Sentenza N. 426 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
17/10/2000
Data deposito/pubblicazione
17/10/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
09/10/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI,
Annibale MARINI, Franco BILE;
lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285
(Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto
legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e
integrative del codice della strada, approvato con decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285), promossi con quattro ordinanze
emesse il 12 novembre, il 29 gennaio (n. 2 ordd.) e il 12 novembre
1999 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna,
rispettivamente iscritte ai nn. 315, 316, 317 e 318 del registro
ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, 1ª serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
identico contenuto, emesse nel corso di giudizi promossi per
l’annullamento dell’atto negativo di controllo su delibere comunali
aventi ad oggetto l’individuazione della compagnia assicuratrice con
la quale stipulare un contratto assicurativo riguardante la
previdenza integrativa per i dipendenti appartenenti al Corpo della
polizia municipale, il Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all’art. 97 della Costituzione,
dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993,
n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della
strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285),
nella parte in cui consente di destinare a previdenza integrativa del
personale di polizia municipale una parte dei proventi delle sanzioni
amministrative pecuniarie previste dal codice della strada.
Il giudice rimettente, nel formulare l’incidente di
costituzionalità, interpreta le norme impugnate nel senso che esse
consentano tale destinazione, in quanto il comma 2 dell’art. 208
citato prevede che i proventi spettanti allo Stato (in relazione all’
organo accertatore) sono destinati a una serie di esigenze (lettera
a), tra le quali quella attinente alla assistenza e previdenza del
personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della
Guardia di finanza, e il comma 4 dello stesso articolo dispone che i
proventi spettanti agli enti locali al medesimo titolo sono devoluti
per le finalità di cui al comma 2 e per altre finalità
successivamente indicate; ne deriva la facoltà dei comuni di
destinare parte dei proventi delle sanzioni amministrative per
infrazioni al codice della strada, accertate da funzionari, ufficiali
e agenti da essi dipendenti, anche alla previdenza integrativa dei
medesimi; secondo il giudice a quo una interpretazione diversa della
norma di cui al comma 4, le farebbe assumere un significato contrario
al principio di uguaglianza, non sussistendo ragionevoli motivi per
escludere il Corpo della polizia municipale da un beneficio previsto
per altri corpi di polizia (statali) svolgenti le medesime funzioni
di accertamento delle infrazioni al codice della strada.
Ciò premesso, nelle ordinanze si sostiene che la funzione
sanzionatoria dovrebbe essere svolta al solo fine di assicurare il
rispetto della legge, evitando che dal suo esercizio possano
derivare, anche indirettamente, conseguenze nei confronti della
categoria alla quale appartiene l’agente accertatore delle
infrazioni. La prevista destinazione delle somme all’incremento dei
fondi di previdenza per quel personale potrebbe configurare un
potenziale incentivo di una funzione che dovrebbe invece essere
svolta senza nessun condizionamento; di qui la violazione dei
principi desumibili dall’art. 97 della Costituzione.
2. – Con altre due ordinanze (r.o. nn. 316 e 317 del 1999), di
identico tenore, lo stesso Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna, nel corso di analoghi giudizi, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale delle medesime norme (commi
2, lettera a), e 4 dell’art. 208 citato), in riferimento agli artt. 3
e 97 della Costituzione.
Partendo sempre dal presupposto interpretativo che le norme
abbiano inteso assicurare anche al personale della polizia municipale
lo stesso beneficio espressamente indicato per le altre forze di
polizia (statali), il giudice rimettente osserva che verrebbe così a
determinarsi, rispetto a tutti gli altri dipendenti dell’ente locale,
e di quelli di pari qualifica in particolare, una arbitraria
disparità di trattamento, diretta a incidere sui fondamenti stessi
del rapporto di impiego, in presenza di una mera diversità di
mansioni all’interno di un quadro organizzativo-funzionale che è,
invece, complessivamente unitario in vista della realizzazione delle
finalità dell’ente stesso. Inoltre si darebbe ingresso a una forma
sostanziale, e tendenzialmente crescente, di compartecipazione, da
parte del personale della polizia municipale, alle utilità derivanti
dall’attività repressiva e sanzionatoria cui esso è preposto,
mediante un’integrazione di fatto del trattamento economico, così
pregiudicandosi il carattere di imparzialità che l’azione
amministrativa deve avere non solo nel suo concreto atteggiarsi, ma
anche nell’immagine da offrire ai cittadini: creando un interesse
diretto di natura retributiva tendenzialmente proporzionale
all’incremento dell’ammontare delle sanzioni pecuniarie che il
dipendente pubblico abbia concorso ad irrogare, si darebbe origine ad
una situazione di conflitto di interessi, che inciderebbe
negativamente sul buon andamento della pubblica amministrazione e
alimenterebbe la conflittualità sociale.
3. – Nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al r.o.
n. 317 del 1999 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, osservando che nell’ordinanza di rimessione si parte da un
errato presupposto interpretativo, perché non sarebbe consentita la
destinazione di quei proventi alla previdenza integrativa della
polizia municipale; difatti, la modifica all’art. 208, comma 2,
apportata con l’art. 109 del decreto legislativo n. 360 del 1993, non
ha prodotto effetti sul preesistente comma 4 dello stesso art. 208
del codice della strada del 1992 e l’estensione del beneficio al
personale della polizia municipale avrebbe richiesto analogo
intervento di modifica del comma 4 del medesimo art. 208; una
siffatta previsione normativa risulta, allo stato, all’esame del
Parlamento (Atto Camera n. 1118 – Legge quadro sull’ordinamento della
polizia locale).
Nel merito, la difesa dello Stato nega, quanto alla violazione
dell’art. 3 della Costituzione, che si sia in presenza di situazioni
omologhe, dovendosi considerare a tal fine i complessivi trattamenti
riservati ai diversi quadri di dipendenti del medesimo ente;
contesta, poi, la violazione del principio di imparzialità, poiché
il collegamento tra funzione e beneficio non è in ogni caso di tipo
diretto e non è quindi idoneo a travolgere i doveri del pubblico
ufficiale.
con quattro ordinanze di identico contenuto, solleva questione di
legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 2, lettera a), e
comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice
della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo
10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del
codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285), nella parte in cui consente di destinare a previdenza
integrativa del personale di polizia municipale una parte dei
proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal codice
della strada. Ad avviso del giudice rimettente, la norma in questione
sarebbe sospetta d’incostituzionalità per violazione degli artt. 97
e 3 della Costituzione: dell’art. 97, perché la destinabilità dei
proventi da sanzioni amministrative a un fine previdenziale in favore
dei soggetti chiamati ad accertare le violazioni cui tali sanzioni
conseguono renderebbe tale accertamento interessato e
pregiudicherebbe l’imparzialità dei funzionari a esso preposti
(tutte le ordinanze di rimessione); dell’art. 3, perché la norma
denunciata creerebbe una disparità di trattamento nei confronti
degli altri dipendenti dell’ente pubblico, a favore dei quali una
analoga eventualità non è prevista (r.o. nn. 316 e 317 del 1999).
2. – Le quattro ordinanze pongono l’identica questione di
costituzionalità; perciò i relativi giudizi possono essere riuniti
per essere decisi con la stessa sentenza.
3. – È da respingere l’eccezione di inammissibilità della
questione, proposta dalla Avvocatura generale dello Stato per conto
del Presidente del Consiglio dei Ministri (r.o. n. 317 del 1999),
secondo la quale l’art. 208 del nuovo codice della strada, nel
prevedere la possibilità di destinare parte dei proventi delle
sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice
stesso per l’assistenza e la previdenza dei funzionari addetti al
loro accertamento, vale esclusivamente a favore del personale della
Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di
finanza (art. 208, comma 2). Poiché, nel giudizio in cui la
questione è sorta, essa riguarda gli agenti della polizia
municipale, l’Avvocatura dello Stato ne ritiene l’irrilevanza.
Il Tribunale rimettente, tuttavia, ha motivato il diverso e più
ampio ambito di applicazione della possibilità di destinazione dei
proventi in questione col richiamo al comma 4 dello stesso art. 208,
il quale prevede che i proventi spettanti agli enti diversi dallo
Stato indicati nel comma 1, tra i quali per l’appunto i comuni, siano
“devoluti alle finalità di cui al comma 2”, cioè, tra il resto,
anche per l’assistenza e la previdenza dei funzionari che – come
quelli di polizia, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di
finanza, rispetto allo Stato – svolgono la funzione di accertamento
delle violazioni amministrative per i comuni.
In presenza di questa motivazione, l’eccezione d’inammissibilità
deve essere respinta.
4. – La questione sollevata non è fondata.
5. – L’art. 208, comma 4, del nuovo codice della strada
stabilisce che i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie
per violazioni previste dal codice medesimo, spettanti ai comuni (e
alle regioni e alle province), sono destinati, oltre che al
miglioramento della circolazione sulle strade, al potenziamento e al
miglioramento della segnaletica stradale e alla redazione dei piani
previsti dall’art. 36 (e cioè i piani urbani del traffico e i piani
del traffico per la viabilità extraurbana), alla fornitura di mezzi
tecnici necessari per i servizi di polizia stradale di competenza,
anche alle finalità previste dal comma 2 del medesimo art. 208:
studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale, la
redazione dei piani urbani di traffico, l’educazione stradale, studi
e ricerche sulla sicurezza del veicolo, nonché l’assistenza e la
previdenza del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei
carabinieri e della Guardia di finanza; ciò che ha da intendersi,
giusta l’interpretazione del Tribunale rimettente, quando si tratti
di proventi spettanti alle amministrazioni comunali, del personale
del Corpo di polizia municipale. I comuni (le regioni e le province)
determinano annualmente, con delibera di giunta, le quote da
destinarsi alle finalità suindicate. I proventi di cui si tratta,
infine, sono oggetto di amministrazione separata, a norma
dell’art. 393 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), che impone
agli enti locali di iscrivere nel proprio bilancio annuale un
apposito capitolo di entrata e di uscita dei proventi ad essi
spettanti a norma dell’art. 208 del codice della strada.
6. – La normativa richiamata mostra che il legislatore ha inteso
costituire un fondo speciale, alimentato dai proventi delle sanzioni
amministrative derivanti dalle violazioni al codice della strada, a
disposizione degli enti locali, per provvedere, secondo la
discrezionalità che è loro riconosciuta dal comma 4 della
disposizione denunciata, a specifiche finalità di promuovimento del
buon funzionamento della circolazione stradale e per tenere conto
delle condizioni, che possono essere di particolare disagio sotto il
profilo della sicurezza e della salute, dei soggetti preposti al
controllo del rispetto delle regole della circolazione stradale
medesima. Il legislatore non ha invece affatto costituito un fondo a
disposizione del personale del Corpo di polizia municipale, ciò che
collocherebbe in una luce diversa i dubbi sollevati dal Tribunale
rimettente in riferimento all’art. 97 della Costituzione.
In altri termini, la norma impugnata concerne i poteri degli enti
locali e la relativa provvista di risorse. Le determinazioni degli
enti locali stessi sono condizionate dall’esistenza di tali risorse,
e quindi dall’attività dei funzionari preposti ad accertare la
violazione delle norme del codice della strada ma, entro la
disponibilità delle risorse medesime, non c’è alcun legame tra
queste e la loro destinazione a scopi assistenziali e previdenziali a
favore degli agenti della polizia locale o ad altri fini previsti
dalla legge. L’esistenza di tale diaframma – le valutazioni dell’ente
locale – tra l’accertamento e il beneficio dei soggetti accertatori
esclude che possa parlarsi di attività di accertamento
nell’interesse personale degli accertatori; l’attività è sempre
infatti nell’interesse obbiettivo dell’ente locale, cui spetta il
potere di disporre in materia secondo le indicazioni di legge. In
ogni caso, poi, i soggetti chiamati a verificare il rispetto delle
norme del codice della strada sono essi stessi chiamati al rispetto
della legge, sotto il controllo del giudice, e i loro comportamenti
sono comportamenti vincolati, o, al più, qualificati da
discrezionalità meramente tecnica, ad esempio nella determinazione
della misura delle sanzioni, entro i limiti e secondo i criteri
stabiliti dalla legge.
7. – La specialità del fondo e della sua possibile destinazione
particolare a un tipo di agenti del comune che, per i compiti loro
assegnati, si differenziano dagli altri, rende altresì evidente
anche l’infondatezza della questione sollevata sotto il profilo
dell’art. 3 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993,
n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della
strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285)
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 17 ottobre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola