Sentenza N. 419 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
23/12/1998
Data deposito/pubblicazione
23/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18
luglio 1997 dal Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico
di Mohamed Zineddine, iscritta al n. 665 del registro ordinanze 1997
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998 il giudice
relatore Cesare Mirabelli.
dibattimento nel quale si procedeva con l’imputazione di millantato
credito, la seconda sezione penale del Tribunale di Torino ha
sollevato, in riferimento all’art. 25, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33
del codice di procedura penale, che, disciplinando le condizioni di
capacità del giudice, dispone, al secondo comma, che non si
considerano attinenti alla capacità del giudice, tra l’altro, le
disposizioni sull’assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici
giudiziari.
Il giudice rimettente rileva che, nel Tribunale di Torino, la
cognizione dei reati contro la pubblica amministrazione era
attribuita, secondo i criteri di ripartizione degli affari previsti
dalle tabelle approvate dal Consiglio superiore della magistratura,
sia alla prima che alla seconda sezione penale. L’assegnazione del
procedimento alla prima sezione era giustificata dal maggior carico
di lavoro che gravava sulla seconda sezione, cui era attribuito anche
il riesame delle ordinanze relative a misure coercitive, e che non
avrebbe consentito la sollecita definizione del giudizio. Tuttavia,
ad avviso del giudice rimettente, l’assegnazione del procedimento
alla prima sezione era da porre anche in relazione alla destinazione,
per svolgere le funzioni di pubblico ministero presso quella sezione,
dello stesso magistrato che aveva già trattato il medesimo
procedimento nella fase delle indagini preliminari. Sarebbe stata
così privilegiata l’esigenza – prevista dalle norme di attuazione
del codice di procedura penale per la designazione del pubblico
ministero, ma non per la scelta del giudice – che alla trattazione
del procedimento provveda, ove possibile, per tutte le fasi del
relativo grado di giudizio, il magistrato originariamente designato
(art. 3 delle norme approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989,
n. 271). Successivamente, intervenuta una variazione tabellare, il
procedimento, prima che venisse aperto il dibattimento, era stato
assegnato alla seconda sezione, anziché alla terza, alla quale era
egualmente attribuita la cognizione dei reati contro la pubblica
amministrazione. Ad avviso del giudice rimettente, anche in questo
caso la scelta sarebbe da porre in relazione alla
destinazione a quella sezione del magistrato del pubblico ministero
che aveva in precedenza trattato lo stesso procedimento.
Il giudice rimettente ricorda che la necessità di osservare il
principio costituzionale del giudice naturale, precostituito per
legge, è stata richiamata dal Consiglio superiore della magistratura
nella circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici
giudiziari. Il Consiglio ha difatti escluso sistemi discrezionali e
personalistici di distribuzione degli affari, mentre ha affermato che
deve essere impedita la scelta del giudice ad opera delle parti e
che, se una stessa materia è attribuita a più sezioni, deve essere
indicato il criterio di ripartizione degli affari tra le sezioni.
Il giudice rimettente ritiene che il sistema applicato nel
Tribunale di Torino per l’assegnazione dei procedimenti alle sezioni
sarebbe in contrasto con il principio di precostituzione per legge
del giudice (art. 25, primo comma, Cost.). Ma la disposizione
denunciata, stabilendo che non attengono alla capacità del giudice
le disposizioni sull’assegnazione dei processi alle sezioni,
impedirebbe di verificare se il procedimento sia stato assegnato in
contrasto con il principio costituzionale di precostituzione del
giudice e di sanzionare con la nullità, prevista per la violazione
delle disposizioni concernenti la capacità del giudice (art. 178,
comma 1, lettera a), cod. proc. pen.), anche l’inosservanza delle
norme che debbono presiedere alla distribuzione dei processi tra le
diverse sezioni di un medesimo ufficio giudiziario.
2. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata non fondata.
La norma denunciata – stabilendo che le disposizioni sulla
destinazione del giudice agli uffici e alle sezioni, sulla formazione
dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e
giudici, non attengono alla capacità del giudice – esclude che
eventuali violazioni determinino una nullità assoluta, così
evitando che vicende amministrative ed irregolarità formali
incidano, in modo spesso imprevedibile, sulla validità dei processi.
Ciò non significa che non debbano essere preordinate le tabelle per
la ripartizione in sezioni degli uffici giudiziari, per la formazione
dei collegi giudicanti e per l’assegnazione degli affari penali,
così come dispongono gli artt. 7-bis e 7-ter dell’ordinamento
giudiziario (regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12), aggiunti dagli
artt. 3 e 4 delle norme per l’adeguamento dell’ordinamento
giudiziario al nuovo processo penale (approvate con d.P.R. 22
settembre 1988, n. 449). Queste attività non assumono, tuttavia,
diretto rilievo processuale, giacché la sanzione della nullità è
riservata all’inosservanza delle disposizioni che dettano discipline
prive di rilevanti momenti di discrezionalità. Tuttavia, se si
verificano irregolarità formali che fanno escludere, in concreto, la
precostituzione del giudice o che sono sintomo di una composizione
dell’organo giudicante mirata in relazione ad un particolare
processo, opererebbe direttamente l’art. 25, primo comma, della
Costituzione. Difatti, ad avviso dell’Avvocatura, il concetto di
capacità potrebbe essere ricostruito, ai fini della nullità
prevista dall’art. 178 cod. proc. pen., comprendendo in esso il
requisito della precostituzione del giudice, imposto dalla norma
costituzionale. Se in concreto viene meno la precostituzione del
giudice, sarebbe violata la garanzia dell’imparzialità e, mancando
una delle condizioni di capacità del giudice, non troverebbe più
applicazione l’art. 33, comma 2, cod. proc. pen. Ad avviso
dell’Avvocatura, il giudice rimettente avrebbe, dunque, potuto
verificare la compatibilità del provvedimento di assegnazione del
processo direttamente con l’art. 25, primo comma, della Costituzione,
senza incontrare alcun ostacolo nella disposizione denunciata.
L’Avvocatura rileva, infine, che l’ordinanza di rimessione non
denuncia il contrasto del provvedimento di assegnazione del processo
con la garanzia di imparzialità del giudice, ma afferma piuttosto la
scarsa ragionevolezza dei criteri che hanno ispirato il provvedimento
di assegnazione; criteri che aggraverebbero ingiustificatamente il
carico di lavoro di una sezione del tribunale rispetto alle altre.
Ma questo non determinerebbe alcun contrasto con l’art. 25 della
Costituzione.
33, comma 2, del codice di procedura penale. Il Tribunale di Torino
ritiene che questa disposizione, stabilendo che non si considerano
attinenti alla capacità del giudice le disposizioni
sull’assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari,
possa essere in contrasto con il principio costituzionale del giudice
naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.),
giacché consentirebbe l’applicazione di criteri discrezionali e
personalistici di distribuzione degli affari e non impedirebbe che la
scelta del magistrato possa essere determinata dalle parti, senza che
operi la nullità assoluta, rilevabile
d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, prevista per
l’inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di
capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per
costituire i collegi (artt. 178, comma 1, lettera a) e 179 cod.
proc. pen.).
2. – L’art. 25, primo comma, della Costituzione, stabilendo, tra i
diritti dei cittadini, che nessuno può essere distolto dal giudice
naturale precostituito per legge, attribuisce ad essi la garanzia che
la competenza degli organi giudiziari è sottratta ad ogni
possibilità di arbitrio. Al fine di assicurarne la imparzialità, è
escluso che il giudice possa essere designato tanto dal legislatore
con norme singolari che deroghino a regole generali quanto da altri
soggetti con atti loro rimessi, dopo che la controversia è insorta
(sentenze n. 56 del 1967 e n. 460 del 1994; ordinanze n. 161 del 1992
e n. 176 del 1998).
Se il giudizio non può essere sottratto alla cognizione del
giudice naturale, individuato secondo regole generali prefissate dal
legislatore, ancor prima il medesimo giudizio non può essere
attribuito alla cognizione di un giudice costituito o designato in
relazione ad una determinata controversia: “precostituzione del
giudice e discrezionalità nella sua concreta designazione sono
criteri fra i quali non si ravvisa possibile una conciliazione”
(sentenza n. 88 del 1962). L’individuazione dell’organo giudicante
deve, dunque, rispondere a regole e criteri che escludano la
possibilità di arbitrio anche nella specificazione
dell’articolazione interna dell’ufficio cui sia rimesso il giudizio,
giacché pure nell’organizzazione della giurisdizione deve essere
manifesta la garanzia di imparzialità (v. sentenza n. 272 del 1998).
3. – Le norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al
nuovo processo penale (approvate con d.P.R. 22 settembre 1988, n.
449) hanno inteso dare risposta alle esigenze prima richiamate,
mediante la disciplina della predisposizione di tabelle degli uffici
giudicanti ripartiti in sezioni, della destinazione dei singoli
magistrati ad esse, della formazione dei collegi giudicanti, dei
criteri per l’assegnazione degli affari penali e per la sostituzione
dei giudici impediti (artt. 3 e 4).
Il giudice rimettente non pone in discussione queste regole. Ma,
assumendo che ne è stata fatta un’applicazione distorta ed orientata
alla scelta della sezione giudicante in relazione al magistrato del
pubblico ministero destinato alla trattazione del procedimento,
vorrebbe che anche i criteri di distribuzione delle cause tra
giudici, egualmente abilitati all’esercizio della funzione
giurisdizionale, rientrassero tra le condizioni della loro capacità.
4. – La questione, così prospettata, non è fondata.
L’art. 33, comma 1, del codice di procedura penale identifica la
capacità del giudice con l’idoneità a rendere il giudizio: vale a
dire con la riferibilità del giudizio ad organi titolari, secondo il
disegno dell’ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale,
quindi anche nella composizione prevista per la loro formazione
collegiale. I criteri di assegnazione degli affari nell’ambito di
tali organi esulano dalla nozione generale della loro capacità che,
riguardando la titolarità della funzione, non comprende quanto
attiene all’esercizio della funzione stessa, in relazione alla
organizzazione interna all’organo che ne è titolare. La ripartizione
degli affari nell’ambito dell’organo competente deve essere
effettuata secondo le regole proprie dell’organizzazione della
giurisdizione. Nel disegno normativo, è dunque evidente la
differenza tra le condizioni di capacità del giudice ed i criteri di
assegnazione degli affari. L’art. 33 cod. proc. pen., mantenendo
distinti questi due profili, non introduce, al secondo comma, una
eccezione alla regola generale relativa alla capacità del giudice,
ma ne definisce i contorni rendendone espliciti il contenuto ed i
limiti.
5. – Il principio costituzionale di precostituzione del giudice non
implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti
nell’ambito dell’ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere
obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano
necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale
capacità del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato
la nullità degli atti. Questo non significa che la violazione dei
criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non
vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi
dei quali le parti possano avvalersi. Ciò che, del resto, ammette
l’Avvocatura nel caso in cui in concreto la violazione delle regole
leda direttamente garanzie costituzionali.
Ma quando, come nel caso ora in esame, si assume che vi sia stata
una applicazione distorta delle regole dirette a rendere effettive
quelle garanzie, non è su tale situazione di fatto che può essere
fondata una valutazione di illegittimità costituzionale della norma
(tra le molte, sentenze n. 40 del 1998 e n. 175 del 1997; ordinanza
n. 255 del 1995).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento all’art. 25, primo comma, della Costituzione, dal
Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola