Sentenza N. 416 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
25/11/1993
Data deposito/pubblicazione
25/11/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/11/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
avv. Massimo VARI;
della Regione Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche ed
integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), promosso
con ordinanza emessa il 20 novembre 1992 dal Tribunale amministrativo
regionale della Calabria sul ricorso proposto da Tommaso Di Girolamo
contro la Regione Calabria ed altri, iscritta al n. 73 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visti l’atto di costituzione di Tommaso Di Girolamo nonché l’atto
di intervento della Regione Calabria;
Udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il Giudice
relatore Enzo Cheli;
Uditi l’avvocato Feliciano Serrao per Di Girolamo Tommaso e
l’avvocato Raffaele Mirigliani per la Regione Calabria;
Girolamo contro la Regione Calabria ed altri per l’annullamento degli
atti della commissione esaminatrice nel concorso interno per
l’accesso alla II qualifica dirigenziale nel settore delle attività
agricolo-forestali, nominata con decreto del Presidente della Giunta
regionale n. 39 del 1991, nonché per l’annullamento della delibera
della Giunta regionale n. 4319 del 5 agosto 1991, di approvazione dei
suddetti atti, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria –
con ordinanza del 20 novembre 1992 – ha sollevato d’ufficio questione
di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 97, primo
comma, e 98 della Costituzione, dell’art. 5 della legge regionale
calabra 5 maggio 1990, n. 55, “nella parte in cui non prevede la
presenza, in seno alle commissioni giudicatrici nelle selezioni per
l’avanzamento a dirigente di II qualifica, di membri esperti dotati
di specifiche competenze culturali e/o tecniche rispetto alle materie
previste dalle selezioni concorsuali”.
In ordine alla rilevanza di tale questione, il Tribunale
rimettente osserva che l’esame degli atti posti in essere dalla
commissione – impugnati nel giudizio a quo unitamente alla
deliberazione regionale di recepimento – presuppone “la preliminare
indagine circa la legittimità della normativa che detta i criteri di
composizione della commissione stessa”, atteso che l’illegittimità
di tale normativa “non potrebbe non riverberare conseguenze caducanti
– e non già meramente inficianti – sul complesso della attività
posta in essere (dalla commissione), nonché sulle deliberazioni di
relativo recepimento”. La rilevanza della questione prospettata
discenderebbe, pertanto, dallo “stretto nesso di consequenzialità
giuridica che connette la nomina di una commissione giudicatrice (e,
con essa, le disposizioni che la prevedono e la disciplinano) con gli
atti da questa di seguito posti in essere” nonché dal fatto che
l’accoglimento della stessa questione “determinerebbe, in via
derivata, l’annullamento dell’intero iter procedimentale”, con la
conseguente invalidazione degli atti che hanno formato oggetto di
impugnativa nel giudizio a quo.
Circa la non manifesta infondatezza della questione, lo stesso
Tribunale osserva che la norma impugnata, nel modificare il
preesistente art. 46 della l.r. 22 novembre 1984, n. 34 – dove si
prevedeva che la commissione fosse composta dal presidente della
Giunta regionale, in qualità di presidente, da due professori
universitari (designati dai Rettori delle Università calabresi), da
due magistrati amministrativi (designati dal Presidente del TAR della
Calabria) e da un rappresentante sindacale – ha disposto che, fermi
restando il presidente della Giunta regionale ed il rappresentante
sindacale, gli altri membri siano sostituiti dall’assessore regionale
al personale e da due consiglieri regionali, di cui uno in
rappresentanza della minoranza (designati dall’Ufficio di Presidenza
del Consiglio regionale, sentita la conferenza dei Presidenti dei
gruppi consiliari). Tale nuova composizione – secondo il giudice a
quo -, avendo fatto venir meno nella commissione la presenza
maggioritaria di membri dotati di specifiche competenze tecniche,
sostituiti con rappresentanti di nomina politica, non sarebbe idonea
a garantire il rispetto delle norme contenute negli artt. 97, primo
comma, e 98 della Costituzione, risultando in contrasto con i
principi espressi da questa Corte in materia di composizione delle
commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici (in particolare nella
sentenza n. 453 del 1990).
Tali principi – osserva ancora il giudice a quo – per il loro
carattere generale devono necessariamente trovare applicazione –
oltre che nei concorsi per l’accesso alla pubblica amministrazione –
anche nei concorsi “interni” o “riservati”, quale quello in esame, in
ordine ai quali resta, comunque, invariata l’esigenza di garantire
una oggettiva valutazione dei candidati e la selezione dei migliori
fra essi, offrendo la massima tutela possibile rispetto a possibili
ingerenze di natura politica, pregiudizievoli dell’imparzialità
della pubblica amministrazione.
2. – La parte privata, ricorrente nel giudizio a quo, è
intervenuta con una memoria adesiva alla tesi formulata dal giudice
rimettente, deducendo che la norma impugnata ha completamente
capovolto la corretta impostazione della precedente normativa
regionale, determinando una composizione esclusivamente politica
della commissione, in contrasto con i principi di imparzialità e di
destinazione dei pubblici impiegati al servizio esclusivo della
Nazione.
3. – Si è costituita in giudizio la Regione Calabria opponendo,
in primo luogo, l’inammissibilità della questione per difetto di
rilevanza.
Secondo la Regione il provvedimento costitutivo della commissione,
non formando oggetto del ricorso pendente innanzi al Tribunale
amministrativo, resterebbe in ogni caso sottratto, in quanto atto
inoppugnabile, alla cognizione del giudice a quo, con conseguente
irrilevanza della questione di costituzionalità sollevata di ufficio
nei confronti della normativa regionale che regola la composizione
della stessa commissione.
Nel merito, la questione è ritenuta infondata, dal momento che il
principio della partecipazione dei partiti politici alla formazione
dell’indirizzo politico nazionale, affermato nell’art. 49 della
Costituzione, porterebbe ad escludere la possibilità di attribuire
un disvalore così assoluto ad un sistema di composizione della
commissione giudicatrice quale quello di cui è causa. Ciò
risulterebbe, altresì, confortato dal fatto che la nomina politica
di alti magistrati o funzionari statali è prevista dal nostro
ordinamento ed è stata ritenuta da questa Corte conforme alla
Costituzione con le sentenze n. 1 del 1967 e n. 177 del 1973
(concernenti, rispettivamente, le nomine governative dei consiglieri
della Corte dei conti e dei consiglieri di Stato).
4. – In prossimità dell’udienza sia la Regione Calabria che la
parte privata ricorrente nel giudizio a quo hanno presentato memoria,
dove vengono sviluppate e approfondite le tesi annunciate nei
rispettivi atti di costituzione.
della legge regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche
ed integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), dove
si dispone che la commissione chiamata a formare le graduatorie nelle
selezioni interne per la copertura dei posti della seconda qualifica
dirigenziale è composta dal presidente della Giunta regionale o da
un suo delegato che la presiede; dall’assessore regionale al
personale; da due consiglieri regionali, di cui uno in rappresentanza
della minoranza; da un rappresentante sindacale, con qualifica non
inferiore a quella del posto messo a concorso.
Ad avviso del Tribunale amministrativo della Calabria tale
disposizione (che ha sostituito l’art. 46 della legge regionale 22
novembre 1984, n. 34, dove la stessa commissione risultava composta
dal Presidente della Giunta regionale, da due professori
universitari, ordinari di materie attinenti ai posti oggetto di
selezioni, da due magistrati amministrativi e da un rappresentante
sindacale) verrebbe a violare, “nella parte in cui non prevede la
presenza, in seno alle commissioni giudicatrici per l’avanzamento a
dirigente di 2ª qualifica, di membri esperti dotati di specifiche
competenze culturali e/o tecniche rispetto alle materie previste
dalle selezioni concorsuali”, il principio di imparzialità e buon
andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, primo
comma, della Costituzione nonché il vincolo posto a carico dei
pubblici dipendenti dall’art. 98 della stessa Costituzione di essere
al servizio esclusivo della Nazione.
2. – Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità
avanzata dalla Regione Calabria sul presupposto che la questione
sollevata dal Tribunale amministrativo risulterebbe estranea
all’oggetto del giudizio a quo, in quanto diretta a invalidare la
norma regolatrice della composizione della commissione del concorso
di cui è causa, laddove lo stesso giudizio risulta invece
delimitato, alla luce dei motivi enunciati nel ricorso, ai soli atti
valutativi espressi dalla commissione ed alla conseguente delibera
regionale approvativa di tali atti.
In proposito va, infatti, rilevato che il giudice rimettente,
nella sua ordinanza, si è dato carico di tale possibile eccezione
quando, proprio al fine di allontanare dalla questione proposta il
sospetto di ultrapetizione rispetto ai limiti della domanda avanzata
dal ricorrente nel giudizio a quo, ha argomentato sia in ordine al
“nesso di consequenzialità” che viene a collegare la nomina di una
commissione con gli atti dalla stessa posti in essere, sia in ordine
agli effetti caducanti che l’accoglimento della questione proposta
sarebbe in grado di determinare, in via derivata, nei confronti
dell’intero iter procedimentale svolto dalla commissione e, quindi,
anche nei confronti degli atti che hanno formato oggetto di espressa
censura.
Tali argomentazioni, quand’anche controvertibili, appaiono, ad
avviso di questa Corte, sufficienti a giustificare l’ingresso della
questione sollevata, ove si tenga conto dell’indirizzo, ripetutamente
espresso in sede di giudizio costituzionale, secondo cui “il
controllo sull’ammissibilità della questione potrebbe far
disattendere la premessa interpretativa offerta dal giudice a quo
solo quando questa dovesse risultare palesemente arbitraria, e cioè
in caso di assoluta reciproca estraneità fra oggetto della questione
e oggetto del giudizio di provenienza o quando l’interpretazione
offerta dovesse risultare del tutto non plausibile” (v., da ultimo,
sentenze nn. 103, 238, 345 del 1993).
Il che non si riscontra nel caso in esame.
3. – Nel merito la questione è fondata.
Questa Corte, con la sentenza n. 453 del 1990, ha avuto modo di
sottolineare come l’applicazione del principio di imparzialità ai
concorsi per l’ammissione ai pubblici impieghi imponga “il
perseguimento del solo interesse connesso alla scelta delle persone
più idonee all’esercizio della funzione pubblica, indipendentemente
da ogni considerazione per gli orientamenti politici e per le
condizioni personali e sociali dei vari concorrenti”. Da qui’ la
conseguenza che, nella composizione delle commissioni giudicatrici di
tali concorsi, “il carattere esclusivamente tecnico del giudizio
debba risultare salvaguardato da ogni rischio di deviazione verso
interessi di parte o comunque diversi da quelli propri del concorso”
e che la presenza in tali commissioni di tecnici ed esperti dotati di
titoli di studio e professionali adeguati alle materie oggetto delle
prove di esame “debba essere, se non esclusiva, quanto meno
prevalente, tale da garantire scelte finali fondate sull’applicazione
di parametri neutrali e determinate soltanto dalla valutazione delle
attitudini e della preparazione dei candidati”. Questi principi sono
stati confermati nella sent. n. 333 del 1993.
Giova, d’altro canto, rilevare che tale orientamento in tema di
imparzialità nei pubblici concorsi ha trovato un ulteriore (e più
radicale) svolgimento nell’ambito della nuova legislazione statale in
tema di pubblico impiego, posta con il d. lgs. 3 febbraio 1993, n.
29, dove, in tema di selezione del personale, è stato enunciato il
criterio fondamentale che le commissioni di concorso per l’accesso e
per la progressione del personale nei pubblici uffici siano composte
“esclusivamente con esperti di provata competenza, scelti tra
funzionari delle amministrazioni, docenti ed estranei alle medesime,
che non siano componenti dell’organo di direzione politica
dell’amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e che non
siano rappresentanti sindacali o designati dalle confederazioni ed
organizzazioni sindacali” (art. 8, lett. c).
L’applicazione dei principi richiamati – direttamente conseguenti
dal criterio di imparzialità che deve ispirare l’organizzazione e
l’azione amministrativa in tutti i suoi aspetti e che, di
conseguenza, viene a operare anche nei confronti di tutti i concorsi,
sia di accesso che di progressione nella carriera, per il pubblico
impiego – porta, pertanto, all’accoglimento della questione proposta:
e questo in relazione al fatto che la norma impugnata (a differenza
di quanto statuito nella precedente disciplina posta con l’art. 46
della legge regionale calabra n. 34 del 1984) ha previsto una
commissione giudicatrice composta interamente da rappresentanti
politici e sindacali, senza alcuna presenza di esperti o di
componenti dotati di specifica competenza tecnica rispetto alle prove
di esame.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge
regionale della Calabria 5 maggio 1990, n. 55 (Modifiche ed
integrazioni alle leggi regionali n. 34/1984 e n. 11/1987), nella
parte in cui non ha previsto la presenza, in seno alle commissioni
giudicatrici per l’avanzamento a dirigente di 2ª qualifica, di membri
esperti dotati di specifica competenza tecnica rispetto alle materie
previste per le selezioni concorsuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: CHELI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 25 novembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA