Sentenza N. 43 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
14/05/1968
Data deposito/pubblicazione
14/05/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/04/1968
BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI, Giudici,
Presidente della Repubblica 6 settembre 1952, nn. 1398 e 1400, promosso
con ordinanza emessa il 3 giugno 1966 dalla Corte di appello di Firenze
nel procedimento civile vertente tra Garone Clara e l’Ente per la
colonizzazione della Maremma tosco-laziale, iscritta al n. 185 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 271 del 29 ottobre 1966.
Visti gli atti di costituzione di Garone Clara e dell’Ente Maremma;
udita nell’udienza pubblica del 21 marzo 1968 la relazione del
Giudice Ercole Rocchetti;
udito l’avv. Celso Tabet, per Garone Clara.
Con atto di citazione notificato il 14 novembre 1962, la signora
Clara Garone conveniva in giudizio l’Ente per la colonizzazione della
Maremma tosco-laziale, chiedendo che, dopo che fosse stato esperito il
giudizio di legittimità costituzionale di cui si riservava di avanzare
richiesta, l’Ente venisse condannato alla restituzione di terreni
espropriati nei suoi confronti, siti in Castiglione Val di Cesine e
Pomarance, o quanto meno al risarcimento del danni conseguenti
all’espropriazione disposta con i decreti presidenziali 6 settembre
1952, nn. 1398 e 1400, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, supplemento
ordinario n. 265 del 15 novembre 1952, e ciò perché detti suoi
terreni non erano – a suo dire – soggetti ad esproprio ai fini della
riforma fondiaria e vi erano soggetti in misura minore.
Deduceva la Garone che i due decreti, emessi in forza della delega
contenuta nella legge 21 ottobre 1950, n. 841, dovevano ritenersi
incostituzionali, perché si erano nell’emanarli disattesi i criteri
fissati dall’art. 4 di quella legge – e quindi violati gli artt. 76 e
77 della Costituzione – in quanto si era rilevata la consistenza della
proprietà soggetta a scorporo, non alla data del 15 novembre 1949 e
col reddito dominicale al 15 gennaio 1943, così come prescrive il
citato articolo 4, ma ad una data diversa; e ciò per essersi
utilizzati per il rilievo della consistenza i dati del nuovo catasto
entrato in vigore il 1 settembre 1951.
L’Ente Maremma, costituitosi in giudizio con comparsa di risposta
30 gennaio 1963, pur ammettendo che i dati relativi ai terreni
espropriati erano stati desunti dal nuovo anziché dal vecchio catasto,
vigente alla data indicata nella legge, negava che i terreni fossero
stati espropriati in misura maggiore del dovuto e concludeva per
l’inammissibilità della domanda di restituzione di essi e
l’infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale.
Comparse le parti davanti il Presidente istruttore, questi, dopo
lungo dibattito, ammetteva su richiesta del convenuto, una consulenza
tecnica e, nel commettere al consulente il compito di accertare se la
proprietà Garone fosse o no soggetta a scorporo ed in quale misura,
gli dava disposizioni di procedere al rilievo della consistenza alla
data del 15 novembre 1949 e col reddito dominicale al 1 gennaio 1943 ma
adottando tre diversi tipi di calcolo da effettuarsi:
– il primo, con i dati del vecchio catasto e l’esclusione del
terreni classificati come boschi o incolti produttivi;
– il secondo, con i dati del nuovo catasto per estensione, qualità
di cultura e classe di produttività, escludendo i terreni in esso
classificati come boschi o incolti produttivi;
– il terzo, con gli stessi dati del nuovo catasto, ma escludendo
dal calcolo oltre i boschi e gli incolti produttivi, anche quei terreni
che così avrebbero dovuto essere classificati, per il reddito o altre
caratteristiche, ma che non lo erano stati perché il vecchio catasto
ignorava la seconda di dette classifiche.
Il consulente rispondeva ai tre quesiti accertando che, con i dati
del vecchio catasto vi era eccedenza di esproprio, per circa un quarto
in più; con quelli del nuovo vi era difetto per circa un terzo in
meno; e con quelli del nuovo, ma con la esclusione del terreni di cui
alla terza ipotesi, vi era eccedenza per circa tre quarti in più.
Il Tribunale di Pisa, con sentenza 5 – 23 aprile 1965, superando
per irrilevanza la richiesta di rinvio alla Corte costituzionale,
rigettava nel merito la domanda della Garone, perché accettava le
risultanze del secondo tipo di calcolo, e riteneva in conseguenza che
vi fosse difetto e non eccedenza di espropriazione. E per giungere a
tale risultato superava l’eccezione mossa dalla difesa dell’attrice, –
la quale sosteneva che del dati del nuovo catasto, non ancora
pubblicati alla data del 15 novembre 1949 cui si riferisce la legge,
non si poteva tener calcolo, almeno quanto alla qualità di cultura e
classe di produttività del terreni, senza invadere il campo di
accertamento riservato all’autorità amministrativa – affermando che
nel caso si trattava soltanto di utilizzare dati, anche se non ancora
pubblicati, ma certamente già elaborati dalla competente autorità
all’epoca cui si riferisce la legge.
Appellava contro questa sentenza la Garone con atto 22 giugno 1965,
col quale riproponeva le sue anteriori richieste, e la Corte di appello
di Firenze, con ordinanza 3 giugno 1966, sospendeva il giudizio e
rimetteva gli atti alla Corte costituzionale per decidere la questione
relativa alla legittimità degli impugnati decreti presidenziali,
affermando quanto alla non manifesta infondatezza, che non vi era
contrasto fra le parti, e quanto alla rilevanza, che la questione
stessa era anche influente ai fini della decisione della controversia,
potendosi conoscere del merito solo dopo che tale questione fosse stata
risolta.
L’ordinanza, debitamente notificata, è stata pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 271 del 29 ottobre 1966. Con atto depositato in
data 18 novembre 1966 si costituiva in giudizio avanti la Corte la
signora Clara Garone con gli avvocati Angiolo Adorni Braccesi e Celso
Tabet, i quali hanno concluso per la dichiarazione di illegittimità
dei decreti presidenziali 6 settembre 1952, nn. 1398 e 1400.
Con atto depositato pure il 18 novembre detto si costituiva in
giudizio l’Ente Maremma con l’avv. prof. Guido Astuti, il quale
concludeva in via principale per la non rilevanza e infondatezza della
questione costituzionale e, in via subordinata, per la dichiarazione di
incostituzionalità dei decreti, ma con la consueta formula usata nei
casi di illegittimità parziale e facendo salvi gli ulteriori
accertamenti da compiersi dal giudice ordinario.
La difesa della Garone, in data 8 marzo c.a. depositava anche una
memoria aggiunta.
In tutti i loro scritti le parti ripetevano gli argomenti già
ampiamente svolti nelle due fasi di merito.
La Corte di appello di Firenze, quanto alla questione di
costituzionalità sollevata dalla difesa dell’attrice, ha fatto proprio
il punto di vista del Tribunale di Pisa circa la sua non manifesta
infondatezza, ma ha dissentito dalla opinione espressa, che ne
escludeva la rilevanza, ritenendo che essa sia invece anche influente
ai fini della decisione della controversia, a potendosi conoscere del
merito di questa solo dopo che la questione stessa sarà stata
risolta”.
Tale motivazione dell’ordinanza di rimessione, invero alquanto
sobria sul punto della rilevanza, deve ritenersi sufficiente ai fini
della introduzione del presente giudizio di legittimità
costituzionale, ove si integri con il passo anteriore nel quale la
Corte di appello, dopo aver precisato che il Tribunale era pervenuto
alla conclusione di negare che vi fosse stato nel caso eccesso di
espropriazione, utilizzando a tale scopo i dati del nuovo catasto, pone
in rilievo come esso avesse inoltre ritenuto “che sia consentito al
giudice ordinario la determinazione del reddito dominicale imponibile
alla data del 1 gennaio 1943 ai fondi aventi, in base ai nuovi
accertamenti, una consistenza diversa da quella risultante dal vecchio
catasto”.
In tale rinvio è implicito, ma evidente, un giudizio negativo
sulla legittimità dell’operato del Tribunale.
A tal riguardo questa Corte, come risulta da sue numerose sentenze
– fra cui le 97 e 99 del 1966 – ha ritenuto che la consistenza del
terreni soggetti a scorporo dev’essere quella reale, e non già quella
che appare dai dati catastali vigenti all’epoca cui si riferisce la
legge, ed ha aggiunto che, per compiere i relativi accertamenti,
possono essere utilizzati anche i dati del nuovo catasto a quell’epoca
non ancora vigente; ma ha sempre costantemente escluso – vedi da ultimo
sentenza 133 del 1967 – che quei dati possono essere presi in
considerazione al fine di rilevare mutamenti riguardanti la classe dei
terreni e ancor più le valutazioni di estimo catastale.
Non può quindi il giudice ordinario, direttamente o a mezzo di
consulente tecnico, oltre che desumere dal nuovo catasto i dati di
estensione, utilizzabili certamente, perché più precisi ed incidenti
su elementi immutabili nel tempo, rilevare anche le variazioni di
culture e riportarle all’anteriorità, compiendo una equiparazione di
voci e di tariffe, resa necessaria dalla difformità di esse tra il
vecchio e il nuovo catasto (sentenze 133 del 1967 e 28, 84, 98, 99 del
1966).
È ovvio che tutto ciò costituisce attività il cui compimento le
parti, entro i termini e con le modalità di cui all’art. 6 della
stessa legge 21 ottobre 1950, n. 841, avevano la possibilità di
sollecitare con apposito ricorso alla Commissione censuaria centrale,
ma che al giudice ordinario non è consentito di compiere.
Ora, tornando al caso in esame, deve rilevarsi che la Corte di
appello di Firenze, se, informandosi a tali principi, ha disapprovato
l’operato del Tribunale ed ha, col giudizio espresso sulla rilevanza,
mostrato di ritenere che l’espropriazione subita dalla Garone debba
considerarsi eccedente sulla quantità consentita, non ha rinnovato
l’esame di merito, sì che allo stato non può dirsi quello che finirà
per essere accertato su tale eccedenza dal giudice competente. La
quantità del terreni da espropriare rimane pertanto condizionata ai
definitivi accertamenti che l’autorità giudiziaria dovrà effettuare.
Ritenuto ciò, ovvio appare che i decreti presidenziali di
espropriazione di che trattasi debbano essere dichiarati
incostituzionali. Essi infatti, avendo utilizzato, per determinare la
consistenza della proprietà esproprianda, i dati del nuovo catasto
entrato in vigore il 1 settembre 1951, per quanto riguarda, non
soltanto l’estensione, ma anche la qualità di cultura e la classe di
produttività del terreni, non si sono riferiti alla consistenza di
quella proprietà alla data del 15 novembre 1949, come prescritto dalla
legge 841.
E, disapplicando i principi e i criteri della legge delegante quei
decreti hanno violato gli artt. 76 e 77 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 6 settembre
1952, n. 1398 e del D.P.R. 6 settembre 1952, n. 1400, in quanto, per la
formazione del piano di espropriazione, si è in essi tenuto conto del
dati del nuovo catasto entrato inattuazione nella zona successivamente
al 15 novembre 1949, ed in quanto risulti, dagli ulteriori
accertamenti, che vi è stato eccesso di espropriazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1968.
ALDO SANDULLI – BIAGIO PETROCELLI –
ANTONIO MANCA – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI.