Sentenza N. 417 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1996
Data deposito/pubblicazione
27/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
promosso con ordinanze emesse:
1) il 2 marzo 1995 dal tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sul ricorso proposto da Iannucci Francesca contro Ente Poste
italiane, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1996 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale,
dell’anno 1996;
2) il 21 luglio 1995 dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale per la regione Marche, sui ricorsi riuniti proposti
da Perrone don Bartolomeo contro Provveditore agli studi di Ancona,
iscritta al n. 110 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno
1996;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di Contini Aurelia;
Udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
Iannucci Francesca, ex dipendente dell’Amministrazione delle poste e
telecomunicazioni, al fine di ottenere il riconoscimento del diritto
alla pensione di anzianità non soggetto alle disposizioni limitative
introdotte dall’art. 11, comma 16, della legge 24 dicembre 1993, n.
537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che prevede per i
dipendenti con un’anzianità contributiva inferiore ai 35 anni la
riduzione del trattamento pensionistico in proporzione degli anni
mancanti al raggiungimento di detto requisito contributivo secondo
determinate percentuali fissate dalla stessa legge – il tribunale
amministrativo regionale del Lazio, sezione seconda-bis, con
ordinanza emessa il 2 marzo 1995, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 18, della citata
legge n. 537 del 1993, il quale esclude dall’applicabilità della
nuova disciplina i dipendenti la cui domanda di pensionamento sia
stata accolta prima del 15 ottobre 1993.
Affermata la rilevanza della questione – poiché le dimissioni
presentate dalla ricorrente, in data 12 luglio 1993, erano state
accolte l’8 novembre dello stesso anno con decorrenza dal 1 dicembre
successivo – osserva il rimettente come sia irragionevole e fonte di
disparità di trattamento, per dipendenti in possesso di identici
requisiti, affidare alla pubblica amministrazione la libertà di
influire sul loro regime pensionistico a seconda che essa accolga o
meno la domanda di collocamento a riposo entro il predetto termine
del 15 ottobre 1993, al di là di ragioni plausibili atte a
giustificare la sottoposizione al nuovo regime. In tal modo, la
fruizione o meno del beneficio di cui alla norma impugnata verrebbe a
dipendere da circostanze di mero fatto, variamente incidenti sul
procedimento di accoglimento della domanda di pensionamento, inerente
a diritti fondamentali che possono subire alterazioni, non per
circostanze occasionali o elementi ab extra, ma solo attraverso
modifiche del sistema pensionistico.
2. – Nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura
dello Stato, chiedendo la declaratoria di non fondatezza della
questione, alla stregua della costante giurisprudenza della Corte,
secondo la quale non rilevano, ai fini del giudizio riferito all’art.
3 Cost., le cosiddette “disparità di mero fatto”, ossia quelle
differenze di trattamento derivate da circostanze accidentali e da
fatti contingenti, non riferibili alla norma in sé considerata.
3. – Nel corso di altro giudizio amministrativo – promosso da
Perrone don Bartolomeo, docente scolastico, il quale in data 17
dicembre 1993 aveva presentato le dimissioni, poi accolte il giorno
30 dello stesso mese – la Corte dei conti, sezione giurisdizionale
per la regione Marche, con ordinanza emessa il 21 luglio 1995, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11,
commi 16 e 18, della stessa legge n. 537 del 1993, “nella parte in
cui dispone la riduzione, anche per il personale della scuola
anticipatamente collocato a riposo la cui domanda di pensionamento
sia stata accolta dopo il 15 ottobre (1993), del trattamento
pensionistico in proporzione degli anni mancanti al raggiungimento
dell’anzianità contributiva di trentacinque anni”.
Affermata la rilevanza della questione, il collegio rimettente
sottolinea come il legislatore abbia trascurato la peculiare
posizione giuridica del personale della scuola (evidenziata dalla
Corte costituzionale nella sentenza n. 439 del 1994 e dalla recente
legge n. 335 del 1995): infatti, a norma dell’art. 10 del d.-l. 6
novembre 1989, n. 357, convertito con modificazioni nella legge n.
417 del 1989, detto personale viene necessariamente collocato a
riposo dal 1 settembre di ogni anno e colui il quale abbia presentato
le proprie dimissioni non può revocarle (anche se nel frattempo
formalmente accolte) dopo il 31 marzo successivo, mentre le
dimissioni presentate dopo tale data, ma prima dell’inizio dell’anno
scolastico, avranno effetto dal 1 settembre dell’anno che segue il
suddetto anno scolastico. Da ciò trae argomento per affermare che
il Provveditorato agli studi, non solo non ha alcun obbligo di
pronunciarsi con immediatezza sulle domande di pensionamento prima
che sia spirato il termine entro il quale le domande stesse possono
essere revocate, ma deve soddisfare lo specifico interesse di evitare
l’emanazione di provvedimenti la cui stessa esistenza è subordinata
all’esercizio del diritto potestativo di revoca delle dimissioni già
presentate dal dipendente. La qualcosa – nel mentre confligge con
l’art. 97 della Costituzione, stante la manifesta possibilità per
l’Amministrazione scolastica di procurare, con comportamenti non
censurabili, ingenti danni o indebiti vantaggi, sol procrastinando
ovvero tempestivamente accogliendo le domande di pensionamento
anticipato – rende ininfluente, sempre secondo il collegio
rimettente, la data di presentazione della domanda di dimissioni,
finendo col condizionare la misura del trattamento pensionistico
all’inerzia non censurabile della predetta Amministrazione. Donde la
violazione anche del principio di uguaglianza per disparità di
trattamento, sia rispetto ai dipendenti degli altri comparti del
pubblico impiego, per i quali sono applicabili le disposizioni di cui
alla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo e sul
diritto di accesso ai documenti amministrativi, sia nell’ambito del
medesimo comparto della scuola, potendosi verificare che un soggetto
con minore anzianità contributiva che abbia presentato domanda di
dimissioni prima del termine di cui alla norma impugnata venga a
godere – pur cessando dal servizio in coincidenza temporale con altro
soggetto avente maggiore anzianità contributiva la cui domanda di
pensionamento sia stata accolta dopo la predetta data del 15 ottobre
1993 – di un trattamento pensionistico migliore rispetto a
quest’ultimo.
In considerazione, infine, della doppia decurtazione gravante sia
sulla base pensionabile da cui si determina il trattamento
pensionistico in ragione del numero degli anni utili alla pensione,
sia sull’indennità integrativa speciale (che attualmente incide in
misura rilevante sul trattamento economico di servizio), ritiene il
collegio rimettente che le disposizioni censurate si pongano in
contrasto altresì con gli artt. 36 e 38 della Costituzione.
4. – Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato,
concludendo per l’inammissibilità o comunque per la declaratoria di
non fondatezza della questione.
Sottolinea l’Avvocatura come sia del tutto ragionevole che la legge
abbia fatto riferimento alla data di accoglimento delle dimissioni
escludendo ogni rilievo alla decorrenza delle stesse, di talché non
viene in essere alcuna differenza tra il personale della scuola ed il
restante personale dello Stato.
Quanto poi alle restanti censure – ribadito che la pubblica
amministrazione è comunque vincolata nell’adozione dei propri
provvedimenti dalle specifiche norme di legge – l’Avvocatura osserva
che la nuova disciplina (nell’ottica di dissuasione dei pensionamenti
anticipati, perseguita dal legislatore ai fini di un equilibrato
contenimento della spesa pubblica) ragionevolmente ha adeguato le
misure della pensione di anzianità in termini che tengano conto
della percezione anticipata di essa rispetto al trattamento di
vecchiaia.
5. – Nel medesimo giudizio promosso dalla sezione giurisdizionale
per la regione Marche della Corte dei conti, ha depositato atto di
intervento ad adiuvandum Aurelia Contini, dipendente in pensione
dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, concludendo per
l’accoglimento della sollevata questione in conformità alle
motivazioni svolte dal collegio rimettente.
legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 18, della legge 24
dicembre 1993, n. 537. La norma si porrebbe in contrasto con gli
artt. 3 e 36 Cost., essendo irragionevole e fonte di disparità di
trattamento, rispetto a dipendenti in possesso di identici requisiti,
affidare alla pubblica amministrazione la libertà di influire sul
loro regime pensionistico – riguardante diritti fondamentali,
suscettibili di alterazioni solo attraverso modifiche del sistema
pensionistico e non per circostanze occasionali – a seconda che essa
stessa accolga o meno la domanda di collocamento a riposo entro il
termine del 15 ottobre 1993.
1.2. – La sezione giurisdizionale per la regione Marche della Corte
dei conti solleva, a sua volta, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18 della stessa legge 24
dicembre 1993, n. 537, “nella parte in cui dispone la riduzione,
anche per il personale della scuola anticipatamente collocato a
riposo la cui domanda di pensionamento sia stata accolta dopo il 15
ottobre (1993), del trattamento pensionistico in proporzione degli
anni mancanti al raggiungimento dell’anzianità contributiva di
trentacinque anni”. Secondo la prospettazione le norme sarebbero
lesive:
a) dell’art. 3 Cost., poiché la mancata considerazione del
peculiare sistema di presentazione e decorrenza delle dimissioni nel
comparto nella scuola verrebbe a determinare una disparità di
trattamento, sia rispetto ai dipendenti degli altri comparti del
pubblico impiego, per i quali sono applicabili le disposizioni di cui
alla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo e sul
diritto di accesso ai documenti amministrativi, sia nell’ambito del
medesimo comparto della scuola, potendosi verificare che un soggetto
con minore anzianità contributiva che abbia presentato domanda di
dimissioni prima del termine di cui alla norma impugnata venga a
godere – pur cessando dal servizio in coincidenza temporale con altro
soggetto avente maggiore anzianità contributiva, la cui domanda di
pensionamento sia stata accolta dopo la predetta data del 15 ottobre
1993 – di un trattamento pensionistico migliore rispetto a
quest’ultimo;
b) degli artt. 36 e 38 Cost., stante la doppia decurtazione
gravante, tanto sulla base pensionabile che serve per determinare il
trattamento pensionistico in ragione del numero degli anni utili alla
pensione, quanto sull’indennità integrativa speciale;
c) dell’art. 97 Cost., attesa la possibilità per
l’amministrazione scolastica di procurare, con comportamenti non
censurabili, ingenti danni o indebiti vantaggi, sol procrastinando
ovvero tempestivamente accogliendo le domande di pensionamento
anticipato.
2. – Preliminarmente dev’essere dichiarata l’irricevibilità
dell’atto di intervento depositato da Aurelia Contini nel giudizio
promosso dalla sezione per la regione Marche della Corte dei conti
(r.o. n. 110 del 1996). Difatti la relativa ordinanza di rimessione
è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 21
febbraio 1996, mentre l’atto di intervento è stato depositato solo
il successivo 15 novembre, quindi ben oltre il termine previsto
dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dall’art. 3 delle
norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
L’atto – dal quale tra l’altro dovrebbero essere desunti gli elementi
che comprovino l’ammissibilità dell’intervento nonostante la Contini
non sia parte nel giudizio di merito – non può pertanto essere preso
in considerazione.
3. – Le questioni sollevate dai due collegi rimettenti, stante la
loro stretta connessione, vanno esaminate congiuntamente.
Esse non sono fondate.
3.1. – Le norme oggetto del presente vaglio di costituzionalità si
inseriscono nel processo di radicale riconsiderazione del trattamento
di anzianità, iniziato con l’adozione dei cosiddetti “decreti
catenaccio”, succedutisi a breve distanza di tempo (legge n. 438 del
1992; legge n. 537 del 1993; decreto-legge n. 553 del 1994;
decreto-legge n. 654 del 1994 e legge n. 724 del 1994), che ebbero a
disporre il blocco della liquidazione dei pensionamenti anticipati, e
infine concluso dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, che prevede a
lungo periodo la graduale soppressione dell’istituto. Nella complessa
opera di riforma il legislatore è così passato da un iniziale
intervento di ripristino degli equilibri finanziari delle diverse
gestioni, realizzato attraverso un contingente risparmio monetario,
ad una soluzione di natura strutturale, diretta ad incidere sugli
stessi requisiti del pensionamento. L’opzione sottesa all’adozione di
siffatti provvedimenti, realizzata attraverso la previsione di
disincentivi alla pratica delle dimissioni volontarie prima del
raggiungimento dell’anzianità contributiva minima trentacinquennale,
muove dalla necessità – esplicitata negli stessi testi normativi e
messa in luce anche durante i relativi lavori preparatori – di
influire, in correlazione al coesistente programma di
omogeneizzazione tra i regimi del settore pubblico e del settore
privato, sull’andamento tendenziale della spesa previdenziale
mediante la stabilizzazione entro determinati livelli del rapporto
tra la spesa medesima ed il prodotto interno lordo.
3.2. – Orbene, i collegi rimettenti non censurano l’adozione, in
quanto tale, del termine del 15 ottobre 1993, cui il legislatore ha
inteso ricollegare la produzione degli effetti delle norme in esame.
Essi si limitano a ritenere lesiva degli artt. 3 e 97 della
Costituzione la scelta di rapportare la scadenza di detto termine,
invece che alla data di presentazione della domanda di dimissioni del
pubblico dipendente, a quella del suo accoglimento da parte
dell’amministrazione di appartenenza. E ciò – per quanto
specificamente attiene alla controversia davanti alla Corte dei conti
– anche avuto riguardo alla peculiare posizione del personale docente
della scuola, il quale, ai sensi dell’art. 10 del decreto-legge n.
357 del 1989, convertito con modificazioni nella legge n. 417 dello
stesso anno, viene necessariamente collocato a riposo, per rispetto
delle esigenze di buon andamento dell’attività scolastica, con
decorrenza dal 1 settembre di ogni anno.
In sostanza, le lamentele muovono dall’assunta premessa che la
riduzione o meno del trattamento pensionistico verrebbe determinata
da un dato occasionale connesso al grado di celerità (non sempre
sindacabile) dell’amministrazione nell’istruire e nell’accogliere la
domanda di dimissioni.
3.3. – Ricorda anzitutto la Corte che, secondo il suo consolidato
orientamento giurisprudenziale, le cosiddette disparità di mero
fatto – ossia quelle differenze di trattamento che derivano da
circostanze contingenti ed accidentali, riferibili non alla norma
considerata nel suo contenuto precettivo ma semplicemente alla sua
concreta applicazione – non danno luogo a un problema di
costituzionalità, nel senso che l’eventuale funzionamento patologico
della norma stessa non può costituire presupposto per farne valere
una illegittimità riferita alla lesione, vuoi del principio di
uguaglianza (sentenze nn. 295 e 188 del 1995), vuoi di quello del
buon andamento della pubblica amministrazione.
Tanto premesso, va osservato che l’adozione della data di
accoglimento delle dimissioni quale discrimine oggettivo tra il nuovo
ed il vecchio regime trova plausibile spiegazione, sul piano
giuridico, nella natura costitutiva del relativo provvedimento
amministrativo, rispetto al quale la volontà del dipendente
rappresenta soltanto il presupposto necessario, e nel conseguente
effetto estintivo del rapporto di pubblico impiego, le cui norme
generali e speciali rimangono transitoriamente in vigore fino alla
stipulazione dei contratti collettivi disciplinati dal
decretolegislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Sicché la scelta di
privilegiare il momento temporale coincidente con l’accoglimento
delle dimissioni – peraltro già fatta negli stessi termini dall’art.
2, comma 1, lettera e), della legge n. 438 del 1992, diversamente da
quanto previsto nella precedente lettera d) per l’impiego privato –
non può considerarsi viziata da quelle manifeste ragioni di
irrazionalità ovvero da quelle discriminazioni prive di fondamento
giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare l’ampio potere
discrezionale riservato al legislatore in materia (v. sentenza n. 185
del 1995).
D’altronde, stante la palese estraneità al dettato normativo di
qualsiasi riferimento alla decorrenza delle dimissioni e quindi – per
quanto qui interessa – alla peculiare posizione del personale della
scuola pur rilevata dalla Corte con la sentenza n. 439 del 1994, non
è dato in alcun modo ravvisare l’asserita disparità di trattamento
tra detto personale e quello degli altri comparti per via della
prefissione di un unico termine valevole nei confronti di tutti i
pubblici dipendenti.
Ancor meno è poi configurabile una disparità all’interno dei
rispettivi comparti di appartenenza dei singoli dipendenti, a seconda
che la domanda sia stata accolta prima o dopo la data fissata. Qui
infatti il diverso trattamento deriva, all’evidenza, dalla semplice
circostanza di trovarsi o meno nelle condizioni dalla norma previste
in via generale con riguardo a tutte le categorie coinvolte. Per cui,
se determinati soggetti – quali i ricorrenti nei giudizi a quibus, le
cui domande di dimissioni non erano state accolte e, nel caso
sottoposto alla Corte dei conti, addirittura neppure presentate –
sono rimasti esclusi dagli effetti della salvaguardia delle
rispettive posizioni sancita dal censurato comma 18, ciò è avvenuto
solo perché le loro aspettative non erano pervenute a quello stadio
di consolidamento ritenuto necessario dal legislatore, secondo il non
irrazionale criterio da esso seguìto nell’ottica della sua opzione
(v. anche sentenza n. 390 del 1995).
3.4. – Passando ora all’esame del prospettato vulnus agli artt. 36
e 38 della Costituzione, non può non cominciarsi col rilevare che il
comma 19 del censurato art. 11 fa espressamente salva – per coloro i
quali abbiano presentato domanda di collocamento in pensione
successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge – la
possibilità di revocare la domanda stessa e, addirittura, di
chiedere, qualora nel frattempo essi siano cessati dal servizio, la
riammissione con la qualifica e l’anzianità maturata all’atto del
collocamento a riposo, nonché con la facoltà di riscattare il
periodo scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo
aggiornati criteri attuariali. Tanto basta per ritenere che, nella
fattispecie, la posizione del soggetto viene adeguatamente garantita,
poiché la decurtazione prevista dal comma 16 – peraltro non
incidente sulla valutazione dell’anzianità di servizio ma solo
rapportata al numero degli anni mancanti per il raggiungimento del
limite trentacinquennale di anzianità contributiva – deriva da un
pensionamento cui l’interessato perviene per sua libera e consapevole
scelta, prima nel presentare le dimissioni e poi nel non revocarle
ovvero nel non richiedere la riammissione in servizio.
A quanto sopra va aggiunto che, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, gli evocati parametri non escludono affatto la
possibilità di un intervento legislativo che, per inderogabili
esigenze di contenimento della spesa pubblica, riduca in maniera
definitiva un trattamento pensionistico in precedenza previsto,
considerato che esiste il limite delle risorse disponibili e che, in
sede di manovra finanziaria di fine anno, spetta al Governo ed al
Parlamento introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò
sia necessario per salvaguardare l’equilibrio del bilancio dello
Stato e perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria (v.
sentenze nn. 390 e 99 del 1995, n. 240 del 1994 e n. 119 del 1991).
Né vale in contrario il richiamo – nel quale si esaurisce la
motivazione del vizio di costituzionalità prospettato dalla Corte
dei conti – alle sentenze n. 566 del 1989 e n. 204 del 1992. Queste
infatti riguardano, entrambe, casi del tutto diversi, in cui il
legislatore aveva disposto una decurtazione del trattamento
pensionistico “senza stabilire il limite minimo dell’emolumento
dell’attività esplicata, in relazione alla quale tale decurtazione
diventa(va) operante”. Laddove le disposizioni in esame contengono
tutte le coordinate della riduzione del trattamento operata
nell’ottica dissuasiva dei pensionamenti anticipati perseguita in via
generale dal legislatore, che ha fra l’altro previsto una riduzione
della misura della pensione di anzianità tenendo anche conto della
percezione anticipata di essa rispetto alla pensione di vecchiaia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 16 e 18, della legge
24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica),
sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Marche,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola