Sentenza N. 429 del 1991
Corte Costituzionale
Data generale
27/11/1991
Data deposito/pubblicazione
27/11/1991
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/11/1991
Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
comma, del codice civile promosso con ordinanza emessa il 15 marzo
1991 dalla Corte di Appello di Lecce sul ricorso avverso decreto di
nomina di curatore speciale della minore Francesca De Rocco proposto
da De Rocco Antonio e Ralli Gisella iscritta al n. 398 del registro
ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1991;
Visti gli atti di costituzione di De Rocco Antonio ed altra e di
Congedo Elio;
Udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 1991 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
Uditi gli avvocati Lia Misurale e Pietro Rescigno per De Rocco
Antonio ed altra e l’avv. Luigi Liberti interveniente per Congedo
Elio;
coniugi, genitori legittimi di un minore infrasedicenne, avverso il
decreto con cui il Tribunale di Lecce, su istanza del pubblico
ministero, ha nominato un curatore speciale ai fini della promozione
dell’azione di disconoscimento della paternità di detto minore ai
sensi degli artt. 235 e 244 cod. civ., la Corte d’appello di Lecce,
con ordinanza del 15 marzo 1991, ha sollevato sotto vari profili, in
riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 244, ultimo comma, cod. civ.
La norma impugnata, nel testo modificato dell’art. 81 della legge
4 maggio 1983, n. 184, dispone che l’azione di disconoscimento della
paternità “può essere altresì promossa da un curatore speciale
nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del
figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero
quando si tratta di minore di età inferiore”.
In relazione al caso di specie, in cui si tratta di un minore di
età inferiore ai sedici anni, le censure del giudice remittente
lamentano: a) la mancata considerazione dell’interesse del minore,
diversamente dalla disciplina dell’azione di reclamo dello stato di
figlio naturale, quale risulta dopo la sentenza di questa Corte n.
341 del 1990; b) l’attribuzione della competenza al tribunale
ordinario, anziché al tribunale dei minorenni, come invece dispone
per la detta azione, assunta a termine di confronto, l’art. 38 disp.
att. cod. civ., modificato dall’art. 68 della legge n. 184 del 1983;
c) la mancata previsione di un giudizio preliminare di delibazione
dell’ammissibilità dell’azione, analogamente a quanto previsto
dall’art. 274 cod. civ., considerato che “l’essere l’azione rimessa
all’iniziativa del pubblico ministero non costituisce un sicuro
presidio contro eventuali manovre vessatorie”; d) la mancata
estensione al sedicente padre naturale della legittimazione a
proporre l’azione di disconoscimento della paternità del marito
della madre.
2. – Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti i coniugi
reclamanti chiedendo che la questione sia accolta limitatamente ai
capi sub a) e c), mentre non condividono il motivo sub b) e
contestano, ritenendolo sicuramente infondato, il motivo sub d).
I reclamanti hanno ribadito e sviluppato le loro argomentazioni in
un’ampia memoria, depositata nell’imminenza dell’udienza di
discussione, insistendo in particolare sulla censura concernente la
mancata previsione, nella norma impugnata, di un procedimento che
metta al riparo i genitori legittimi dal pericolo di azioni temerarie
o ricattatorie e garantisca l’accertamento di un effettivo interesse
del minore alla privazione dello stato di figlio legittimo, tutelando
in pari tempo l’interesse generale alla conservazione dell’unità
della famiglia legittima.
3. – Si è pure costituito il preteso padre naturale, che ha
sollecitato l’iniziativa del pubblico ministero.
Sebbene non sia parte nel giudizio principale, egli ritiene di
avere diritto di intervenire nel giudizio incidentale di
costituzionalità sulla base della sentenza di questa Corte n. 20 del
1982, la quale ha dichiarato ammissibile la costituzione di soggetti
che non erano parti nel procedimento a quo, quando il loro interesse
a stare in giudizio nasca dagli estremi dell’incidente di
costituzionalità che la Corte ha sollevato davanti a sé. Ad avviso
del deducente il medesimo criterio deve valere quando l’interesse a
stare in giudizio nasca da una questione di legittimità
costituzionale sollevata d’ufficio dal giudice a quo.
Nella pubblica udienza di discussione della causa la Corte,
ritiratasi in camera di consiglio, ha ritenuto ammissibile
l’intervento.
3 e 30 della Costituzione l’art. 244, ultimo comma, cod. civ.,
modificato dall’art. 81 della legge 4 maggio 1983, n. 184, il quale
dispone che l’azione di disconoscimento della paternità, di cui
all’art. 235, “può essere altresì promossa da un curatore speciale
nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del
figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero
quando si tratta di minore di età inferiore”.
La censura investe la norma sotto vari profili, e precisamente:
a) mancata considerazione dell’interesse del minore sia nella
fase dell’iniziativa del pubblico ministero, sia in quella del
successivo provvedimento del tribunale. Sotto questo profilo, la
violazione dell’art. 3 della Costituzione viene argomentata dal
confronto con la disciplina dell’azione di dichiarazione della
paternità o maternità naturale, quale risulta dopo la sentenza di
questa Corte n. 341 del 1990;
b) attribuzione al tribunale ordinario, anziché al tribunale
dei minorenni, della competenza a nominare il curatore speciale e a
conoscere dell’azione di disconoscimento. Anche sotto questo profilo
la violazione dell’art. 3 è desunta dal confronto con l’azione di
reclamo dello status di figlio naturale, per la quale la competenza
è stata trasferita al tribunale dei minorenni dall’art. 38, primo
comma, disp. att. cod. civ., modificato dall’art. 68 della legge n.
184 del 1983;
c) mancata previsione di un giudizio preliminare di delibazione
dell’ammissibilità dell’azione, analogamente a quanto dispone l’art.
274 per l’azione di dichiarazione della filiazione naturale,
prospettandosi così un’altra disparità di trattamento contraria al
principio di eguaglianza;
d) ingiustificata esclusione del preteso padre naturale dal
novero dei soggetti legittimati a proporre l’azione. Poiché la
legittimazione è riconosciuta alla madre, il diverso trattamento del
padre naturale violerebbe, insieme con l’art. 3 della Costituzione,
l’art. 30, primo comma, che attribuisce ai genitori pari diritti e
pari doveri nei confronti dei figli, anche se nati fuori del
matrimonio.
2. – Occorre valutare preliminarmente l’ammissibilità
dell’intervento nel presente giudizio del sedicente padre naturale.
La giurisprudenza della Corte ha ripetutamente escluso che possano
costituirsi nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale
soggetti che non sono parti nel giudizio principale. Nella specie,
però, si rileva che il preteso padre naturale, in quanto privo di
legittimazione ad agire in disconoscimento della paternità, non
aveva diritto di intervenire nel giudizio di reclamo proposto dai
genitori legittimi contro il decreto di nomina del curatore speciale.
Avendo il giudice del reclamo sollevato d’ufficio questione di
legittimità costituzionale dell’art. 244 anche nella parte in cui
non prevede la legittimazione ad agire del preteso padre naturale, è
sorto in questi un interesse diretto a intervenire nel giudizio
incidentale di costituzionalità, perché dall’esito di tale giudizio
dipende il suo diritto di intervento nel giudizio a quo.
Per questo motivo la Corte ha ammesso la costituzione in giudizio
del Signor Congedo, limitatamente alla questione sopra enunciata sub
d).
3. – Sotto il primo profilo, di cui al punto 1, sub a), la
questione non è fondata nei sensi appresso precisati.
Il testo dell’art. 244, quarto comma, cod. civ. introdotto dalla
legge 19 maggio 1975, n. 151, considerava soltanto il figlio minore
ultrasedicenne, attribuendogli sia la titolarità dell’azione di
disconoscimento della paternità, sia la capacità di decidere in
merito al suo esercizio e correlativamente, essendo egli privo di
capacità processuale, la legittimazione a chiedere al tribunale la
nomina di un curatore speciale che lo rappresenti in giudizio.
Il nuovo testo, sostituito dalla legge n. 184 del 1983, ha esteso
la titolarità dell’azione al figlio minore infrasedicenne,
rimettendone l’esercizio a un curatore speciale nominato dal
tribunale su istanza del pubblico ministero, senza però avvertire la
profonda differenza del compito affidato al giudice in quest’altro
caso. La formula unitaria in cui la legge racchiude la previsione dei
due casi non impedisce tuttavia all’interprete di cogliere tale
differenza alla stregua della genesi storica e della ratio della
norma, valutata anche alla luce della citata sentenza n. 341 del
1990. Da questa si desume una regola per cui, se si tratta di un
minore di età inferiore ai sedici anni, la ricerca della paternità,
pur quando concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire
giustificata ai sensi degli artt. 235 o 274, primo comma, cod. civ.,
non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla
privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente,
all’assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui
contro il quale si intende promuovere l’azione: interesse che dovrà
essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell’esigenza
di evitare che l’eventuale mutamento dello status familiare del
minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l’educazione. In
questo caso la decisione deve essere lasciata allo stesso figlio
quando avrà compiuto i sedici anni.
Raggiunta questa età, la legge reputa che il minore abbia una
maturità sufficiente per valutare autonomamente l’opportunità di
esercizio dell’azione. Se ha lo stato di figlio legittimo, il giudice
investito della domanda di nomina di un curatore speciale, ai fini
della promozione dell’azione di disconoscimento della paternità, non
può interferire in tale valutazione, ma deve limitarsi ad appurare,
assunte sommarie informazioni, il fumus boni iuris circa l’esistenza
dei presupposti di fatto ai quali l’azione è subordinata dall’art.
235.
Quando, invece, la domanda di nomina del curatore speciale è
proposta dal pubblico ministero nel presunto interesse di un minore
infrasedicenne, al giudice è affidato un ufficio di tutela di un
soggetto incapace. Egli deve allora allargare il campo di
acquisizione delle sommarie informazioni, includendovi tutti gli
elementi necessari o utili per valutare la sussistenza dell’interesse
del minore all’esperimento di un’azione che lo spoglierebbe dello
stato di figlio legittimo senza garantirgli l’acquisto dello stato di
filiazione nei confronti del padre naturale. All’uopo il giudice non
mancherà, tra l’altro, di ordinare l’audizione dei genitori
legittimi ed eventualmente anche delle persone interessate che hanno
eccitato l’iniziativa del pubblico ministero. Della purezza delle
loro intenzioni, come osserva giustamente la Corte remittente, il
tramite del pubblico ministero non è una sicura garanzia.
Perciò, nel secondo caso previsto dalla norma in esame, il
provvedimento del tribunale – che ai sensi dell’art. 737 cod. proc.
civ. ha la forma del decreto motivato – deve giustificare
congruamente la valutazione dell’interesse del minore su cui la
decisione si fonda e indicare i mezzi informativi utilizzati.
Correttamente interpretato, il diritto vigente fornisce strumenti
sufficienti per proteggere il minore contro iniziative avventate e i
genitori legittimi contro azioni temerarie o ricattatorie.
4. – Connessa con la questione sub a) è quella elencata sub c)
(secondo l’ordine seguito dal giudice a quo), che della prima
costituisce per così dire l’aspetto processuale. Essa è
inammissibile.
Appartiene alla discrezionalità del legislatore stabilire se la
valutazione dell’interesse del minore debba essere fatta nelle forme
del procedimento camerale di nomina del curatore speciale abilitato
all’esercizio dell’azione, e quindi in via di acquisizione degli
elementi per decidere sull’istanza del pubblico ministero, oppure
nelle forme di un separato procedimento preliminare di delibazione
dell’ammissibilità dell’azione.
Né dal confronto con l’art. 274 cod. civ., nel testo risultante
dalla sentenza più volte richiamata, è possibile trarre argomento
di censura dell’art. 244, ultimo comma, per pretesa violazione del
principio di eguaglianza, data la diversità dei due casi sotto il
profilo delle circostanze idonee a fondare l’azione. L’azione di
disconoscimento della paternità è consentita dall’art. 235 solo in
tre casi tassativi, qualificati da un’evidente probabilità che il
figlio non sia stato concepito ad opera del marito della madre; nel
caso dell’art. 269, invece, la prova della paternità (o della
maternità) naturale può essere data con ogni mezzo, onde si
giustifica la predisposizione nell’art. 274 di rigorose garanzie
processuali di controllo preliminare della serietà delle prove di
cui dispone chi intende promuovere l’azione, controllo che, se si
tratta di minore infrasedicenne, dovrà poi estendersi alla
rispondenza dell’azione all’interesse del figlio.
5. – La questione è inammissibile anche sotto i profili indicati
sub b) e d).
La determinazione del giudice competente è una scelta
insindacabile del legislatore, salvo il principio di ragionevolezza.
L’attribuzione della competenza al tribunale ordinario nei casi
previsti dall’art. 244, ultimo comma, anziché al tribunale dei
minorenni, non può dirsi irragionevole, né si possono desumere
ragioni in contrario dal paragone con l’art. 274. Mentre l’azione di
reclamo della filiazione naturale coinvolge soltanto il rapporto tra
il minore e il preteso genitore, invece l’azione di disconoscimento
della paternità coinvolge anche i rapporti dei genitori legittimi
tra loro, nonché l’interesse generale al mantenimento dell’unità
della famiglia legittima, e ciò spiega la conservazione della
competenza del tribunale ordinario pur quando l’azione è esercitata
dal rappresentante di un minore.
6. – Anche ammesso che la rilevanza dell’ultima questione, di cui
al punto 1, sub d), sia sufficientemente giustificata dal rilievo che
da essa dipende il diritto del preteso padre naturale di intervenire
nel processo di reclamo pendente davanti al giudice a quo, se ne deve
dichiarare l’inammissibilità in quanto tende, essa pure, a una
sentenza invasiva delle prerogative riservate al legislatore.
Tale è la determinazione dei soggetti legittimati a proporre
l’azione di disconoscimento della paternità. La novella del 1975 ha
concesso maggiore spazio alla ricerca della “verità biologica”,
quando sussistano indizi seri di difformità dalla “verità legale”
stabilita dalle presunzioni degli artt. 231 e 232 cod. civ., ma ha
riservato ai soli soggetti direttamente interessati, cioè ai membri
della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza
dell’una o dell’altra verità. L’equilibrio tra la verità legale,
ordinata all’interesse di conservazione dell’unità della famiglia
legittima tutelata dall’art. 29 della Costituzione, e la verità
biologica, verso la quale è orientato l’art. 30, con le riserve
però previste nel secondo comma (sul quale si fonda l’istituto
dell’adozione legittimante) e nell’ultimo, è stato nuovamente
modificato, in favore della seconda, dalla legge n. 184 del 1983, che
ha ammesso in sostanza la promozione dell’azione di disconoscimento
della paternità per iniziativa del pubblico ministero, fino a quando
il figlio non abbia compiuto i sedici anni (cfr. sentenza n. 134 del
1985). Tuttavia l’innovazione è rimasta formalmente nei limiti del
criterio di determinazione dei soggetti titolari dell’azione assunto
dalla legge n. 151 del 1975, posto che nella nuova ipotesi l’azione
non è esercitata dal pubblico ministero, ma pur sempre, in nome e
nell’interesse del figlio, da un curatore speciale.
Una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad
agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima,
rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato a una
ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il
legislatore può compiere. Si aggiunga che una simile innovazione
dovrebbe essere accompagnata dalla fissazione di nuovi termini di
decadenza dall’azione e dalla predisposizione di cautele processuali
destinate a preservare la famiglia legittima da interferenze
arbitrarie e vessatorie.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 244, ultimo comma, cod.
civ., nel testo sostituito dall’art. 81 della legge 4 maggio 1983, n.
184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori) –
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30 della Costituzione, dalla
Corte d’appello di Lecce con l’ordinanza indicata in epigrafe –
relativamente al capo sopra indicato al n. 1, sub lettera a);
Dichiara inammissibile, relativamente ai capi sub lettere b), c) e
d), la medesima questione, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e
30 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Lecce con la stessa
ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, 20 novembre 1991.
Il Presidente: CORASANITI
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 27 novembre 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI