Sentenza N. 420 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1996
Data deposito/pubblicazione
27/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA;
comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme
sulla riforma fondiaria), e 19, comma 1, della legge regione Puglia
11 marzo 1988, n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e
alla organizzazione amministrativa dell’Ente regionale di sviluppo
agricolo della Puglia), promosso con ordinanza emessa il 26 settembre
1995 dal tribunale di Foggia nel procedimento civile vertente tra
Viscillo Michele Donato ed altra e Di Sapio Vito ed altra, iscritta
al n. 245 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno
1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 dicembre 1996 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
confinanti di un podere al fine di essere sostituiti ai convenuti,
affittuari coltivatori diretti, nell’acquisto del fondo stesso,
oggetto di assegnazione da parte dell’Ente regionale di sviluppo
agricolo della Puglia (ERSAP) e di successiva alienazione effettuata
dall’assegnatario con atto pubblico del 7 dicembre 1987, in
violazione del diritto di prelazione previsto in favore degli attori
– il Tribunale di Foggia, con ordinanza emessa il 26 settembre 1995,
ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost.,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, quarto comma,
della legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla
riforma fondiaria), e 19, comma 1, della legge regione Puglia 11
marzo 1988, n. 11 (Norme relative alle funzioni, agli organi e alla
organizzazione amministrativa dell’Ente regionale di sviluppo
agricolo della Puglia).
Affermata preliminarmente la mera annullabilità assoluta
(esperibile nel termine di cinque anni da chiunque vi abbia
interesse) del contratto con cui l’assegnatario – entro il limite dei
trent’anni dall’assegnazione e senza la autorizzazione dell’ente
preposto alla riforma fondiaria – concede il fondo in godimento ad un
coltivatore diretto, il rimettente fa propria una interpretazione
teleologica, estensiva del dato letterale del censurato quarto comma
dell’art. 4 della legge n. 379 del 1967 (per il quale il diritto di
prelazione dell’ente prevale su quello dei confinanti, che a loro
volta sono preferiti nei confronti di ogni altro avente diritto a
prelazione), secondo cui le altre categorie di soggetti titolari del
concorrente diritto di prelazione vanno appunto individuate nei
coltivatori diretti comunque insediati legittimamente sul fondo
(nella specie, per il mancato esercizio dell’azione di annullamento
nel termine prescritto).
Il Tribunale di Foggia coglie, dunque, una palese disarmonia tra
tale disciplina e quella della prelazione agraria ordinaria, di cui
alla legge 26 maggio 1965, n. 590, come modificata dalla legge 14
agosto 1971, n. 817, che attribuisce la prevalenza del diritto
dell’affittuario, del mezzadro, del colono ecc. su quello concorrente
dei proprietari confinanti.
Affermata la rilevanza della questione, data la sussistenza in capo
ai convenuti di tutti i requisiti oggettivi e soggettivi previsti
dalle leggi n. 379 del 1967 e n. 590 del 1965 (richiamata
quest’ultima dalla denunciata legge regionale n. 11 del 1988),
ritiene il rimettente – il quale peraltro non ignora la specialità
della normativa de qua – che la prospettata violazione del principio
di uguaglianza derivi dalla disparità di trattamento riservata dalle
norme censurate rispetto a situazioni analoghe, caratterizzate da
identica ratio ispiratrice, intesa a favorire il soggetto socialmente
più debole, agevolando la formazione della proprietà contadina
mediante la sua attribuzione a chi vi esercita l’attività
imprenditoriale di coltivazione diretta. Per cui, non sarebbe dato
capire il perché l’affittuario di un fondo originariamente
appartenente all’ente di riforma debba soccombere di fronte ai
confinanti che esercitino lo stesso concorrente diritto, mentre
l’affittuario di un fondo privato debba prevalere, nelle stesse
condizioni, sul diritto di questi ultimi ad essere privilegiati
nell’acquisto.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso per
l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione, in
ragione della contraddizione da cui muove l’ordinanza di rimessione,
là dove riconosce il carattere di specialità della normativa
censurata per poi negarlo nelle conclusioni, equiparandone la
disciplina a quella della prelazione agraria. Inoltre, l’Avvocatura
sottolinea la evidente forzatura operata dal giudice a quo
nell’assimilare le posizioni dell’occupante del podere oggetto della
riforma, nei confronti del quale non sia stata proposta l’azione di
annullamento del titolo, con quelle dell’affittuario, del colono e
del compartecipante di un comune fondo agrario.
costituzionale dell’art. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967,
n. 379, e dell’art. 19, comma 1, della legge regione Puglia 11 marzo
1988, n. 11, nella parte in cui non consentono all’affittuario
coltivatore diretto, insediato sul fondo dell’assegnatario
riscattante, di esercitare il suo diritto di prelazione a preferenza
dei proprietari coltivatori diretti dei terreni confinanti.
Secondo il rimettente, il diritto di prelazione previsto dalle
norme censurate sarebbe caratterizzato da una ratio ispiratrice –
finalizzata ad agevolare la formazione della proprietà contadina,
attribuendola a chi vi esercita l’attività imprenditoriale di
coltivazione diretta – identica a quella sottesa alla legge 26 maggio
1965, n. 590, come modificata dalla legge 14 agosto 1971, n. 817,
che dispone in materia di prelazione agraria ordinaria la prevalenza
del diritto dell’affittuario, del mezzadro o del colono, su quello
concorrente dei proprietari confinanti. Da ciò il contrasto con
l’art. 3 Cost., stante la disparità di trattamento di analoghe
situazioni.
2. – La questione non è fondata.
2.1. – L’innovazione più radicale apportata dalla legge 29 maggio
1967, n. 379, all’originario sistema introdotto dalle norme
fondamentali di riforma fondiaria del 1950 (leggi n. 250 e n. 841 del
1950) è da rinvenirsi nell’attribuzione all’assegnatario, che abbia
adempiuto agli obblighi essenziali derivanti dal rapporto di
assegnazione, della facoltà di riscattare anticipatamente il fondo,
estinguendo il proprio debito nei confronti dell’ente dopo soli sei
anni dalla relativa immissione nel possesso (art. 1). Si è così
venuta a mutare profondamente la precedente normativa, la quale –
configurando l’assegnazione come contratto di vendita con pagamento
rateale del prezzo in trenta annualità e riservato dominio dell’ente
sino all’integrale pagamento (art. 17, primo comma, della cosiddetta
legge Sila, n. 230 del 1950) – prevedeva l’inammissibilità di forme
di riscatto anticipato (art. 18, secondo comma), dal che conseguiva
l’impossibilità per l’assegnatario di diventare proprietario del
fondo prima dei trent’anni e, dunque, di poterne disporre. Peraltro,
a garanzia del mantenimento delle finalità sottese all’opera di
riforma, del necessario perdurante impegno professionale
dell’assegnatario-riscattante e della esclusione di intenti
speculativi, con l’art. 4 della stessa legge n. 379 del 1967 è stata
contemporaneamente introdotta una serie di vincoli e limitazioni alla
disponibilità dei fondi riscattati, mediante l’imposizione di un
regime di circolazione strettamente controllata dei fondi medesimi.
In tale contesto si inserisce la disposizione statale censurata,
che considera il diritto di prelazione dell’ente assegnatario
sovraordinato rispetto a quello dei coltivatori diretti proprietari
dei fondi confinanti, i quali a loro volta sono preferiti ad ogni
altro avente diritto a prelazione.
2.2. – Come emerge chiaramente dalla lettura dei lavori preparatori
(cfr. in particolare la seduta della Commissione agricoltura e
foreste della Camera dei deputati del 12 ottobre 1966), la ratio
ispiratrice di codesto sistema di prelazione si riporta “all’esigenza
di favorire l’attaccamento alla terra delle migliori energie rurali e
di impedire un esodo confuso, irrazionale dalle campagne”,
determinato da un uso tecnico aziendale delle terre divenuto, nel
tempo, inidoneo a soddisfare le necessità socio-economiche delle
unità ivi operanti, a cagione del limitato dimensionamento dei
singoli fondi di riforma. Sicché va considerata una precisa opzione
del legislatore, quella di privilegiare l’accorpamento dei poderi, in
modo da renderli capaci di un migliore sfruttamento, tuttavia
evitando, da una parte, la ricostituzione di proprietà
capitalistiche in sostituzione di quelle contadine create dalla
riforma “con ingente impiego di pubblico denaro” e, dall’altra, il
pericolo di una frammentazione terriera.
2.3. – L’istituto oggetto del presente vaglio di costituzionalità
si configura, pertanto, come affatto diverso rispetto all’ordinario
regime della prelazione agraria in favore dei soggetti contemplati
nell’art. 8 della legge n. 590 del 1965, che risulta ispirato a
tutt’altra ratio, intesa specificamente a privilegiare il coltivatore
diretto insediato sul fondo rustico allo scopo prioritario
(sottolineato dallo stesso collegio rimettente) “della concentrazione
nelle mani dell’erogatore del lavoro agricolo della proprietà del
fattore produttivo terra, sì da favorire la creazione di imprese
diretto-coltivatrici stabili”. Un regime – può aggiungersi – di
valenza essenzialmente privatistica, che solo in via gradata consente
la prelazione dei proprietari confinanti dando così un rilievo solo
secondario alla finalità di accorpamento dei fondi, e cui sono
teleologicamente estranee tutte quelle peculiari connotazioni
squisitamente pubblicistiche volute dal legislatore del 1967 per
incidere, in via temporanea, sulla libertà di circolazione del bene
onde salvaguardare appunto il conseguimento degli scopi della riforma
fondiaria.
Siffatte connotazioni sono facilmente individuabili (con riguardo
alla legge n. 397 del 1967, sostanzialmente riprodotta e richiamata
dalla legge della Regione Puglia n. 11 del 1988) nelle sancite
esclusioni della frazionabilità dei fondi (art. 4, primo comma),
della loro alienazione in favore di soggetti non aventi le prescritte
caratteristiche (art. 4, secondo comma) e della libera determinazione
del prezzo in misura superiore a quello riconosciuto congruo
dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura (art. 4, terzo comma),
nonché nella previsione, in caso di più confinanti che intendano
esercitare il diritto di prelazione, dell’esclusiva competenza
dell’ente di riforma a scegliere il soggetto preferito, appunto
“avuto riguardo alla migliore ripartizione del fondo ai fini
dell’accorpamento con i terreni confinanti” (art. 4, sesto comma).
2.4. – Si è allora in presenza di una disciplina peculiare, in sé
compiuta e marcatamente autonoma rispetto a quella della prelazione
agraria ordinaria, nella quale viceversa non viene in considerazione
la tutela delle rilevate particolari finalità istituzionali, che
hanno come loro esponenziale un soggetto assente nella comune
disciplina agraria, qual è l’ente di riforma. Il che spiega come la
legge n. 379 del 1967 non faccia riferimento alcuno agli istituti
tipici della prelazione agraria in favore del coltivatore diretto,
sebbene questa fosse stata già positivamente disciplinata dalla
preesistente legge n. 590 del 1965; e come, del pari, nel successivo
intervento operato dalla legge n. 817 del 1971 – inteso ad ampliare
il novero dei soggetti titolari del diritto di prelazione agraria
mediante l’inclusione, pur se in rapporto di postergazione, dei
proprietari dei fondi confinanti – non sia stato previsto alcun
collegamento con la vigente disciplina della prelazione qui in esame.
2.5. – Del resto, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare
come detta legge, in coerenza col sistema emergente dagli artt. 41,
42, 44 e 47 Cost., abbia creato uno “statuto proprietario
differenziato”, che si incentra non solo sul divieto di frazionamento
delle unità poderali costituite dagli enti di riforma fondiaria, ma
anche sull’esigenza, conseguita al processo d’industrializzazione
dell’agricoltura sopravvenuto dopo il 1950, di un loro accorpamento
al fine della conservazione delle aziende con dimensioni ottimali (v.
sentenze n. 233 del 1991 e n. 103 del 1985). Donde la preferenza
accordata, in sede di prelazione, ai coltivatori diretti proprietari
confinanti dei fondi di riforma oggetto di alienazione, i quali – è
il caso di aggiungere – hanno preso parte all’opera pubblica di
redenzione del latifondo, sopportandone i relativi oneri, obblighi e
sacrifici.
2.6. – Ne discende, chiaramente, che non è configurabile la
ingiustificata disparità di trattamento, con riguardo alla quale il
collegio rimettente sospetta la violazione del principio
d’eguaglianza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 4, quarto comma, della legge 29 maggio 1967, n. 379
(Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria), e 19, primo
comma, della legge regione Puglia 11 marzo 1988, n. 11 (Norme
relative alle funzioni, agli organi e alla organizzazione
amministrativa dell’Ente regionale di sviluppo agricolo della
Puglia), sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, dal tribunale di Foggia, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
Il direttore di cancelleria: Di Paola