Sentenza N. 437 del 1991
Corte Costituzionale
Data generale
09/12/1991
Data deposito/pubblicazione
09/12/1991
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/12/1991
Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof.
Giuliano VASSALLI;
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 ottobre 1986, n.
42 (Applicazione nel territorio regionale del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, come convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, recante
disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale) e art. 6, comma terzo, del d.P.R. 15 gennaio
1987, n. 469 (Norme integrative di attuazione dello Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia) promosso con ordinanza emessa il
12 dicembre 1990 dal Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia su ricorso proposto dal Consorzio Ledra-Tagliamento
contro il Ministero per i beni culturali e ambientali ed altri,
iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale
dell’anno 1991;
Visti gli atti di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia
e del Ministero per i beni culturali e ambientali, nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 9 luglio 1991 il Giudice relatore
Antonio Baldassarre;
Uditi l’avvocato Gaspare Pacia per la Regione Friuli-Venezia
Giulia e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Ministero
per i beni culturali e ambientali e per il Presidente del Consiglio
dei ministri;
Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia ha sollevato
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della
legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28 ottobre 1986, n. 42
(Applicazione nel territorio regionale del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, come convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, recante
disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), nonché dell’art. 6, terzo comma, del d.P.R.
15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative di attuazione dello
Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), per violazione
degli artt. 4, n. 12, e 6, n. 3, dello Statuto di autonomia, che
rispettivamente affidano alla Regione ricorrente la competenza
esclusiva in materia urbanistica e la competenza integrativa-attuativa in tema di tutela del paesaggio.
Secondo il giudice a quo, la legge regionale impugnata sarebbe
espressione della competenza attuativa-integrativa spettante alla
Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di tutela del paesaggio ai
sensi dell’art. 6, n. 3, dello Statuto, e non già della distinta
competenza esclusiva che la stessa Regione possiede in materia
urbanistica a norma dell’art. 4, n. 12, del medesimo Statuto. In
altri termini, la legge impugnata non potrebbe contenere norme
contrarie a quelle disposte in materia di protezione paesaggistica
dalla legislazione statale. Tuttavia, continua il giudice a quo, le
disposizioni regionali denunziate si porrebbero in contrasto con
l’art. 1- bis del decreto-legge n. 312 del 1985, come convertito in
legge n. 431 del 1985, poiché, nel prevedere che il piano
urbanistico regionale generale sia considerato come un piano
territoriale con specifica vocazione paesaggistica e ambientale ai
sensi del citato art. 1- bis, dispone che nei comuni provvisti di
piani adeguati al suddetto piano regionale i vincoli paesaggistici
siano posti con gli ordinari strumenti urbanistici anziché con la
specifica autorizzazione ministeriale prevista dall’art. 7 della
legge n. 1497 del 1939. Tale disposizione, conclude il giudice a quo,
sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto, in virtù della
deroga al suddetto art. 7 della legge n. 1497 del 1939, farebbe venir
meno tutti i poteri di vigilanza, di controllo e di annullamento
attribuiti al Ministro per i beni culturali e ambientali in materia
paesaggistica, i quali sono sistematicamente connessi alla ricordata
autorizzazione ministeriale.
Lo stesso giudice a quo solleva questione di legittimità
costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri, anche nei
confronti dell’art. 6, terzo comma, del d.P.R. n. 469 del 1987, il
quale, in sede di attuazione dello Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia, dispone, con una norma interpretativa, che nella
Regione suddetta la materia urbanistica deve essere intesa
nell’accezione ampia contenuta nel d.P.R. n. 616 del 1977 in
relazione alla omologa competenza trasferita alle regioni a statuto
ordinario. In tal modo, conclude il giudice a quo, poiché la materia
urbanistica verrebbe a ricomprendere anche la tutela del paesaggio,
l’art. 6, terzo comma, del d.P.R. n. 469 del 1987 legittimerebbe a
posteriori uno spostamento della protezione paesaggistica dalla
competenza attuativa-integrativa a quella esclusiva, spostamento che
dovrebbe considerarsi contrario allo Statuto comportando un
sovvertimento dell’ordine delle competenze fissato da una fonte di
rango costituzionale.
2. – Si è costituito in giudizio il Ministro per i beni culturali
e ambientali, già parte nel processo a quo, sostenendo, con
riferimento alla legge regionale impugnata, argomenti analoghi a
quelli svolti nell’ordinanza di rimessione e sottolineando, in
aggiunta, che il contrasto con l’art. 1- bis del decreto-legge n. 312
del 1985, come convertito nella legge n. 431 del 1985, comporterebbe
una lesione dello Statuto speciale anche a ritenere che la legge
impugnata fosse espressione di competenza esclusiva, dal momento che
questa Corte ha già definito il predetto decreto-legge come norma
fondamentale di riforma economico-sociale.
3. – Si è costituita in giudizio anche la Regione Friuli-Venezia
Giulia per chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate
infondate. La Regione sostiene, in primo luogo, che il decreto-legge
n. 312 del 1985, come convertito nella legge n. 431 del 1985, avrebbe
essenzialmente natura cautelativa e provvisoria, nel senso che il suo
fine consisterebbe nello stimolare le regioni a predisporre i piani
paesistici o i piani urbanistico-territoriali con specifica vocazione
paesistica e ambientale, sicché la relativa disciplina statale
esaurirebbe i propri effetti non appena le singole regioni
predisponessero quei piani. In secondo luogo, la Regione afferma che
la sostituzione dell’autorizzazione ministeriale prevista nell’art. 7
della legge n. 1497 del 1939 con propri provvedimenti aventi lo
stesso scopo sarebbe pienamente consentita, poiché la tutela del
paesaggio risulterebbe assorbita dall’urbanistica e dovrebbe,
perciò, esser considerata come materia assegnata alla competenza
esclusiva della Regione.
4. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, che ha invece sostenuto la natura delegata delle funzioni
in materia di tutela del paesaggio. Secondo l’Avvocatura dello Stato,
sarebbe pertanto inammissibile o infondata la questione relativa
all’art. 6, terzo comma, del d.P.R. n. 469 del 1987, dal momento che
quest’ultimo si riferirebbe soltanto a materie trasferite e, quindi,
dovrebbe ritenersi inapplicabile al caso di specie.
5. – In prossimità dell’udienza la Regione Friuli-Venezia Giulia
ha presentato una memoria ulteriore. Oltre a ribadire argomenti già
svolti nel precedente scritto difensivo, la Regione afferma che, ove
si ritenesse che il decreto-legge n. 312 del 1985 non abbia natura
provvisoria e cautelativa, si verrebbe a riconoscere al Ministro per
i beni culturali e ambientali un potere eccessivamente discrezionale,
valevole caso per caso e tale da ingolfare l’amministrazione
regionale. In secondo luogo, la stessa Regione osserva che la tutela
del paesaggio non potrebbe esser considerata una materia rientrante
tra le funzioni delegate, poiché, se così fosse, risulterebbe
frustrato il principio del conferimento delle competenze alle regioni
per settori organici.
Giulia ha sollevato, con l’ordinanza indicata in epigrafe, questione
di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge
regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 ottobre 1986, n. 42
(Applicazione nel territorio regionale del decreto-legge 27 giugno
1985, n. 312, come convertito in legge 8 agosto 1985, n. 431, recante
disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), nonché dell’art. 6, terzo comma, del d.P.R.
15 gennaio 1987, n. 469 (Norme integrative di attuazione dello
Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), per violazione
degli artt. 4, n. 12, e 6, n. 3, dello Statuto speciale per il
Friuli-Venezia Giulia (Legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1),
che attribuiscono alle regioni, rispettivamente, potestà legislativa
esclusiva in materia urbanistica e potestà integrativa-attuativa in
tema di tutela del paesaggio.
2. – Non fondata va dichiarata, innanzitutto, la questione di
legittimità costituzionale, sollevata – in riferimento agli artt. 4,
n. 12, e 6, n. 3, dello Statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia – avverso l’art. 6, terzo comma, del d.P.R. n. 469
del 1987, il quale, in sede di attuazione del predetto Statuto,
dispone che “fra le funzioni amministrative trasferite alla Regione
Friuli-Venezia Giulia con i precedenti decreti di attuazione
statutaria si intendono comprese, per ciascuna materia, tutte quelle
rientranti nella definizione datane per le regioni ordinarie dal
d.P.R. n. 616”.
Non può infatti riconoscersi alcun fondamento al dubbio sollevato
dal giudice a quo, secondo il quale la disposizione impugnata
sovvertirebbe l’ordine delle attribuzioni costituzionalmente
stabilito, dal momento che comporterebbe l’inclusione della materia
della tutela del paesaggio, assegnata alla competenza attuativa-integrativa (art. 6, n. 3, dello Statuto), in quella
dell’urbanistica, conferita alla competenza esclusiva (art. 4, n. 12,
dello Statuto). Tale assunto si basa, in realtà, su un
fraintendimento del significato della disposizione impugnata, la
quale, come ha correttamente osservato l’Avvocatura Generale dello
Stato, contiene una norma interpretativa diretta a riconoscere che la
portata delle materie già trasferite alle competenze della Regione
Friuli-Venezia Giulia deve intendersi nell’ampiezza riconosciuta alle
stesse materie dal d.P.R. n. 616 del 1977 a favore delle regioni a
statuto ordinario. In altri termini, quella impugnata è una delle
varie norme presenti nell’ordinamento che mira ad adeguare le
competenze delle regioni ad autonomia differenziata alla consistenza
delle corrispondenti attribuzioni riconosciute alle regioni ordinarie
dopo il rimodellamento e l’ampliamento operati a favore di queste
ultime dal ricordato d.P.R. n. 616. Come tale, essa non produce
alcuno spostamento di competenza rispetto alla ripartizione di
attribuzione precedentemente fissata, ma si limita semplicemente a
rimuovere un’inammissibile situazione di inferiorità delle regioni
speciali rispetto a quelle ordinarie creatasi in seguito all’adozione
del d.P.R. n. 616 del 1977.
Questa interpretazione è suffragata dalla lettera della
disposizione impugnata, la quale fa esplicito riferimento
esclusivamente alle materie che sono state oggetto di precedente
trasferimento alla Regione Friuli-Venezia Giulia. È evidente,
pertanto, che la disposizione contestata non può essere interpretata
nel senso che sarebbe diretta a innovare la preesistente ripartizione
di competenze ricomprendendo nella potestà esclusiva materie
statutariamente assegnate alla potestà attuativa-integrativa, per il
semplice fatto che si riferisce unicamente alle materie trasferite e
non già a quelle delegate. Cade, così, la possibilità di
ipotizzare una qualche lesione degli artt. 4, n. 12, e 6, n. 3, dello
Statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia.
3. – Va, invece, accolta la questione di legittimità
costituzionale sollevata, in riferimento ai parametri costituzionali
appena citati, nei confronti del combinato disposto formato dagli
artt. 1, 2 e 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28
ottobre 1986, n. 42, nella parte in cui limita l’applicazione dei
controlli statali previsti dall’art. 1 del decreto- legge n. 312 del
1985, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985, per i
beni e le località ivi indicate, ai Comuni dotati di strumenti
urbanistici generali non ancora adeguati al Piano urbanistico
regionale generale, di cui all’art. 1 della stessa legge regionale.
Ai sensi dell’art. 1- bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312
(Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare
interesse ambientale), nel testo convertito dalla legge 8 agosto
1985, n. 431, alle regioni è imposto l’obbligo di sottoporre il
proprio territorio – per quanto riguarda le località e i beni
indicati nell’art. 1 della medesima legge n. 431 – a specifica
normativa d’uso e di valorizzazione ambientale mediante la redazione
di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesistici e ambientali. Sulla base della
stessa disposizione contenuta nel citato art. 1, i beni così
regolati sono “sottoposti a vincolo paesaggistico ai sensi della
legge 29 giugno 1939, n. 1497” (art. 7), vincolo che consiste nella
necessità che gli interventi sui relativi beni siano sottoposti ad
autorizzazione rilasciata dall’autorità amministrativa regionale e,
in caso d’inerzia di quest’ultima, dal Ministro per i beni culturali
e ambientali, il quale ha altresì il potere di annullare, con atto
motivato, la predetta autorizzazione regionale.
In attuazione di tale disciplina la Regione Friuli-Venezia Giulia
ha adottato la legge n. 42 del 1986, la quale, negli articoli
impugnati, provvede: a) a identificare il “piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e
ambientali”, previsto dall’art. 1- bis della citata legge n. 431 del
1985, con il Piano urbanistico regionale generale (art. 1), peraltro
da tempo approvato; b) a predisporre la verifica del rispetto da
parte del Piano urbanistico regionale generale dei valori paesistici
e ambientali tutelati dalla predetta legge n. 431 e a prevedere
l’eventuale consequenziale revisione del Piano medesimo (art. 2); c)
a limitare l’applicazione del vincolo paesaggistico previsto dal
decreto-legge n. 312 ai beni situati nei comuni dotati di strumenti
urbanistici generali non ancora adeguati al Piano urbanistico
regionale generale (art. 3).
Diversamente da quel che suppone il giudice a quo, ai fini della
risoluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata,
gli artt. 1, 2 e 3 della legge regionale n. 42 del 1986 non possono
essere considerati come un combinato disposto. Tra i tre articoli,
infatti, manca, con riferimento alla questione sollevata,
quell’essenziale rapporto logico che dovrebbe portare a dedurre
dall’insieme delle disposizioni colpite il significato unitario
costituente la norma sospettata d’incostituzionalità. Le
disposizioni impugnate, pertanto, vanno esaminate partitamente.
Gli artt. 1 e 2 della legge regionale contestata non contrastano
con i parametri costituzionali invocati, poiché, come questa Corte
ha già riconosciuto (v. sent. n. 327 del 1990, nonché ord. n. 385
del 1985 e sent. n. 344 del 1990), nulla esclude – ed anzi l’art. 1-bis della legge n. 431 del 1985 specificamente autorizza – che gli
strumenti pianificatori indicati nell’appena citato art. 1- bis
coincidano con i piani urbanistico-territoriali, purché questi
contengano una “specifica considerazione dei valori paesistici e
ambientali”. Sotto quest’ultimo profilo, l’impugnato art. 2 fornisce
una sufficiente garanzia perché l’art. 1- bis della legge n. 431 sia
rispettato, dal momento che vincola la Regione a provvedere: a) alla
verifica del rispetto da parte del Piano urbanistico regionale
generale dei valori paesistici e ambientali tutelati dall’art. 1- bis
della legge n. 431 del 1985; b) all’invio delle risultanze degli
accertamenti compiuti al Ministro per i beni culturali e ambientali
al fine di mettere in condizione quest’ultimo di svolgere la propria
vigilanza e i propri controlli; c) ad apportare le revisioni e le
modifiche ritenute necessarie. Dal punto di vista del giudizio di
legittimità costituzionale, queste disposizioni contengono una
disciplina attuativa del ricordato art. 1- bis che non può
considerarsi contrastante con quest’ultimo articolo, esulando dalla
competenza di questa Corte verificare se in concreto la Regione si
sia attenuta, nell’esercizio delle relative funzioni amministrative,
al rispetto della suddetta disciplina.
In radicale contrasto con la legge n. 431 del 1985 e, pertanto, in
diretta violazione dell’art. 6, n. 12, dello Statuto speciale per il
Friuli-Venezia Giulia è, invece, l’art. 3 della legge regionale n.
42 del 1986. Tale articolo, infatti, nel prevedere che siano soggetti
al vincolo paesaggistico indicato nella legge n. 1497 del 1939 e
nella legge n. 431 del 1985 soltanto i beni elencati nell’art. 1 di
quest’ultima legge che siano situati nei “comuni dotati di strumenti
urbanistici generali non ancora adeguati al Piano urbanistico
regionale”, si pone in palese contrasto con la disposizione di cui
pretende essere attuazione, cioè l’art. 1- bis della legge n. 431
del 1985, per la quale gli interventi sui beni sottoposti a piani
paesistici o a piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesistici e ambientali sono in ogni caso
soggetti ai controlli e ai poteri assegnati al Ministro per i beni
culturali e ambientali dall’art. 1 della medesima legge n. 431.
L’effetto dell’art. 3, in altri termini, è quello, illegittimo, di
sottrarre ai suddetti controlli gli interventi rientranti nelle
previsioni del Piano urbanistico regionale, una volta che questo sia
stato fatto coincidere con il “piano urbanistico-territoriale con
specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”. Se,
infatti, nel territorio dei comuni provvisti di strumenti urbanistici
ritenuti adeguati al Piano urbanistico regionale generale viene meno
la necessità di ottenere l’autorizzazione prevista dall’art. 7 della
legge n. 1497 del 1939, risultano vanificati, di conseguenza, sia il
controllo sostitutivo, sia il potere di annullamento
dell’autorizzazione stessa, attribuiti al Ministro per i beni
culturali e ambientali dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985.
Né si potrebbe obiettare, come sostiene la difesa della Regione,
che la disciplina apprestata dalla legge n. 431 del 1985 abbia
carattere meramente cautelativo e provvisorio e sia, quindi,
destinata ad essere cedevole non appena le singole regioni pongano in
essere i piani paesistici regionali. Questa Corte, infatti, ha già
affermato in senso contrario che i poteri e i controlli ministeriali,
che la disposizione impugnata cerca di eludere, sono posti “a estrema
difesa” dei vincoli paesaggistici e, come tali, costituiscono parte
di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il
valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9
della Costituzione), come “norme fondamentali di riforma economico-sociale” (v. sent. n. 151 del 1986, nonché sent. n. 302 del 1988).
Le disposizioni che li prevedono, pertanto, non possono essere
derogate, modificate o sostituite dalle leggi regionali, neppure ove
queste esercitassero competenze di carattere esclusivo.
4. – Sulla base dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), si deve poi dichiarare, in via consequenziale,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia 13 dicembre 1989, n. 36, il quale contiene, nei
suoi quattro commi, una disciplina sostanzialmente identica a quella
dell’art. 3 della legge regionale n. 42 del 1986, dichiarato
incostituzionale nel punto precedente di questa motivazione o,
comunque, avente il suo titolo di validità in quello stesso
articolo. I primi tre commi, infatti, provvedono a sostituire, in
relazione ai beni indicati nell’art. 1 della legge n. 431 del 1985,
le autorizzazioni previste dalla legge n. 1497 del 1939 con le
concessioni e le autorizzazioni edilizie rilasciate in applicazione
degli strumenti urbanistici generali adeguati alle previsioni del Piano urbanistico regionale generale e a sottoporre i medesimi beni
alla particolare disciplina disposta dalla legge regionale medesima.
Il quarto comma, infine, ripete che sono soggetti all’autorizzazione
di cui all’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 soltanto gli
interventi da realizzare nei comuni indicati nell’art. 3 della legge
regionale n. 46 del 1986, dichiarato incostituzionale con questa
stessa sentenza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 3 della
legge regionale 28 ottobre 1986, n. 42;
dichiara – in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 – la illegittimità costituzionale dell’art. 1 della
legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 13 dicembre 1989, n. 36
(Ulteriori disposizioni in materia di tutela ambientale e
paesaggistica);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6, terzo comma, del d.P.R. 15 gennaio 1987, n. 469 (Norme
integrative di attuazione dello Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), sollevata, con l’ordinanza indicata in
epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia
Giulia, in riferimento agli artt. 4, n. 12, e 6, n. 3, dello Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (Legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 28
ottobre 1986, n. 42 (Applicazione nel territorio regionale del
decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, come convertito in legge 8
agosto 1985, n. 431, recante disposizioni urgenti per la tutela delle
zone di particolare interesse ambientale), sollevata, con l’ordinanza
indicata in epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale del
Friuli-Venezia Giulia in riferimento ai parametri indicati nel punto
precedente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1991.
Il Presidente: CORASANITI
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 9 dicembre 1991.
Il cancelliere: DI PAOLA