Sentenza N. 423 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
03/12/1993
Data deposito/pubblicazione
03/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/11/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo
CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
comma, in relazione all’art. 530, secondo comma, del codice di
procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1993
dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Gasparini Marco,
iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale,
dell’anno 1993;
Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice
relatore Mauro Ferri;
artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 427, primo comma, del codice di procedura
penale (in relazione all’art. 530, secondo comma, dello stesso
codice) nella parte in cui non prevede l’esonero del querelante dal
pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato nel caso di
assoluzione del querelato con formula piena conseguente ad
insufficienza o contraddittorietà della prova.
2. – Espone la Corte remittente che il primo comma dell’art. 382
del codice di procedura penale abrogato, corrispondente al primo
comma dell’art. 427 del codice attuale, prevedeva espressamente che
il querelante non subisse condanna alla rifusione delle dette spese
in caso di proscioglimento dell’imputato per insufficienza di prove.
Tale formula non è più adottabile nel dispositivo, posto che il
secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale prevede
che il giudice debba pronunciare sentenza di assoluzione perché il
fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso anche
quando la prova sia insufficiente o contraddittoria; pertanto,
trattandosi di situazione equivalente a quella che, a norma dell’art.
479, terzo comma, del codice previgente, determinava l’adozione della
formula di proscioglimento per insufficienza di prove, la formula di
assoluzione piena può ora ricondursi anche ad una situazione di
dubbio, esprimibile, però, solo nella motivazione. Con il nuovo
codice, il querelante viene quindi a esser posto, ad avviso del
giudice a quo , in una posizione deteriore, per quanto concerne il
rimborso delle spese anticipate dallo Stato, come conseguenza
automatica della nuova regola sulle formule di proscioglimento e non
sulla base di una scelta razionale e meditata del legislatore.
Ora, prosegue il remittente, con le sentenze n. 165 del 1974, 52
del 1975 e 29 del 1992, la Corte costituzionale, in relazione alla
normativa abrogata, ha individuato la ratio delle eccezioni alla
regola della responsabilità del querelante per il pagamento delle
spese processuali nel principio della esenzione da detta
responsabilità allorquando l’assoluzione dell’imputato derivi da
circostanze non riconducibili al querelante stesso al quale, quindi,
nessuna colpa può essere addebitata. Ed è stata affermata,
nell’ultima delle decisioni citate, l’illegittimità costituzionale
della detta normativa anche in ordine alla mancata esenzione nella
ipotesi di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”
(prendendo spunto da un caso in cui essa era stata adottata, in un
processo iniziato in base a querela per diffamazione a mezzo stampa,
per essere stata riconosciuta l’esimente del legittimo esercizio del
diritto di cronaca), in quanto mancava ogni sintomo di una
avventatezza o temerarietà della querela.
Se questo è il discrimine, conclude il remittente, e se la
possibilità di esonero del querelante dalla responsabilità per le
suddette spese è data dalla posizione soggettiva di costui al
momento della presentazione della querela, non sembra manifestamente
infondato il dubbio di illegittimità costituzionale del primo comma
dell’art. 427, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione,
quando il proscioglimento, pur enunciato nel dispositivo con le
formule perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha
commesso, sia in realtà determinato da una insufficienza o da una
contraddittorietà della prova non addebitabile al querelante sotto
il profilo della avventatezza o della temerarietà della querela.
costituzionale dell’art. 427, primo comma, del codice di procedura
penale, nella parte in cui prevede la condanna del querelante al
pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato anche
nel caso di assoluzione dell’imputato con formula piena conseguente
ad insufficienza o contraddittorietà della prova.
Il giudice a quo premette che il primo comma dell’art. 382 del
previgente codice di rito prevedeva espressamente tra le ipotesi di
esclusione della condanna del querelante alle spese del procedimento
anticipate dallo Stato quella del proscioglimento dell’imputato
pronunciato per insufficienza di prove. Poiché ora tale formula non
è più adottabile nel dispositivo, posto che il nuovo codice impone
all’art. 530, secondo comma, che il giudice pronunci sentenza di
assoluzione con formula piena anche quando la prova è insufficiente
o contraddittoria, la Corte di cassazione rileva che il querelante
viene in tal modo posto in una condizione deteriore, per quanto
concerne il rimborso delle predette spese, solo come conseguenza
automatica della nuova regola sulle formule di proscioglimento e non
sulla base di una scelta razionale e meditata del legislatore.
Tale situazione integrerebbe pertanto una ingiustificata
disparità di trattamento, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, in raffronto alle altre ipotesi di proscioglimento
dell’imputato in cui questa Corte (cfr. tra le ultime le sentt. n. 29
del 1992 e n. 180 del 1993) ha già affermato che la responsabilità
del querelante per le spese processuali non può essere ritenuta
allorquando manchi il sintomo di un’avventatezza o temerarietà della
querela.
2. – La questione è fondata.
Questa Corte ha più volte esaminato (sia in riferimento al codice
previgente che a quello attuale) la disciplina sulla responsabilità
del querelante in ordine alle spese del procedimento anticipate dallo
Stato in caso di proscioglimento dell’imputato, escludendo
chiaramente ogni ipotesi di responsabilità obiettiva del querelante
fondata sul mero dato della causalità materiale (per cui le spese
ricadono sulla parte che ad esse ha dato causa), anche in assenza di
qualsiasi colpa, leggerezza o temerarietà rimproverabile a chi abbia
esercitato il diritto di querela.
Sulla base di tale principio è stata dichiarata l’illegittimità
delle norme che imponevano in ogni caso la condanna del querelante
nell’ipotesi di proscioglimento dell’imputato conseguente a querela
contro ignoti per un reato realmente verificatosi (sent. n. 165 del
1974), o di proscioglimento per incapacità d’intendere e di volere
(sent. n. 52 del 1975), o perché il fatto non costituisce reato
(sent. n. 29 del 1992), ed infine, anche nel caso di proscioglimento
per non aver commesso il fatto (quando risulti che l’attribuzione del
reato all’imputato non sia in alcun modo ascrivibile a colpa del
querelante: sent. n. 180 del 1993).
3. – È di intuitiva evidenza che anche nell’ipotesi in esame, di
assoluzione conseguente ad una situazione di dubbio probatorio
esprimibile solo nella motivazione ma non nel dispositivo, può
emergere in fatto una situazione nella quale, analogamente alle altre
ipotesi considerate, non sia ravvisabile alcuna colpa del querelante
in termini di temerarietà o avventatezza della querela. Anche in
tale caso, quindi, il querelante può trovarsi nella medesima
sostanziale posizione di coloro per i quali non è prevista una
responsabilità in ordine alle spese ma ciò nonostante subisce un
trattamento ingiustamente differenziato.
4. – Del pari occorre considerare che una siffatta conseguenza
può determinarsi non solo a causa di una situazione di sostanziale
dubbio probatorio nei confronti dell’imputato ma, presumibilmente,
per un novero pressoché illimitato di cause le quali siano
suscettibili di dimostrare l’assenza di colpa a carico del querelante
pur in caso di pieno proscioglimento dell’imputato.
Quel che va quindi affermato (come la ricordata sent. n. 180 del
1993 ha già posto in evidenza) è l’illegittimità intrinseca del
criterio di automaticità che il legislatore ha mantenuto, pur avendo
circoscritto il regime della responsabilità del querelante alle sole
ipotesi di proscioglimento dell’imputato per non aver commesso il
fatto o perché il fatto non sussiste. Illegittimità che, in
applicazione dei principi espressi da questa Corte nelle ricordate
pronunce, va pertanto dichiarata anche in ordine alle ipotesi di
proscioglimento dell’imputato con formula piena, quando risulti
l’assenza di qualsiasi colpa ascrivibile al querelante.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 427, primo
comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede,
nel caso di proscioglimento dell’imputato perché il fatto non
sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il
querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in
assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del
diritto di querela.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: FERRI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 3 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA