Sentenza N. 413 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
07/12/1994
Data deposito/pubblicazione
07/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/11/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI,
prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento
e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) promossi con n. 2
ordinanze emesse il 24 gennaio ed il 16 marzo 1994 dalla Corte di
cassazione sui ricorsi proposti da Borghi Luciano e Della Noce
Luciano, iscritte ai nn. 187 e 295 del registro ordinanze 1994 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16 e 22,
prima serie speciale, dell’anno 1994;
Udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 1994 il Giudice
relatore Giuliano Vassalli;
pronunciate il 24 gennaio 1994 ed il 16 marzo 1994, la V Sezione
penale della Corte di cassazione, chiamata a decidere sui ricorsi
proposti da persone offese dal reato (una di queste, pure querelante)
avverso decreti di archiviazione adottati dal Pretore senza la previa
comunicazione alle dette persone, nonostante queste avessero
tempestivamente avanzato istanza di essere avvisate della eventuale
richiesta del pubblico ministero di archiviazione della notitia
criminis (nonché – così una soltanto delle due ordinanze – nei
confronti del provvedimento con il quale lo stesso Pretore aveva
disposto “la restituzione degli atti al Pubblico ministero per
un’eventuale richiesta di riapertura delle indagini e la notifica del
provvedimento al querelante per l’eventuale impugnazione”), ha
sollevato, di ufficio, in riferimento all’art. 24, secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimità sia dell’art. 156,
primo comma, delle norme di attuazione del codice di procedura
penale, “nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di
archiviazione adottato senza previa comunicazione della domanda del
pubblico ministero alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta
o, comunque, prima che sia decorso il termine per l’opposizione”, sia
del secondo comma dello stesso art. 156, “nella parte in cui non
prevede che tale nullità sia denunciabile con ricorso per
cassazione”.
2. – Premette il giudice a quo che nel procedimento davanti al
pretore trova sicura applicazione l’art. 126 delle norme di
attuazione, in base al quale, nel caso di richiesta della persona
offesa di essere informata della richiesta di archiviazione, il
pubblico ministero trasmette gli atti al giudice per le indagini
preliminari dopo la presentazione dell’opposizione della persona
offesa ovvero dopo la scadenza del termine per proporre opposizione.
Peraltro, il provvedimento di archiviazione adottato in violazione di
tale precetto non costituisce né un provvedimento abnorme,
suscettibile, quindi, di annullamento pur in mancanza di una espressa
previsione legislativa che ne preveda la sindacabilità, rientrando
la pronuncia del decreto di archiviazione fra i poteri del giudice;
né un provvedimento affetto da nullità ex art. 178, lettera c), del
codice di procedura penale, non essendo la posizione della persona
offesa o del querelante tutelata dalla disposizione ora ricordata
oltre i limiti derivanti dal precetto che sancisce la nullità della
citazione in giudizio.
Richiamati i decisa delle sentenze costituzionali n. 94 del 1992 e
n. 353 del 1991, rileva la Corte di cassazione che, poiché nel
procedimento pretorile il provvedimento di archiviazione è sempre
pronunciato de plano, resta impercorribile la possibilità, per un
verso, di ritenere nullo il provvedimento di archiviazione e, per un
altro verso, di consentirne la denunciabilità con ricorso per
cassazione.
In conclusione, è assente nel sistema normativo che dà
regolamentazione al procedimento pretorile una disposizione che, come
quella dell’art. 127, quinto comma, del codice di procedura penale –
appositamente richiamato, per il procedimento davanti al tribunale,
dall’art. 409, sesto comma, dello stesso codice – da un lato, preveda
la nullità in conseguenza della violazione del contraddittorio
cartolare e, dall’altro lato, contempli la ricorribilità in
cassazione del decreto adottato nonostante la detta violazione. Con
conseguente violazione del diritto di difesa dell’offeso dal reato,
al quale, pure, questa Corte, con la sentenza n. 353 del 1991, ha
assegnato valenza costituzionale.
3. – In nessuno dei due giudizi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, né si sono costituite le parti private.
relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con
un’unica sentenza.
2. – Oggetto comune di censura è l’art. 156 del testo delle norme
di attuazione del codice di procedura penale (approvato, insieme al
testo delle norme di coordinamento e transitorie, con il decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui (primo comma)
non prevede la nullità del decreto di archiviazione adottato senza
la previa notificazione della richiesta del pubblico ministero alla
persona offesa che ne abbia fatto domanda o, comunque, prima che sia
decorso il termine per proporre l’opposizione e nella parte in cui
(secondo comma) non prevede che tale nullità sia denunciabile con
ricorso per cassazione.
Sarebbe vulnerato l’art. 24, secondo comma, della Costituzione,
restando preclusa all’offeso dal reato, che si sia tempestivamente
attivato al fine di venire a conoscenza dell’eventuale richiesta del
pubblico ministero di non promuovere l’azione penale, la possibilità
di sottoporre le sue ragioni al giudice attraverso l’opposizione.
3. – Pure se due sono i precetti sospettati di illegittimità,
unica, in effetti, si presenta la questione sottoposta al vaglio
della Corte. Da un lato, infatti, si censura il primo comma dell’art.
156 delle norme di attuazione perché non fa derivare
dall’inosservanza del dovere di avviso alla persona offesa dal reato
la nullità del decreto di archiviazione; dall’altro lato, si fa
discendere, quasi a corollario, dalla detta omissione, la
corrispondente illegittimità del secondo comma dello stesso art. 156
perché non prescrive che avverso un provvedimento in tal modo
adottato venga attribuito alla stessa persona offesa il diritto di
proporre ricorso per cassazione. Il petitum avuto di mira dal giudice
a quo si rivela, quindi, decisamente incentrato sulla mancata
previsione della ricorribilità per cassazione del decreto di
archiviazione, a presidio della persona offesa che sia stata privata
del diritto di essere informata della richiesta avanzata dal pubblico
ministero; ricorribilità che, peraltro, dovrebbe scaturire dalla
dichiarazione d’illegittimità del primo comma dello stesso art. 156,
nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di
archiviazione adottato senza la notificazione del detto avviso. Il
che risulta univocamente confermato dagli stessi casi di specie,
relativi ad impugnative di decreti di archiviazione pronunciati
omettendo di informare la persona offesa che ne aveva fatto
richiesta. Di fronte a simili doglianze, la Corte di cassazione ha
ritenuto pregiudiziale, ai fini della verifica quanto
all’ammissibilità dei ricorsi – che altrimenti avrebbe dovuto,
nell’ottica interpretativa seguita, dichiarare inammissibili – porre
in discussione la conformità all’art. 24, secondo comma, della
Costituzione, del precetto – collocato nel capo XII delle norme di
attuazione, dedicato alle “Disposizioni relative al procedimento
davanti al pretore” – che disciplina l’opposizione alla richiesta di
archiviazione. E ciò sul presupposto che il sistema, così come
strutturato, non è in grado di apprestare alcuna protezione
all’offeso che sia stato privato dell’avviso della relativa
richiesta, in presenza di un provvedimento di archiviazione
pronunciato dal giudice per le indagini preliminari presso la
pretura.
4. – L’articolato incedere argomentativo delle ordinanze di
rimessione muove – con il costante richiamo al ricorso per
cassazione, tipico mezzo di tutela apprestato nel sistema
dell’archiviazione davanti al tribunale – dalla constatazione che il
sistema protettivo dell’offeso dal reato nel procedimento di
archiviazione pretorile diverrebbe puramente teorico ove la norma
censurata non venisse dichiarata illegittima nelle parti indicate,
perché la persona offesa, non potendo conoscere la richiesta del
pubblico ministero, non è posta in condizione di esercitare
l’opposizione alla quale è espressamente legittimata proprio in
forza dell’art. 156 delle norme di attuazione.
Con la conseguenza che il giudice a quo, mentre, per un verso,
censura la detta lesione del diritto di difesa, per un altro verso,
non ritenendo assimilabile – almeno sotto questo profilo –
l’archiviazione pretorile all’archiviazione nel rito di base, non
individua nella disciplina di questa procedura un tertium
comparationis, restando attestato all’invocazione, quale norma-parametro, del solo art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Anzi, come si vedrà dall’analisi del prosieguo della motivazione
delle ordinanze, proprio la diversità di struttura tra le due procedure renderebbe incompatibile, nella specifica materia, il regime di
garanzia dettato a favore della persona offesa di fronte al decreto
di archiviazione pronunciato dal giudice per le indagini preliminari
presso il tribunale. Il che appare subito confermato dal fatto che le
ordinanze di rimessione non hanno come diretto punto di riferimento
le norme codicistiche, essendo chiamati in causa in via immediata
soltanto due precetti delle norme di attuazione. Oltre, ovviamente,
l’art. 156 – la norma oggetto del giudizio di legittimità – l’art.
126 che, nel disciplinare le modalità dell’avviso alla persona
offesa della richiesta di archiviazione, prescrive che nel caso
previsto dall’art. 408, secondo comma, del codice di procedura
penale, il pubblico ministero trasmette gli atti al giudice per le
indagini preliminari dopo la presentazione dell’opposizione della
persona offesa ovvero dopo la scadenza del termine indicato nel terzo
comma del medesimo articolo. Una norma che, dettata per il
procedimento davanti al tribunale, viene ritenuta dal rimettente
estensibile al procedimento pretorile. Cosicché la questione resta,
più esattamente, definita nel sospetto di illegittimità dell’art.
156 delle norme di attuazione, nella parte in cui non prevede il
diritto della persona offesa dal reato di ricorrere per cassazione
avverso il decreto di archiviazione adottato dal giudice per le
indagini preliminari presso la pretura senza che sia stato osservato
il precetto dell’art. 408, secondo comma, del codice di procedura
penale, appositamente richiamato dall’art. 126 delle norme di
attuazione. Operando, in tal modo, un’ulteriore, più generale,
scelta interpretativa, nel senso, cioè, di considerare,
relativamente all’archiviazione nel procedimento davanti al pretore,
inoperante – almeno relativamente al quesito sottoposto all’esame
della Corte – l’art. 549 del codice di procedura penale che prescrive
l’osservanza per il procedimento pretorile delle norme relative al
procedimento davanti al tribunale “in quanto applicabili”.
5. – Pure se, dunque, ad essere direttamente chiamata in causa è
la mancata legittimazione a proporre ricorso per cassazione cui la
persona offesa dovrebbe accedere dopo la dichiarazione di
illegittimità della norma che non prevede come causa di nullità la
violazione dell’art. 408, secondo comma, del codice di procedura
penale, il fatto stesso che venga denunciato come contrastante con
l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, l’art. 156 delle norme
di attuazione sta a comprovare come attraverso la duplice
dichiarazione d’illegittimità richiesta il rimettente intenda
perseguire il solo risultato di consentire l’accesso al giudice,
attraverso l’opposizione, della persona offesa nei confronti della
quale sia stato omesso l’avviso di cui all’art. 408, secondo comma,
del codice di procedura penale.
6. – Le norme denunciate, quindi, pur riferendosi ad un momento
successivo (ed eventuale) rispetto a quello formalmente indicato dal
giudice a quo con la questione ora sottoposta al vaglio della Corte,
vengono perciò a rappresentare, insieme al già ricordato art. 126
delle norme di attuazione, gli unici precetti posti a tutela della
persona offesa nel procedimento davanti al pretore. Donde la
strumentalità del richiesto diritto di ricorrere per cassazione
rispetto a quello che rappresenta il punto di arrivo della proposta
questione, da identificare nella possibilità di proporre opposizione
anche nel caso in cui il decreto di archiviazione pretorile sia stato
adottato omettendo l’avviso di cui all’art. 408, secondo comma, del
codice di procedura penale.
Decisiva appare, in proposito, l’argomentazione contenuta nelle
ordinanze di rimessione che sembra implicitamente risolversi
nell’enunciazione del requisito della rilevanza: non potendo
l’archiviazione pronunciata in violazione dei diritti della persona
offesa qualificarsi né provvedimento nullo (e quindi annoverarsi tra
i provvedimenti affetti da nullità di ordine generale, l’unica
tipologia di vizio in grado di presidiare adeguatamente l’offeso dal
reato, salvaguardato dal regime delle nullità di cui all’art. 178,
lettera c), del codice di procedura penale, nel solo caso di
inosservanza delle disposizioni concernenti la “citazione in
giudizio”), né provvedimento abnorme (tale essendo soltanto il
provvedimento – non identificabile con quello emesso in violazione
dei diritti della persona offesa – “che, per la singolarità e
stranezza del suo contenuto, sta al di fuori delle norme legislative
e dell’intero ordinamento processuale”), né provvedimento
inesistente, la sola via per pervenire a rimuovere la violazione del
diritto di difesa dell’offeso dal reato in conseguenza della mancata
osservanza dell’art. 408, secondo comma, del codice di procedura
penale, sarebbe appunto quella di applicare la disciplina contemplata
per le ipotesi di nullità; così da consentire, attraverso il
rimedio richiesto, la demolizione del provvedimento e l’esercizio del
diritto di proporre opposizione. Davvero significativa risulta,
piuttosto, l’univocità del passaggio dal tipo di patologia,
individuato nella nullità del decreto, al tipo di tutela,
individuato nel ricorso per cassazione; e ciò nonostante che,
proprio in forza della ritenuta “dissociazione” dell’archiviazione
pretorile dall’archiviazione nel procedimento davanti al tribunale,
gli strumenti diretti – attraverso la caducazione del decreto emesso
in violazione dei diritti della persona offesa – ad apprestare un
rimedio in grado di consentire l’esercizio della facoltà di proporre
opposizione, potrebbero teoricamente profilarsi anche come plurimi.
D’altra parte, non trattandosi di sentenza o di provvedimento sulla
libertà personale, non potrebbe utilmente farsi ricorso al disposto
dell’art. 568, secondo comma, del codice di procedura penale, quale
norma derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi di
impugnazione.
Senonché l’individuazione di un simile strumento di tutela sembra
agevolmente ricavabile nel richiamo alla sentenza n. 353 del 1991 la
quale – dopo aver rilevato che se la legge lasciasse privo di tutela
l’offeso dal reato cui non venisse comunicato l’avviso di cui
all’art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, “la
denunciata omessa previsione si presenterebbe di dubbia
compatibilità con l’art. 24, secondo comma, della Costituzione” –
ebbe a dichiarare non fondate, “nei sensi di cui in motivazione”, le
questioni di legittimità dell’art. 178, lettera c), del codice di
procedura penale e dell’art. 409 dello stesso codice, nella parte in
cui tali norme non consentirebbero alcuna tutela alla persona offesa
dal reato nei confronti della quale sia stato omesso l’avviso della
richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero,
nonostante l’espressa domanda avanzata a norma dell’art. 408, secondo
comma, additando nel ricorso per cassazione la “disciplina che
consente di esperire un mezzo di gravame avverso il provvedimento
conclusivo di tale procedura”.
7. – Il giudice a quo, pur mostrando di condividere la soluzione
interpretativa a suo tempo adottata dalla Corte, l’ha però
rigorosamente circoscritta al procedimento davanti al tribunale dando
una particolare valenza al principio, enunciato dalla indicata
sentenza, in base al quale l’art. 409, sesto comma, del codice di
procedura penale, che ammette il ricorso per cassazione nei casi di
nullità previsti dall’art. 127, quinto comma, deve ritenersi
applicabile anche quando risulti colpita “all’origine la stessa
instaurazione del contraddittorio proprio del procedimento in camera
di consiglio”. Princip/’, dunque, secondo il giudice a quo, non
riferibili al provvedimento di archiviazione pretorile, adottato de
plano anche in caso di opposizione della persona offesa, senza,
dunque, poter fare alcun riferimento né alle forme prescritte
dall’art. 127 del codice di procedura penale ed al quinto comma di
tale articolo, che prevede la nullità per la violazione delle regole
riguardanti il contraddittorio cartolare consentito dall’art. 156
delle norme di attuazione, né ad una norma analoga all’art. 409,
sesto comma, del codice, che, appunto, consente il ricorso per
cassazione ove le regole poste a tutela del contraddittorio vengano
violate.
8. – La questione, nei termini che seguono, non è fondata.
Il tema della tutela della persona offesa dal reato cui non venga
data notizia della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico
ministero, nonostante l’espressa domanda formulata nella notizia di
reato o successivamente alla sua presentazione, è stato – come si è
più volte ricordato – già affrontato da questa Corte. Più in
particolare, con la sentenza n. 353 del 1991, venne precisato come
sussista il diritto della persona offesa di essere avvisata della
detta richiesta, un diritto “particolarmente valorizzato proprio
nello stadio delle indagini preliminari entro le quali si colloca il
procedimento di archiviazione”. La Corte pervenne, perciò, alla
conclusione che “l’offeso dal reato possa usufruire di una disciplina
che consente di esperire un mezzo di gravame avverso il provvedimento
conclusivo di tale procedura”: mezzo che venne individuato in quello
previsto dall’art. 127, quinto comma, del codice di procedura penale,
espressamente richiamato dall’art. 409, quinto comma, dello stesso
codice.
Alla persona offesa nei confronti della quale si sia mancato di
notificare l’avviso della richiesta di archiviazione fu così
riconosciuto il diritto di proporre ricorso per cassazione perché il
vizio derivante dalla detta omissione “con l’impedire all’offeso dal
reato ogni possibilità di contestare” la richiesta, “viene a colpire
all’origine la stessa potenziale instaurazione del contraddittorio
proprio dell’udienza in camera di consiglio”. Un vizio, dunque, da
ritenere “ancor più grave di quello derivante dall’omesso avviso
alla persona offesa, che abbia proposto opposizione, della data
fissata per la stessa udienza, in ordine al quale, pure, l’art. 409,
sesto comma, la legittima espressamente a ricorrere per cassazione”.
9. – Il giudice a quo ha contestato la riferibilità di tale
pronuncia al procedimento pretorile per il suo intrinseco
collegamento con la procedura in camera di consiglio prevista
esclusivamente con riguardo all’archiviazione pronunciata dal giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale. Ma si tratta di
un’interpretazione in contrasto sia con la ratio decidendi della
stessa sentenza n. 353 del 1991 sia con le successive statuizioni di
questa Corte in tema di archiviazione anche relativamente al
procedimento davanti al pretore. Senza contare che la giurisprudenza
della Corte di cassazione aveva già seguito la linea interpretativa
additata da questa Corte, anche nelle statuizioni immediatamente successive alla sentenza n. 353 del 1991, pure senza che ne venisse
direttamente coinvolta l’archiviazione pretorile.
10. – In primo luogo, il fatto che la sentenza n. 353 del 1991
possa apparire rigorosamente attestata al procedimento di
archiviazione davanti al tribunale non risulta di ostacolo – ove
venga individuata l’effettiva ratio della statuizione – alla
possibilità di una estensione al procedimento davanti al pretore del
rimedio da essa individuato in via interpretativa. Non può essere
infatti trascurata l’incidenza dei limiti del devolutum, circoscritto
al raffronto tra l’ipotesi del mancato avviso dell’udienza in camera
di consiglio (presidiato dal combinato disposto dell’art. 409, sesto
comma, e dell’art. 127, quinto comma) ed il mancato avviso della
richiesta del pubblico ministero. Tanto è vero che, pur
puntualizzandosi come “dall’esame congiunto” delle norme ora
ricordate risulta che esse “fanno, in tema di archiviazione, espresso
riferimento, integrandosi reciprocamente, alla sola archiviazione
pronunciata con ordinanza a seguito della procedura in camera di
consiglio fissata dal giudice che non accolga la richiesta del
pubblico ministero”, si ravvisò il dato più saliente del vizio
allora denunciato proprio nel fatto che se la persona offesa non
viene avvisata dell’udienza, potrà proporre ricorso per cassazione
invocando la nullità del provvedimento a norma dell’art. 127, quinto
comma, mentre di tale rimedio non avrebbe potuto farsi uso
nell’ipotesi della stessa persona offesa “che venga privata
dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico
ministero nonostante la sua espressa domanda di essere avvertita”. E
trattavasi di una soluzione fondata, oltre che sull’esigenza di
tutela dell’offeso dal reato – quanto agli strumenti adoperati per
rimuovere il vulnus – sulla necessità, perseguita dal legislatore,
di disciplinare l’archiviazione come istituto unitario, “a
prescindere dalle diversità sia delle cadenze procedimentali sia
della tipologia del provvedimento conclusivo”. Prova ne sia che,
nonostante le varie scelte invalidanti allora prospettate dai giudici
a quibus (alcune dirette a sindacare l’art. 178, lettera c), del
codice di procedura penale, altre facenti leva sull’art. 409 dello
stesso codice), questa Corte ritenne conforme a Costituzione
conseguire il medesimo risultato attraverso l’individuazione e
l’interpretazione delle norme effettivamente censurate proprio al
fine di dettare un identico regime protettivo per la persona offesa
che, “non informata della richiesta di archiviazione, è stata
privata della facoltà di opposizione”.
La ratio decidendi della sentenza n. 353 del 1991 non si collega,
dunque, se non per l’ipotesi normativa allora sottoposta al vaglio
della Corte, a quel procedimento in contraddittorio previsto per il
rito di base. Il suo reale valore prescrittivo è, infatti, nella
diretta tutela del diritto di difesa dell’offeso dal reato, che
“risulta nel sistema del nuovo codice di procedura penale,
particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini
preliminari, entro il quale si colloca il decreto di archiviazione”.
L’assenza di un immancabile collegamento con la procedura di cui
all’art. 127 era, del resto, resa evidente sia dalla circostanza che,
anche con riguardo all’archiviazione pronunciata dal giudice per le
indagini preliminari presso il tribunale veniva in considerazione un
decreto adottato de plano, sia soprattutto, dall’esigenza di
consentire alla persona offesa di essere protetta attraverso uno
strumento – il ricorso per cassazione – previsto dall’ordinamento per
situazioni, non solo fondate su un’identica ratio, ma addirittura
contrassegnate da un tasso maggiore di gravità.
Dunque è la sostanziale identità dei provvedimenti, sebbene
emessi a seguito di procedimenti di tipo diverso, che ha motivato la
scelta interpretativa ricavabile dalla sentenza n. 353 del 1991.
Perché se scopo essenziale dell’impugnazione è, nella specifica
materia, quello di porre riparo alla lesione dell’interesse della
persona offesa di sottoporre a controllo la scelta del pubblico
ministero di non esercitare l’azione penale, il medesimo interesse
dovrà essere tutelato anche quando l’archiviazione sia pronunciata
de plano ed il controllo dovrà a maggior ragione essere garantito
proprio quando, come nel procedimento pretorile, l’opposizione non
provochi l’instaurazione del rito camerale.
11. – L’unitarietà del fenomeno in esame – quali che possano
essere le divaricazioni normative provocate soprattutto dalla
necessità di dare attuazione, relativamente al procedimento
pretorile, all’art. 2, n. 103, della legge-delega, che prescrive il
principio di massima semplificazione, è stata successivamente
ribadita dalla sentenza n. 94 del 1992 con la quale – anche in
funzione del principio adesso ricordato – venne dichiarata non
fondata la questione di legittimità, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dello stesso art. 156 delle norme di attuazione “nella
parte in cui non prevede nel procedimento pretorile, in caso di
opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione,
l’audizione delle parti in camera di consiglio”.
Con tale decisione, dopo essersi puntualizzato che, a seguito
della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 554,
secondo comma, del codice di procedura penale – nella parte in cui
non prevede che anche nel procedimento pretorile il giudice per le
indagini preliminari, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le
indichi con ordinanza al pubblico ministero fissando il termine per
il loro compimento (sentenza n. 445 del 1990) – ne è derivata “sul
piano logico sistematico, un’espansione delle facoltà della persona
offesa”, cosicché “anche nel procedimento pretorile la sua
opposizione non sia più finalizzata solo al rigetto della richiesta
di archiviazione, ma possa anche consistere nella sollecitazione di
un’investigazione suppletiva”, si è espressamente statuito, con una
precisazione direttamente collegata proprio alla dichiarazione di non
fondatezza, costituendo una delle rationes decidendi che hanno
condotto la Corte a non ravvisare alcuna illegittimità nell’assenza
della procedura in camera di consiglio nell’archiviazione pretorile,
che “anche nel procedimento pretorile, qualora l’avviso sia omesso,
la persona offesa sia abilitata a proporre ricorso per cassazione”.
12. – Non può essere, infine, trascurato come la detta linea
interpretativa risulta accolta dalla giurisprudenza della Corte di
cassazione, la quale ha particolarmente insistito sulla violazione
del contraddittorio cui dà vita il mancato avviso della richiesta di
archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto domanda, non
soltanto nel senso della possibilità di instaurazione della
procedura in camera di consiglio ma anche (e soprattutto) come
lesione del diritto della persona offesa di proporre opposizione.
Fino ad affermare da ultimo (Sez. I, 13 aprile 1994, n. 1695) che
anche nel procedimento pretorile contro il decreto di archiviazione
è proponibile il ricorso per cassazione per far valere l’omesso
avviso della richiesta del pubblico ministero, qualora la persona
offesa abbia fatto istanza di essere preavvertita, trattandosi di una
causa di nullità che vanifica la stessa possibilità di
instaurazione del contraddittorio, in tal modo violando il diritto
della persona offesa a proporre opposizione e ad esercitare le
proprie ragioni.
13. – Il fatto, poi, che il giudice a quo invochi l’azionabilità
del ricorso per cassazione pure nel procedimento pretorile
rappresenta la conferma delle premesse sopra riportate, sicuramente
plurimi potendo profilarsi – al di fuori di uno spazio che ecceda
l’ambito interpretativo e, quindi, in un regime del procedimento di
archiviazione non sorretto da regole unitarie quanto ai sistemi di
tutela – gli strumenti volti a fornire alla persona offesa un
trattamento protettivo: si pensi soltanto alla possibilità di
richiedere la revoca del decreto direttamente al giudice che l’ha
pronunciato. Ma, proprio il rischio di compromettere il principio di
tassatività dei mezzi di impugnazione (ora, di nuovo, paventato dal
giudice a quo), risulta, ancora una volta, decisivo, sempre facendo
appello all'”esigenza, avvertita dal legislatore di disciplinare
l’archiviazione come istituto unitario, a prescindere dalla
diversità sia delle cadenze procedimentali sia della tipologia del
provvedimento conclusivo: un’esigenza già altre volte avvertita da
questa Corte proprio considerando “la finalità che accomuna tutte le
varie ipotesi di archiviazione” (sentenza n. 409 del 1990),
risultando così non intaccato, per l’assenza di ogni necessità di
ricorrere all’analogia, il limite segnato dall’art. 568 del codice di
procedura penale.
14. – Così interpretate, le norme sottoposte al vaglio di questa
Corte si sottraggono ad ogni contrasto con il parametro
costituzionale invocato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 156, primo e secondo comma,
del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie
del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevata, in riferimento
all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di
cassazione con le due ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: VASSALLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 7 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA