Sentenza N. 441 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
16/12/1993
Data deposito/pubblicazione
16/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/12/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof. Luigi MENGONI, prof.
Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI;
comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077 (Miglioramento del
trattamento di quiescenza ed adeguamento delle pensioni a carico
della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali facenti
parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro),
promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1990 dalla Corte dei
conti – Sezione terza giurisdizionale, sul ricorso proposto da
Maloberti Achille, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 1992 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima
serie speciale, dell’anno 1992;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
corso di un giudizio promosso da un dipendente della Camera di
commercio, industria e artigianato di Genova, per ottenere che, al
fine del computo della pensione, fosse considerata anche la
“gratificazione annuale” di cui all’art. 40 del regolamento approvato
con decreto ministeriale 16 marzo 1970, relativo al personale
camerale – ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959, n. 1077,
nella parte in cui ha escluso la pensionabilità delle mensilità
oltre la tredicesima per gli iscritti alla Cassa per le pensioni dei
dipendenti degli enti locali, istituita presso gli Istituti di
previdenza del Ministero del tesoro, con trattamento economico di
attività di servizio disciplinato da regolamento ministeriale.
Nell’ordinanza di rimessione si deduce il contrasto di tale
disposizione, in parte qua, con l’art. 3 Cost., giacché – prevedendo
che le mensilità oltre la tredicesima, corrisposte a titolo di
gratifiche annuali o altrimenti periodiche, fossero computabili ai
fini della pensione soltanto per gli iscritti con trattamento
economico di attività di servizio regolato da contratto collettivo
di lavoro, e limitatamente alla parte di esse corrisposte ai sensi di
tale contratto – avrebbe posto in essere un’ingiustificata disparità
di trattamento.
Il giudice a quo deduce al riguardo che l’art. 15, primo comma, ha
stabilito, in via generale, che la retribuzione annua contributiva
“è la risultante degli emolumenti fissi e continuativi o ricorrenti
ogni anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione
corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o
regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro, come
remunerazione per la normale attività lavorativa”.
Tale norma è intesa ad assicurare che gli emolumenti computabili
ai fini pensionistici abbiano carattere di generalità, escludendo la
computabilità di quelli previsti dai regolamenti dei singoli enti.
Peraltro, gli emolumenti previsti da regolamenti ministeriali – come
quelli in questione – secondo il giudice a quo avevano tale
carattere, e quindi sarebbero stati irrazionalmente e
discriminatoriamente non compresi tra gli emolumenti computabili a
fini pensionistici.
Nell’ordinanza di rimessione si deduce anche il contrasto della
suddetta esclusione con l’art. 36 Cost., essendo gli emolumenti in
questione elementi della normale retribuzione lavorativa, dei quali
la norma costituzionale impone che si tenga conto ai fini della
pensione, stante la natura di retribuzione differita di quest’ultima.
2. – Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, col patrocinio dell’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
infondata.
Nell’atto di costituzione si deduce al riguardo che il
legislatore, con l’art. 16 della legge n. 1077 del 1959, consentendo
il computo, ai fini del calcolo della pensione, delle mensilità
oltre la tredicesima, corrisposte a titolo di gratifiche annuali o
altrimenti periodiche, soltanto per gli iscritti alla Cassa pensioni
con trattamento economico di attività di servizio regolato da
contratto collettivo di lavoro e, comunque, limitatamente alla parte
di esse corrisposte obbligatoriamente ai sensi del rispettivo
contratto di lavoro, ha debitamente valutato che la rilevante
consistenza numerica delle predette categorie assicurava, da un lato,
una base contributiva allargata, adeguata in relazione ai conseguenti
oneri pensionistici e, dall’altro, la maggiore ponderatezza e la
minore entità degli emolumenti concessi in sede di contrattazione
nazionale.
La norma impugnata troverebbe la propria ratio nei suddetti
elementi, che invece non sarebbe dato di riscontrare nei confronti
del personale con retribuzione disciplinata da decreto ministeriale.
In tal caso, infatti, trattandosi di un numero limitato di soggetti,
il rischio di maggiore liberalità nella elargizione di consistenti
emolumenti retributivi, unitamente alla ristretta base contributiva,
metteva in pericolo la necessaria copertura degli oneri
pensionistici.
Pertanto, sarebbe priva di fondamento la tesi secondo la quale
irrazionalmente il legislatore avrebbe trattato diversamente (al fine
di considerare quale retribuzione contributiva utile a pensione la
gratificazione annuale), la posizione dei dipendenti disciplinati da
contratto collettivo da quella dei dipendenti delle Camere di
Commercio, la cui disciplina discendeva (sino al loro passaggio alle
regioni) da regolamento ministeriale.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 36 Cost., nell’atto
d’intervento si osserva che tale norma garantisce al lavoratore “una
esistenza libera e dignitosa”, che non è compromessa dal mancato
calcolo, ai fini della pensione, della gratifica in questione.
(Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle
pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli
Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il
Ministero del tesoro) stabilisce che la retribuzione annua
contributiva (sulla base della quale si calcola la pensione) è
rappresentata dagli “elementi fissi e continuativi o ricorrenti ogni
anno che costituiscono la parte fondamentale della retribuzione
corrisposta, ai sensi delle vigenti disposizioni legislative o
regolamentari ovvero dei contratti collettivi di lavoro, come
remunerazione per la normale attività lavorativa richiesta per il
posto ricoperto”.
Il successivo articolo 16 prevede alcune eccezioni a tale
principio generale. In particolare, il secondo comma stabilisce che
“le eventuali mensilità oltre la tredicesima corrisposte a titolo di
gratifiche annuali o altrimenti periodiche .. sono da comprendersi
nella retribuzione annua contributiva soltanto per gli iscritti con
trattamento economico di attività di servizio regolato da contratto
collettivo di lavoro e comunque limitatamente alla parte di esse
corrisposte obbligatoriamente ai sensi del rispettivo contratto di
lavoro”.
La Corte dei conti dubita della legittimità costituzionale – con
riferimento agli articoli 3 e 36 Cost. – di quest’ultima
disposizione, nella parte in cui esclude la pensionabilità delle
mensilità aggiuntive oltre la tredicesima per gli iscritti alla
C.P.D.E.L. con trattamento economico di attività di servizio
disciplinato (non da contratto collettivo ma) da regolamento
ministeriale. La questione è riferita in particolare al personale
delle camere di commercio, con rapporto di impiego disciplinato dal
regolamento di cui al decreto ministeriale 16 marzo 1970 (che,
all’articolo 40, prevede una gratificazione annuale – oltre alla
tredicesima – pari a due mensilità di retribuzione).
La norma impugnata – secondo il giudice a quo – è intesa ad
assicurare che gli emolumenti pensionabili abbiano carattere di
generalità, escludendo la computabilità di quelli previsti dai
regolamenti dei singoli enti. Peraltro, gli emolumenti previsti da
regolamenti ministeriali presentano anch’essi tale carattere di
generalità – alla pari di quelli previsti dai contratti collettivi –
e pertanto la limitazione disposta dal secondo comma del citato
articolo 16 sarebbe, per questo verso, irrazionale e discriminatoria.
2. – La questione non è fondata.
Vi è da osservare che la limitazione alla computabilità ai fini
contributivi e pensionistici delle mensilità aggiuntive oltre la
tredicesima è riferita in via preliminare dalla norma impugnata non
già alla fonte normativa che prevede e regola tali erogazioni
retributive, ma al tipo di rapporto cui esse accedono. La
computabilità è infatti comunque esclusa per tutti i rapporti non
regolati direttamente ed esclusivamente da contratti collettivi di
diritto comune e cioè per tutti i rapporti di tipo non privatistico.
È solo con riguardo ai rapporti di impiego a regime privatistico e
quindi regolati direttamente da contratto collettivo che viene in
rilievo la seconda limitazione disposta dalla norma in esame, quella
secondo cui, perché siano computabili agli effetti in questione, le
mensilità aggiuntive debbono essere considerate dal medesimo
contratto collettivo che regola il rapporto ed essere ivi previste
come obbligatorie. Ed è quindi solo questa seconda limitazione che
risponde effettivamente alla specifica ratio di escludere la
pensionabilità di emolumenti previsti non dalla disciplina generale,
ma solo da quella particolare dei singoli enti o dei singoli
rapporti.
Tale interpretazione, oltre che essere imposta dal tenore
letterale della disposizione, trova conferma nella considerazione
delle finalità di omogeneizzazione – certamente apprezzabili – che
il legislatore ha inteso perseguire in questa materia (quali sono
state ben evidenziate – con significativi richiami al dibattito
parlamentare – dalle sentenze della stessa Corte dei conti, Sez. III,
pensioni civili, in data 17 aprile 1989 nn. 62748 e 62739).
L’esclusione assoluta della pensionabilità delle mensilità
aggiuntive ulteriori alla tredicesima per i rapporti di tipo
pubblicistico trovava, infatti, la sua giustificazione nella
circostanza che simili emolumenti costituivano una vera e propria
anomalia, non essendo previsti né nel trattamento economico dei
dipendenti dello Stato – che era il modello al quale doveva
tendenzialmente uniformarsi il rapporto di impiego dei dipendenti
degli enti locali – né nella generalità degli ordinamenti relativi
a questa categoria di dipendenti pubblici. Essendo falliti i
ricorrenti tentativi di riportare ad uniformità il trattamento di
attività del pubblico impiego – specie a causa della tendenza degli
enti locali a istituire emolumenti aggiuntivi – il legislatore del
1959 aveva inteso evitare che tali difformità avessero rilevanti
riflessi anche sul trattamento di quiescenza. Una simile esigenza non
si poneva, invece, per il personale regolato dai comuni contratti
collettivi di diritto privato, sia perché il loro trattamento era ex
se del tutto eterogeneo rispetto a quello del pubblico impiego, sia
perché la disciplina generale di tale trattamento, essendo la
risultante dei normali meccanismi di mercato, era meno suscettibile
di essere condizionata dai suddetti fattori distorsivi. Per i
dipendenti a regime privatistico, l’esigenza di omogeneizzazione, che
non si poneva con riferimento alla disciplina generale del loro
rapporto, tornava a sussistere con riferimento ai trattamenti
aggiuntivi che potevano essere pattuiti a livello del singolo ente,
ovvero per particolari categorie o ad personam. Di qui l’esclusione
della pensionabilità per tutti quegli emolumenti estranei alla
previsione del contratto collettivo.
3. – Agli effetti della pensionabilità o meno delle mensilità
aggiuntive oltre la tredicesima, il discrimine non è quindi quello
prospettato dal giudice a quo.
Riferita invece – come deve essere – alla distinzione tra rapporti
di diritto pubblico e rapporti regolati dai comuni contratti
collettivi privati, la denunziata diversità di disciplina non
determina violazione dell’articolo 3 della Costituzione, perché, a
parte la diversità tra le situazioni regolate, essa è
ragionevolmente giustificata dalle considerazioni che si sono sopra
esposte.
4. – Né sussiste la denunziata lesione dell’articolo 36 della
Costituzione. È vero, infatti, che dagli articoli 36 e 38 discende
il principio che, al pari della retribuzione percepita in costanza
del rapporto di lavoro, il trattamento di quiescenza, che della
retribuzione costituisce il prolungamento a fini previdenziali, deve
essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro
prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore e alla sua
famiglia i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita. Tuttavia, i
ricordati principi di proporzionalità e di adeguatezza non
comportano che sia garantita in ogni caso una integrale
corrispondenza tra retribuzione e pensione ma lasciano alla
discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare
correttivi di dettaglio che – senza intaccare i suddetti criteri con
riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico
– siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione.
Nel caso in esame, il principio di proporzionalità tra il reddito
pensionistico ed il normale reddito di lavoro è sostanzialmente
assicurato dagli articoli 15 e 16 della legge n. 1077 del 1959,
mentre il correttivo in esame è giustificato dall’esigenza di
omogeneizzazione di cui si è fatto cenno.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 16, secondo comma, della legge 5 dicembre 1959 n. 1077
(Miglioramento del trattamento di quiescenza ed adeguamento delle
pensioni a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli
Enti locali facenti parte degli Istituti di previdenza presso il
Ministero del tesoro) sollevata dalla Corte dei conti, Sezione terza
giurisdizionale, con ordinanza del 14 novembre 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: SPAGNOLI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA