenuto
a risarcire i danni derivanti ai singoli da questo mancato
adempimento nei termini prefissati (Corte di giustizia, 2 febbraio
1989 C-22/1987 e 19 novembre 1991, cause riunite C-6 e 9/1990).
Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, emanato
nell’esercizio della delega conferita al Governo dalla legge
comunitaria per il 1990, ha infine dato attuazione alla predetta
direttiva, determinando un quadro normativo, che, da un lato,
estende, per il futuro, l’ambito di tutela non solo ai dipendenti da
datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali, ma anche ai
dipendenti da qualsiasi datore di lavoro (art. 1, rispettivamente
commi 1 e 2); dall’altro lato, invece, riconosce ai soli lavoratori
dipendenti da datori di lavoro soggetti a procedure concorsuali il
diritto al pagamento dell’indennità di cui all’art. 2, comma 7, del
citato decreto n. 80, in riferimento alle situazioni venute a
maturazione dopo la data ultima di attuazione della direttiva, ma
prima dell’entrata in vigore del predetto decreto. Questo quadro
normativo, che prevede trattamenti differenziati per categorie di
soggetti e per situazioni temporali, si conforma quindi, in linea di
principio, alla direttiva comunitaria che recepisce, anche se è
evidente che la scelta di tutelare, per il futuro, pure i crediti dei
lavoratori dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a
procedura concorsuale non deriva da vincoli comunitari, ma è
imputabile unicamente alla mera discrezionalità del legislatore
italiano.
Era invece doveroso, per lo stesso legislatore italiano, prevedere
il soddisfacimento degli obblighi risarcitori conseguenti alla
tardiva attuazione della direttiva in oggetto, proprio perché la
Corte di giustizia aveva statuito che “è nell’ambito delle norme del
diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è
tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato” dalle
violazioni del diritto comunitario, quali, tra l’altro,
l’inadempimento accertato da una sentenza (Corte di giustizia, 19
novembre 1991, C-6 e 9/1990). In questa ottica, pertanto, è stata
formulata la norma dell’art. 2, comma 7, del decreto in oggetto, la
quale è coerentemente limitata a quei soli lavoratori dipendenti,
che la direttiva voleva garantire e nei confronti dei quali soltanto
era perciò configurabile la responsabilità dello Stato per la
tardiva attuazione della direttiva stessa.
In questo senso è appunto l’orientamento della Corte
costituzionale, che ha in particolare statuito che il lavoratore, il
quale agisce per il pagamento dell’indennità prevista dal comma 7
dell’art. 2, non fa valere un credito di lavoro, bensì un diritto
risarcitorio, diversamente da quanto disposto dal comma 1.
Coerentemente, secondo la Corte, l’intervento dell’Inps, quale
gestore del Fondo di garanzia, si articola secondo “due forme
distinte, corrispondenti al diverso titolo e alla diversa natura dei
diritti del lavoratore” previsti appunto dai due commi citati
(sentenza n. 512 del 1993). Il rinvio che il comma 7 dell’art. 2 fa
ai commi 1, 2 e 4 non è pertanto indice di omogeneità tra le due
situazioni, dato che mediante l’azione prevista dal comma 7 il
lavoratore fa valere un danno, la cui causa petendi non è costituita
dal rapporto di lavoro, bensì dalla mancata attuazione della
direttiva (sentenza n. 285 del 1993).
Gli stessi principi, del resto, sono stati affermati e più volte
ribaditi anche dalla Corte di cassazione, la quale, in conformità
alle pronunce della Corte costituzionale, ha osservato che non
sussiste identità di natura tra le diverse prestazioni previste
dall’art. 2 del decreto, giacché quella disciplinata dal comma 7 ha
natura non previdenziale, ma risarcitoria – anzi più esattamente
indennitaria – del danno derivante dalla tardiva attuazione della
direttiva comunitaria.
La diversità di natura e di contenuto tra le predette prestazioni
e la circostanza che soltanto nei confronti della categoria di
lavoratori contemplati dall’art. 2, comma 7, del decreto legislativo
n. 80 del 1992 sussiste la responsabilità dello Stato italiano per
il ritardo nel recepimento della direttiva e, di conseguenza, ad essi
soli può essere riconosciuto il relativo diritto risarcitorio,
dimostrano dunque che si tratta di una situazione assolutamente
peculiare, la cui disciplina non è irragionevole che sia limitata,
per la ratio che la ispira, a quella sola categoria di lavoratori,
senza estensioni ulteriori. Non si può pertanto procedere ad alcuna
forma di comparazione per difetto di omogeneità con altre situazioni
previste dalle stesse norme denunciate, e quindi si deve escludere
che la loro differente disciplina si ponga in contrasto con il
principio di eguaglianza.
5. – I profili di censura contenuti nell’ordinanza di rimessione in
riferimento all’art. 38 della Costituzione non hanno una motivazione
autonoma, ma comune con quelli relativi alla censura dell’art. 3,
cosicché l’infondatezza della questione in ordine al principio di
eguaglianza comporta anche l’insussistenza della lesione, così come
prospettata, dell’art. 38.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del combinato disposto di cui agli articoli 1, commi 1 e 2, e 2,
comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione
della direttiva 80/19987/CEE in materia di tutela di lavoratori
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) sollevata, in
riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di
Verbania con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il relatore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1998
Il direttore della cancelleria: Di Paola