Sentenza N. 418 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1996
Data deposito/pubblicazione
27/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof.
Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (Ordinamento della
professione di dottore commercialista) e 1, primo ed ultimo comma,
del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di
ragioniere e perito commerciale) promosso con ordinanza emessa il 10
ottobre 1995 dal giudice di pace di Fano nel procedimento civile
vertente tra Polytech s.r.l. e Manifattura del Legno s.r.l., iscritta
al n. 929 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno
1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 novembre 1996 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
s.r.l.” corrente in Pesaro, per sentire condannare la ditta “MDL –
Manifattura del legno s.r.l.” al pagamento della somma di lire
3.570.000, oltre ad interessi, a titolo di compenso per l’attività
di consulenza aziendale svolta in favore della convenuta, il giudice
di pace di Fano ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, nonché
3, 4, 35 e 41 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 27
ottobre 1953, n. 1067 (Ordinamento della professione di dottore
commercialista) e 1, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre
1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere e perito
commerciale), nella parte in cui riservano concretamente in via
esclusiva a quei professionisti l’esercizio professionale nelle
materie della “economia” e della “consulenza aziendale”.
Il giudice remittente preliminarmente rileva di aver risolto
positivamente la questione, posta d’ufficio, dell’ammissibilità
della pretesa fatta valere in giudizio nell’impero della legge 23
novembre 1939, n. 1815, la quale all’art. 2 pone il divieto di
“costituire, esercitare o dirigere …. società, istituti …. i
quali abbiano lo scopo di dare ai terzi prestazioni di assistenza o
consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa,
contabile o tributaria”.
La natura dell’attività esercitata dall’attrice di consulenza
aziendale, secondo il giudice a quo, afferendo alla materia
economica, esorbita dal campo di applicazione del divieto di cui
all’art. 2 della legge n. 1815 del 1939.
Nella parte motiva dell’ordinanza di rimessione, lo stesso giudice
sostiene che l’attività di consulenza aziendale è riservata, per
specifiche disposizioni, nei confronti delle quali solleva questione
di costituzionalità, ai dottori commercialisti e ai ragionieri
iscritti negli appositi albi.
Oltre al divieto all’esercizio dell’attività di consulente da
parte di chi non sia iscritto negli albi delle categorie
professionali indicate, sempre ad avviso del giudice remittente,
l’art. 2229 cod. civ., prevedendo che la legge determina le
professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria
l’iscrizione in appositi albi o elenchi, con la conseguenza che i non
iscritti non possono pretendere il compenso di tipo professionale,
preclude l’esame della domanda della società ricorrente volta ad
ottenere la condanna al pagamento del compenso per l’attività svolta
in favore della convenuta.
Proprio sul carattere dell’attribuzione esclusiva dell’attività di
consulenza aziendale si fonda la violazione del criterio direttivo
della legge delega 28 dicembre 1952, n. 3060 sulla revisione degli
ordinamenti professionali di dottore commercialista e di ragioniere,
che all’articolo unico, lettera a), dispone che “la determinazione
del campo delle attività professionali non deve importare
attribuzioni di attività in via esclusiva”.
Oltretutto gli ultimi commi degli artt. 1 dei d.P.R. nn. 1067 e
1068 del 1953, dettati in applicazione del criterio direttivo della
legge delega appena richiamata sul divieto di attribuzione esclusiva
delle materie indicate agli iscritti negli albi dei commercialisti,
ben lungi dall’aver tale effetto, hanno – di contro, concretamente –
impedito l’esercizio di tale attività di consulenza a chi non sia
iscritto negli albi, dal momento che, secondo il suo tenore testuale,
solo i professionisti iscritti in altri albi possono esercitare nelle
stesse materie, purché loro attribuite da leggi e regolamenti.
Poiché nessuna legge prescrive alcun “albo dei consulenti
aziendali”, ne consegue che l’esercizio in via esclusivo
dell’attività professionale in materia “economica” ai commercialisti
e ai ragionieri assorbe anche quella di consulenza aziendale,
determinando l’esercizio esclusivo in favore di questi ultimi.
Si dubita, altresì, della legittimità costituzionale, sotto il
profilo della ragionevolezza, del diritto di eguaglianza e del
diritto al lavoro oltre che a quello d’impresa, della facoltà di
esercitare in materia economica, e in particolare in quella di
consulenza aziendale, “ai soli professionisti singoli”, non
organizzati in forma societaria.
2. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri eccependo preliminarmente l’irrilevanza della questione di
costituzionalità sollevata dal giudice di pace di Fano nel giudizio
a quo, tenuto conto che l’attrice è una società di capitali e non
un professionista cui si riferiscono le disposizioni impugnate.
Nel merito l’Avvocatura generale dello Stato contesta
l’interpretazione sistematica della normativa di riferimento su cui
si fondano le questioni di costituzionalità, soprattutto
sull’attribuzione in via esclusiva ai dottori commercialisti e ai
ragionieri delle “materie economiche” e “dell’economia aziendale”.
L’espressa attribuzione della competenza all’esercizio
professionale nelle materie appena indicate sia ai dottori
commercialisti che ai ragionieri e ai periti commerciali nonché a
tutti gli altri professionisti iscritti in altri albi cui quelle
stesse materie siano attribuite per leggi e regolamenti consente,
infatti, di ritenere assolto in pieno il dettato imposto dal
legislatore delegante.
Da ultimo l’asserito contrasto con i parametri normativi
costituzionali della limitazione ai soli professionisti singoli, non
organizzati in forma di società, si rileva infondato una volta
individuata la ratio della limitazione che muove dall’intuitiva
esigenza, corrispondente ad un rilevante interesse pubblico, che le
attività in questione, che godono di un regime giuridico specifico,
siano esercitate unicamente da professionisti iscritti in appositi
albi.
l’art. 1, primo e ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067
e l’art. 1, primo e ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n.
1068, nelle rispettive parti in cui riservano in via esclusiva
l’esercizio professionale nelle materie dell’economia e della
consulenza rispettivamente ai dottori commercialisti, e ai ragionieri
e periti commerciali, sotto il profilo della violazione dell’art. 76
della Costituzione per contrasto del decreto delegato con il criterio
direttivo formulato alla lettera e) della legge delega “sulla riforma
degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e
commercio e di ragioniere” (legge 28 dicembre 1952, n. 3060), secondo
cui “la determinazione del campo delle attività professionali non
deve importare attribuzioni di attività in via esclusiva”; le stesse
norme nella parte in cui riservano ai professionisti singoli, non
organizzati in forma societaria, l’esercizio professionale nelle
stesse materie, per violazione degli artt. 3, 4, 35 e 41 della
Costituzione sotto i profili della ragionevolezza, del diritto di
uguaglianza, del diritto di lavoro e del diritto di impresa.
2. – L’eccezione di inammissibilità per irrilevanza della
questione, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, non può
essere accolta in quanto l’ordinanza del giudice a quo motiva, sia
pure succintamente, sulla rilevanza, con una valutazione
astrattamente congrua e non contraddittoria.
3. – Le questioni sono prive di fondamento, in quanto le norme
delegate denunciate possono essere interpretate in senso conforme ai
principi e ai criteri direttivi fissati nella legge delega, anche
perché l’interprete è tenuto a scegliere, tra le varie
interpretazioni in astratto possibili, quella che non si pone in
contrasto con la Costituzione (v., da ultimo, sentenze n. 296 del
1995 e n. 360 del 1995).
Infatti, di fronte alla precisa prescrizione contenuta
nell’articolo unico, lettera a), della legge 28 dicembre 1952, n.
3060 (Delega al Governo della facoltà di provvedere alla riforma
degli ordinamenti delle professioni di esercente in economia e
commercio e di ragioniere) che “la determinazione del campo delle
attività professionali non deve importare attribuzioni di attività
in via esclusiva”, deve ritenersi che tale principio, di per sé
esaustivo, poteva intendersi derogato solo per effetto di un’univoca
ed espressa disposizione attributiva di funzioni e competenze
esercitabili solo dalla categoria professionale presa in
considerazione dalle norme delegate, che ne stabilivano l’ordinamento
(con esclusione di ogni altra categoria), a parte ogni profilo sulla
legittimità di una tale deroga.
Nella specie non solo nelle norme delegate non si rinviene alcuna
attribuzione in via esclusiva di competenze, ma viene riaffermato che
l’elencazione delle attività, oggetto della professione
disciplinata, non pregiudica né “l’esercizio di ogni altra attività
professionale dei professionisti considerati né quanto può formare
oggetto dell’attività professionale di altre categorie a norma di
leggi e regolamenti”. In altri termini la disposizione comporta, da
un canto, la non tassatività della elencazione delle attività; e,
dall’altro, la non limitazione dell’ambito delle attribuzioni e
attività in genere professionale di altre categorie di liberi
professionisti.
L’espressione “a norma di leggi e regolamenti”, di cui all’ultimo
comma di entrambe le disposizioni impugnate, dei d.P.R. nn. 1067 e
1068 del 1953, deve doverosamente essere intesa non con esclusivo
riferimento a professioni regolamentate mediante iscrizione ad albo,
ma anche, per quel che qui più rileva, con riferimento agli spazi di
libertà di espressione di lavoro autonomo e di libero esercizio di
attività intellettuale autonoma non collegati a iscrizione in albi.
Inoltre, una tale interpretazione si impone alla luce dei principi
affermati da questa Corte (sentenza n. 345 del 1995), in materia di
ordinamenti di categorie professionali, improntati a concorrenza
parziale ed interdisciplinarità e, non già a tutela corporativa di
ordini e collegi professionali, “il che porta ad escludere una
interpretazione delle sfere di competenza professionale in chiave di
generale esclusività monopolistica”.
Al di fuori delle attività comportanti prestazioni che possono
essere fornite solo da soggetti iscritti ad albi o provvisti di
specifica abilitazione (iscrizione o abilitazione prevista per legge
come condizione di esercizio), per tutte le altre attività di
professione intellettuale o per tutte le altre prestazioni di
assistenza o consulenza (che non si risolvano in una attività di
professione protetta ed attribuita in via esclusiva, quale
l’assistenza in giudizio), vige il principio generale di libertà di
lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi a seconda del
contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (salvi
gli oneri amministrativi o tributari).
4. – Passando all’esame della specifica attività oggetto della
ordinanza di rimessione, deve essere sottolineato che la
giurisprudenza prevalente, coerentemente al quadro normativo di
riferimento delineato, ha maturato l’indirizzo di considerare
l’attività di consulenza aziendale come non riservata agli iscritti
nell’albo dei dottori commercialisti o nell’albo dei ragionieri e
periti commerciali, potendo essere svolta anche da altri soggetti non
iscritti in albo.
Dalle predette considerazioni non solo risulta la esclusione della
violazione dell’art. 76 della Costituzione, ma anche viene in radice
eliminata ogni possibilità che le norme impugnate si pongano in
contrasto, secondo i profili denunciati (ragionevolezza,
eguaglianza, diritto di lavoro e libertà di impresa), con gli artt.
3, 4, 35 e 41 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1, primo ed ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n.
1067 (Ordinamento della professione di dottore commercialista) e 1,
primo ed ultimo comma, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068
(Ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale),
sollevata in riferimento agli artt. 76, 3, 4, 35 e 41 della
Costituzione, dal giudice di pace di Fano, con l’ordinanza indicata
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996
Il Presidente: Granata
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola