Sentenza N. 421 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
01/12/1993
Data deposito/pubblicazione
01/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/11/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati
annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e
l’Italia, l’11 febbraio 1929), promosso con ordinanza emessa il 13
marzo 1992 dalla Corte d’appello di Torino nei procedimenti civili
riuniti vertenti tra Giuseppe Quercia ed Olimpia Barberio, iscritta
al n. 700 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno
1992;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 2 novembre 1993 il giudice
relatore Cesare Mirabelli;
Udito l’avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente
del Consiglio dei Ministri;
sede civile del matrimonio contratto da Giuseppe Quercia ed Olimpia
Barberio secondo le norme del diritto canonico e trascritto nei
registri dello stato civile, la Corte d’appello di Torino, con
ordinanza emessa il 13 marzo 1992, ha sollevato, in riferimento
all’art. 7, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione a favore
dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio
concordatario, stabilita dall’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n.
810, nella parte in cui dà esecuzione all’art. 34, quarto comma, del
Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e lo Stato
italiano.
La Corte di Torino premette che l’azione di nullità, in ordine
alla quale il Tribunale con la sentenza appellata aveva affermato il
proprio difetto di giurisdizione, era stata proposta dal marito ai
sensi dell’art. 122, secondo comma, del codice civile, sull’assunto
di avere contratto il matrimonio in stato di errore essenziale su
qualità personali dell’altro coniuge; precisa inoltre che il
giudizio era stato riunito a quello di delibazione della sentenza,
pronunciata tra le stesse parti dal Tribunale ecclesiastico regionale
piemontese, di nullità del matrimonio per errore dell’uomo circa una
qualità essenziale della donna.
Il giudice a quo, nel valutare se la riserva di giurisdizione a
favore dei tribunali ecclesiastici per le cause concernenti la
nullità del matrimonio concordatario trovi applicazione anche senza
la esplicita previsione di tale principio nell’art. 8 dell’Accordo
che apporta modificazioni al Concordato (firmato il 18 febbraio 1984
e ratificato in forza della legge 25 marzo 1985, n. 121), ritiene di
non condividere le motivazioni con le quali il giudice di primo grado
aveva affermato la conservazione della riserva, desumendola dai dati
testuali offerti dall’art. 8, nonostante l’abrogazione delle
disposizioni del Concordato non riprodotte nell’Accordo (art. 13). La
Corte d’appello osserva tuttavia che la conservazione, ritenuta
plausibile, della regola contenuta nel Concordato deriverebbe
dall’essere il principio della riserva di giurisdizione effetto di
una scelta dello Stato costituzionalmente garantita.
Il giudice rimettente prospetta il contrasto della norma
denunciata con l’art. 7, primo comma, della Costituzione, in quanto
consentire che il matrimonio concordatario sia dichiarato nullo
soltanto dai tribunali ecclesiastici vulnerebbe la sovranità dello
Stato. Motiva inoltre la rilevanza della questione affermando che il
riconoscimento della legittimità costituzionale della riserva di
giurisdizione matrimoniale a favore dei tribunali ecclesiastici, con
esclusione di quella concorrente dei giudici della Repubblica,
porterebbe a confermare la sentenza impugnata.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile o infondata.
L’Avvocatura rileva anzitutto che, come aveva ritenuto il giudice
di primo grado, l’art. 8 del nuovo Accordo determina gli effetti
nell’ordinamento italiano delle sentenze del tribunale ecclesiastico,
considerato come “il giudice competente”, ed i limiti in cui il
giudice dello Stato è chiamato a verificare le condizioni,
tassativamente indicate, alle quali l’efficacia di quelle pronunce è
subordinata; e ciò secondo una delimitazione delle rispettive sfere
di giurisdizione nell’ambito di un sistema non di concorrenza, ma di
alternatività e di complementarità.
Per l’Avvocatura nessun argomento in senso contrario potrebbe
trarsi dall’art. 13 dell’Accordo, per il quale “le disposizioni del
Concordato non riprodotte nel presente testo sono abrogate”, sia
perché per “disposizioni” non si possono intendere singole
proposizioni letterali, ma i diversi istituti costituenti materie del
Concordato, che in ipotesi siano stati esclusi dal nuovo Accordo, sia
perché nella sentenza di questa Corte n. 18 del 1982 la riserva di
giurisdizione era stata fondata non su meri argomenti letterali, ma
sul sistema dei rapporti tra i due ordinamenti, precisandosi che la
riserva di giurisdizione ecclesiastica nelle cause di nullità dei
matrimoni canonici trascritti agli effetti civili è funzionalmente
connessa e logico corollario della disciplina del negozio
matrimoniale canonico.
L’Avvocatura ritiene peraltro che la questione, sollevata nei
confronti della legge n. 810 del 1929, sia irrilevante per aberratio,
in quanto il riparto di giurisdizione in materia matrimoniale è in
realtà regolato dalla legge n. 121 del 1985. La questione sarebbe
inoltre inammissibile sotto altro profilo, perché formulata in modo
perplesso. Nel merito la riserva di giurisdizione sarebbe, comunque,
coerente con l’art. 7 della Costituzione, rappresentandone
un’articolata e logica applicazione.
3. – Nell’imminenza dell’udienza del 2 novembre 1993 l’Avvocatura
ha depositato una memoria, ribadendo che l’Accordo del 1984 ha
disciplinato in modo organico il matrimonio concordatario ed ha
stabilito gli effetti nell’ordinamento italiano delle sentenze di
nullità matrimoniale emesse dal tribunale ecclesiastico, che viene
considerato “il giudice competente”, fissando i poteri del giudice
italiano in sede di delibazione. È stata così operata una precisa
delimitazione delle rispettive sfere di giurisdizione, ciascuna delle
quali è individuata in modo rigoroso ed inequivocabile nell’ambito
di un sistema non di concorrenza ma di complementarità.
Nella memoria si ricorda una recente sentenza della Corte di
cassazione (n. 1824 del 1993) orientata in senso contrario al
mantenimento della riserva di giurisdizione matrimoniale
ecclesiastica, sul rilievo che nella nuova disciplina concordataria
non si rinviene più una disposizione che ne sancisca espressamente
il carattere esclusivo. Si tratta, ad avviso dell’Avvocatura, di una
lettura riduttiva, frutto di una tecnica di esegesi del testo tutta
giocata sulla extrapolazione più che di una coerente interpretazione
logica e sistematica. Indicati gli argomenti testuali che orientano
in senso contrario, l’Avvocatura ribadisce che nella sentenza della
Corte costituzionale n. 18 del 1982 è contenuta, in tema di riserva
di giurisdizione, una affermazione generale legata al riconoscimento,
da parte dello Stato, di effetti al
matrimonio come disciplinato, anche nella sua sostanza, dal diritto
canonico. Osserva inoltre che lasciare il giudizio sulla nullità dei
matrimoni canonici trascritti nell’ambito della sola giurisdizione
ecclesiastica appare conforme allo spirito del nuovo Accordo che, nel
rendere effettiva la collaborazione tra Stato e Chiesa in relazione
al matrimonio che gli sposi hanno inteso contrarre secondo le norme
del diritto canonico con effetti civili, esige il rispetto della
reciproca indipendenza dei due ordinamenti.
Dai lavori preparatori e dalle discussioni parlamentari
l’Avvocatura trae ulteriore argomento interpretativo, per affermare
che la concorrenza di giurisdizioni opera su un piano di integrazione
a livelli diversi: da una parte la giurisdizione ecclesiastica,
coerente alla disciplina del negozio; dall’altra la delibazione
statale, a garanzia dei principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale. Il testo del nuovo Accordo non suffraga, ad avviso
dell’Avvocatura, l’ipotesi che sull’accertamento della nullità del
matrimonio concordatario ci sia concorrenza alternativa della
giurisdizione ecclesiastica e della giurisdizione dello Stato; ma
riconosce la giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale,
ispirata a principi già verificati dalla Corte costituzionale, ed
attribuisce maggiori poteri al giudice civile nell’ambito del
procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica.
L’Avvocatura rileva infine che la questione prospettata dal
giudice a quo è stata già da tempo risolta negativamente dalla
Corte costituzionale; né vi sarebbe ragione di riproporla, perché
la premessa su cui si fonda è contraddetta dalla reale portata
dell’Accordo del 1984, che conferma la giurisdizione ecclesiastica,
nei limiti e con il più garantistico meccanismo di raccordo ivi
previsto con l’ordinamento processuale italiano. Questo significato
dell’Accordo, aggiunge conclusivamente l’Avvocatura, è coerente con
i principi generali della Costituzione ed in particolare con l’art.
7.
costituzionale della riserva di giurisdizione ai tribunali
ecclesiastici in ordine alla nullità del matrimonio concordatario,
la cui fonte normativa il giudice rimettente individua nell’art. 1
della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà esecuzione
all’art. 34, quarto comma, del Concordato tra l’Italia e la Santa
Sede dell’11 febbraio 1929, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale di questa disposizione in riferimento all’art. 7,
primo comma, della Costituzione.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri intervenuto nel giudizio dinanzi a questa
Corte, dopo avere affermato che la riserva di giurisdizione
ecclesiastica permane in base all’interpretazione sistematica
dell’art. 8 dell’Accordo di revisione del Concordato e concluso nel
merito per la infondatezza della questione, ha proposto due eccezioni
di inammissibilità in quanto:
a) la questione di legittimità costituzionale sarebbe
formulata in modo perplesso ed ondivago, sì da non consentirne la
identificazione;
b) il giudice rimettente avrebbe denunciato la legge n. 810 del
1929 in relazione all’art. 34 del Concordato, anziché la legge n.
121 del 1985 in relazione all’art. 8 dell’Accordo del 1984 che
apporta modificazioni al Concordato, disposizioni queste ultime che
disciplinano ora la materia ed in base alle quali la riserva, ad
avviso dell’Avvocatura, permane.
3. – Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di
inammissibilità, seguendo l’ordine logico loro proprio.
La prima eccezione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra perché
attinente alla stessa individuabilità dell’oggetto del giudizio, non
è fondata.
La Corte d’appello di Torino, esaminando la disciplina
concordataria della giurisdizione ecclesiastica in materia
matrimoniale, espone l’interpretazione dell’art. 8 dell’Accordo in
forza della quale il giudice di primo grado aveva escluso la propria
giurisdizione e, mostrando di non condividerla, si fa carico di una
diversa lettura ermeneutica che trae argomento da altri indirizzi
giurisprudenziali e dottrinali, sulla cui base ritiene plausibile che
la esclusività della giurisdizione ecclesiastica discenda ancora
dall’art. 34, quarto comma, del Concordato lateranense, attesa la
speciale garanzia costituzionale assicurata alle norme concordatarie.
In questa sede non sono censurabili l’itinerario logico seguito
dal giudice rimettente, né lo sviluppo argomentativo con il quale lo
stesso è pervenuto a sollevare la questione di legittimità
costituzionale, quando sia possibile individuare la questione stessa
(sentenze n. 55 del 1993 e n. 147 del 1985). Nella specie il tema di
decisione che il giudice rimet
tente sottopone all’esame della Corte risulta nell’ordinanza di
rinvio conclusivamente determinato con la richiesta che si verifichi
se la riserva di giurisdizione in materia matrimoniale, espressa
dall’art. 1 della legge n. 810 del 1929 in relazione all’art. 34 del
Concordato, permanendo ad avviso del giudice rimettente quelle
disposizioni, sia in contrasto con l’art. 7, primo comma, della
Costituzione.
4. – L’altra eccezione di inammissibilità riguarda l’indicazione
della norma sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale e
prospetta l’irrilevanza della questione in quanto, ad avviso
dell’Avvocatura, la Corte d’appello di Torino avrebbe dovuto fare
applicazione, per escludere la propria giurisdizione, della legge n.
121 del 1985 che ora regola la materia, mentre la questione è stata
sollevata nei confronti della legge n. 810 del 1929.
La valutazione della eccezione proposta dall’Avvocatura implica e
presuppone, perché ne sia accertata la fondatezza, di esaminare a
questo fine la disciplina dettata in materia dall’Accordo che apporta
modificazioni al Concordato lateranense. Difatti l’art. 13, primo
comma, dell’Accordo, secondo una lettura non frammentata di esso, nel
collocare la nuova disciplina in raccordo alla precedente e nel
contesto dei Patti richiamati dall’art. 7, secondo comma, della
Costituzione, fa in primo luogo riferimento alle disposizioni di
modificazione, che sono idonee a disciplinare ciascun istituto
concordatario regolando interamente la relativa materia.
Residualmente la seconda parte dello stesso art. 13, primo comma,
abroga le altre disposizioni non riprodotte.
Occorre quindi anzitutto considerare l’art. 8 dell’Accordo ed il
punto 4 del contestuale e complementare Protocollo addizionale, che
regolano la materia matrimoniale nei connessi aspetti sostanziale e
processuale.
Le nuove disposizioni rispecchiano il permanere di un sistema nel
quale gli effetti civili sono riconosciuti, mediante la trascrizione,
ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico e da
quell’ordinamento disciplinati nel loro momento genetico. Si è
dunque in presenza di un matrimonio religioso, cui i cittadini
possono accedere con una piena libertà di scelta e con le
conseguenze che ne derivano (sentenza n. 175 del 1973); rimane quindi
ferma la base del sistema matrimoniale concordatario.
Questa Corte, sul fondamento di considerazioni di principio non
ancorate a meri riferimenti testuali, ha individuato gli elementi
essenziali del sistema concordatario basato sul riconoscimento del
matrimonio canonico, ed ha fissato nella sua giurisprudenza principi
ai quali si è conformata la disciplina dell’Accordo.
La Corte stessa ha, difatti, già ritenuto che il matrimonio
religioso, validamente celebrato secondo la disciplina canonica, è
assunto quale presupposto cui vengono collegati, con la trascrizione,
gli effetti civili (sentenze n. 169 del 1971 e n. 176 del 1973).
L’atto rimane regolato dal diritto canonico, senza che sia operata
dall’ordinamento italiano una recezione di quella disciplina
(sentenza n. 169 del 1971), con quanto ne segue in ordine alla
giurisdizione. La Corte ha inoltre affermato che “se il negozio cui
si attribuiscono effetti civili, nasce nell’ordinamento canonico e da
questo è regolato nei suoi requisiti di validità, è logico
corollario che le controversie sulla sua validità siano riservate
alla cognizione degli organi giurisdizionali dello stesso
ordinamento, conseguendo poi le relative pronunce dichiarative della
nullità la efficacia civile attraverso lo speciale procedimento di
delibazione” (sentenza n. 18 del 1982, nonché n. 176 del 1973).
Nell’Accordo del 1984 permane il riconoscimento degli effetti
civili, mediante la trascrizione, ai matrimoni che, per libera scelta
delle parti, sono stati contratti secondo le norme del diritto
canonico e che rimangono regolati, quanto al momento genetico, da
tale diritto. Ne deriva che su quell’atto, posto in essere
nell’ordinamento canonico e costituente presupposto degli effetti
civili, è riconosciuta la competenza del giudice ecclesiastico.
Coerentemente con il principio di laicità dello Stato (sentenza
n. 203 del 1989), in presenza di un matrimonio che ha avuto origine
nell’ordinamento canonico e che resta disciplinato da quel diritto il
giudice civile non esprime la propria giurisdizione sull’atto di
matrimonio, caratterizzato da una disciplina conformata nella sua
sostanza all’elemento religioso, in ordine al quale opera la
competenza del giudice ecclesiastico. Il giudice dello Stato esprime
la propria giurisdizione sull’efficacia civile delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio, attraverso lo speciale
procedimento di delibazione regolato dalle stesse norme dell’Accordo
in modo ben più penetrante che nella disciplina originaria del
Concordato. Permane inoltre pienamente, secondo i principi già
fissati dalla Corte, la giurisdizione dello Stato sugli effetti
civili.
La ricognizione della nuova fonte consente di affermare che le
modificazioni del Concordato espresse dall’Accordo del 1984
disciplinano l’intera materia e impediscono, quindi, di fare ricorso
a testi normativi precedenti. L’eccezione di inammissibilità
proposta dall’Avvocatura dello Stato è pertanto fondata e la
questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte
d’appello di Torino deve essere dichiarata, come si è precisato,
inammissibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui
dà esecuzione all’art. 34, quarto comma, del Concordato fra la Santa
Sede e lo Stato italiano dell’11 febbraio 1929, sollevata, in
riferimento all’art. 7, primo comma, della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 novembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: MIRABELLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 1 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA