Sentenza N. 421 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
27/12/1996
Data deposito/pubblicazione
27/12/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1996
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA;
del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20
novembre 1995 dalla Corte d’appello di Lecce sul ricorso proposto da
Politano Antonio contro Venturi Ferdinando ed altro, iscritta al n.
301 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 dicembre 1996 il giudice
relatore Cesare Ruperto.
provvedimento di sequestro emesso dal tribunale di quella città,
sezione specializzata agraria, con ordinanza del 20 novembre 1995, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 669-terdecies del
codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede il reclamo
dinanzi alla corte d’appello dei provvedimenti cautelari emessi dal
tribunale, sezione specializzata agraria.
Osserva il rimettente come la norma impugnata evidenzi una lacuna
circa l’individuazione del giudice competente a conoscere dei reclami
avverso i provvedimenti cautelari emessi dal tribunale in
composizione collegiale quale giudice di primo grado, come nelle
controversie agrarie, o quale giudice d’appello o di rinvio.
Inizialmente la Corte rimettente, tra la soluzione di attribuire tale
competenza al tribunale in diversa composizione, al più vicino
tribunale o alla stessa corte d’appello e l’irreclamabilità tout
court dei provvedimenti, aveva optato per tale ultimo indirizzo.
Successivamente, peraltro, re melius perpensa, la Corte stessa opina
di non dover seguire il proprio indirizzo, avuto riguardo
all’intervenuta abolizione dell’istituto della convalida, alla
generalità della competenza della sezione specializzata agraria ed
infine alla stessa compatibilità tra i provvedimenti cautelari che
questa può emanare e la nuova disciplina.
Premessa la rilevanza della questione, focalizzata proprio sulla
conoscibilità del reclamo da parte del giudice a quo, questi si
sofferma sul carattere generale dell’istituto, quale risulta dalla
denunciata norma (come “integrata” dalla sentenza n. 253 del 1994 di
questa Corte), con il quale contrasterebbe l’asserita
irreclamabilità dei provvedimenti de quibus, soluzione altresì
contraddetta dalla reclamabilità degli altri provvedimenti cautelari
emessi – anche in materia agraria – dalla Corte di appello devoluti
appunto ad altra sezione o, in mancanza, alla Corte d’appello più
vicina.
Esclusa infine la possibilità di collegare l’irreclamabilità alla
composizione collegiale dell’organo decidente, il rimettente
prospetta l’irrazionalità della disciplina dettata in materia,
ritenuta comunque lesiva del principio d’eguaglianza per la
disparità riservata ai soggetti che controvertono in processi
diversi (risultando appunto penalizzate le parti delle controversie
agrarie), nonché per la compressione del diritto di difesa a causa
dell’assenza di controllo da parte di altro e sovraordinato giudice
sulla cautela accordata o negata.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso
per l’infondatezza della questione in quanto l’esclusione del reclamo
si giustificherebbe sulla base della particolarità dell’organo
decidente ed in ragione della sua speciale competenza.
dell’art. 669-terdecies cod. proc. civ., nella parte in cui non
prevede la reclamabilità dinanzi alla corte d’appello dei
provvedimenti cautelari emessi dal tribunale – sezione specializzata
agraria.
La Corte rimettente individua il vizio d’illegittimità
costituzionale nella mancata previsione espressa di tale ipotesi di
reclamabilità ed argomenta quindi nel senso della disparità di
trattamento tra le parti nei diversi giudizi nonché della
compressione del diritto di difendersi ed agire in giudizio che da
tale asserita lacuna della norma impugnata deriverebbe, in violazione
degli artt. 3 e 24 Cost.
2. – La questione non è fondata.
2.1. – La Corte d’appello di Lecce muove dal presupposto secondo
cui l’unica conclusione interpretativa possibile, a fronte
dell’omessa indicazione del giudice competente a conoscere del
reclamo de quo, sarebbe quella di un vuoto di tutela, da colmarsi
attraverso la richiesta pronuncia additiva che radichi altresì nella
corte d’appello tale competenza.
Viceversa il dato normativo, alla luce delle affermazioni contenute
nelle precedenti decisioni di questa Corte in tema di reclamo, si
presta ad una lettura costituzionalmente adeguata, ed anzi la impone
come logicamente conseguente.
2.2. – L’art. 669-terdecies, secondo comma, prima proposizione,
prevede che il reclamo avverso i provvedimenti del pretore e del
giudice singolo del tribunale si propone al collegio (del quale
quest’ultimo non può far parte). Subito dopo vi si aggiunge che del
reclamo avverso il provvedimento cautelare emesso dalla Corte di
appello è competente a conoscere altra sezione della stessa Corte (o
in mancanza la Corte di appello più vicina).
Nella sentenza n. 253 del 1994, questa Corte ha sottolineato come
la ratio del nuovo procedimento cautelare sia ravvisabile
nell’intento di assicurare un modulo unitario ad una forma di tutela
ormai pressoché generalizzata, che è da considerare espressione di
un autonomo principio e che rappresenta una componente della stessa
tutela giurisdizionale, rispetto alla cui piena attuazione essa
svolge anche una funzione strumentale.
In questa prospettiva, sintetizzata nell’endiadi “autonomia e
strumentalità”, vanno appunto verificate le garanzie costituzionali,
costituite dalla regola della “parità delle armi”, riguardo a quel
mezzo di controllo dell’operato del giudice della cautela, che è il
reclamo.
Siffatto controllo – ha sottolineato la Corte in quella occasione
ed ha altresì ribadito nella successiva sentenza n. 197 del 1995 –
si attua come revisio prioris instantiae demandata ad un giudice
diverso. Ma è proprio in tale alterità del giudice e nella sua
composizione collegiale, che si realizza la garanzia voluta dal
legislatore col ridurre il regime di stabilità del provvedimento
cautelare in confronto al previgente, frammentario, sistema.
2.3. – Tanto premesso, va rilevato che veramente la denunciata
disposizione non prevede l’ipotesi di provvedimenti cautelari emessi
dal tribunale in sede collegiale; così creando serie incertezze
nell’interprete. Ma ciò, se rende auspicabile un ulteriore
intervento legislativo nella materia, non comporta affatto la
declaratoria d’incostituzionalità della disposizione stessa, vigendo
il fondamentale principio – enunciato più volte da questa Corte e
che vincola anche il giudice nell’applicazione del diritto – secondo
cui l’illegittimità costituzionale di una norma può configurarsi
soltanto ove non sia possibile, nonostante l’uso di tutti gli
strumenti offerti dall’ermeneutica giuridica, un’interpretazione
adeguatrice della norma stessa alla Costituzione. E la disposizione
denunciata, così come inserita nel sistema, può ben interpretarsi
nel senso di escludere che con essa si sia inteso sancire
l’irreclamabilità dei provvedimenti cautelari emessi da giudici
diversi da quelli ivi menzionati.
2.3.1. – Stante la sopralumeggiata unitarietà di disciplina del
giudizio cautelare, non si vede infatti perché il legislatore
avrebbe ammesso il reclamo, non solo contro i provvedimenti di tutti
i giudici monocratici, ma anche contro quelli della corte d’appello,
e lo avrebbe invece escluso contro i provvedimenti del tribunale in
sede collegiale. Trattasi, all’evidenza, di una semplice lacuna
tecnica, che il giudice adìto deve e può colmare secondo i compiti
a lui affidati e con gli strumenti ermeneutici apprestati
dall’ordinamento giuridico.
2.3.2. – Lo stesso art. 669-terdecies, attraverso le opzioni
operate, offre all’interprete la possibilità di scegliere almeno fra
due soluzioni, ciascuna delle quali ha già trovato conforto sia in
dottrina che in giurisprudenza. La prima è quella che vede
attribuita la competenza al giudice superiore, in analogia a quanto
previsto nella prima parte dell’art. 669-terdecies, secondo comma;
l’altra consiste nell’attribuzione della competenza a un giudice
diverso ma equiordinato, e cioè ad altra sezione dello stesso
tribunale o, in mancanza, al tribunale più vicino, giusta come
indicato dalla seconda parte della medesima disposizione con riguardo
ai provvedimenti cautelari della Corte d’appello.
2.3.3. – Entrambe le soluzioni, alla luce di quanto sopra
precisato, appaiono conformi ai princìpi costituzionali e
compatibili col sistema. A questo riguardo va osservato che la prima
soluzione trarrebbe fondamento dal principio seguìto dal codice di
rito relativamente alle impugnazioni in generale, ed anche ai reclami
in camera di consiglio (v. art. 739); con l’esito di offrire una
maggiore certezza nell’individuazione del giudice in concreto. Mentre
la seconda – cui di contro andrebbe riconosciuto il vantaggio di far
superare l’ostacolo che si presenta nel caso in cui non vi sia piena
corrispondenza fra sezioni del tribunale e della Corte d’appello
(come ad esempio nella materia del lavoro) -, anche se derogatoria di
quel principio, sarebbe comunque in sintonia con la logica del
riesame che sta alla base della denunciata norma. Una logica che si
muove tutta all’interno della peculiarità procedimentale del nuovo
modello cautelare uniforme, rimanendo estranea alla prospettiva
propria dell’impugnazione in senso stretto, la quale si articola su
gradi di giurisdizione e dunque implica necessariamente la
devoluzione del gravame al giudice superiore: il che, fra l’altro,
può spiegare il richiamo selettivo fatto dal terzo comma dell’art.
669-terdecies alla disciplina comune dei procedimenti in camera di
consiglio, con esclusione in particolare del succitato art. 739, dove
è previsto il reclamo davanti alla corte d’appello contro i decreti
pronunciati dal tribunale. Al di là di ogni possibile supposizione
che la competenza cosiddetta rotatoria sia stata disposta con
riguardo alla corte d’appello solo perché il giudice sovraordinato
ad essa è la Corte di cassazione (e non si è voluto attribuire a
questa giudizi prevalentemente di fatto), resta pur sempre il dato –
reso esplicito dalla norma – che l’effettività del riesame può
essere realizzata in virtù dei soli, anzidetti, criteri
dell’alterità e della collegialità del giudice, e non
necessariamente anche attraverso il rapporto di sovraordinazione tra
giudici.
2.4. – Quanto dinanzi osservato basta per ritenere comunque priva
di consistenza la prospettazione del rimettente, che in sostanza si
basa su un paventato “vuoto” normativo, e quindi per escludere la non
conformità della norma alla Costituzione. Resta fermo, tuttavia,
l’auspicio che il legislatore intervenga per fare chiarezza e
assicurare uniformità di giudizi in una materia come questa, dove
non è neppure ammissibile il ricorso per regolamento di competenza,
secondo l’ormai consolidato orientamento della Corte di cassazione
(già richiamato da questa Corte nella sentenza n. 197 del 1995).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 669-terdecies del codice di procedura civile, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte
d’appello di Lecce con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1996.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Ruperto
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola