Sentenza N. 451 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1997
Data deposito/pubblicazione
30/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile
promosso con ordinanza emessa il 17 giugno 1996 dal tribunale per i
minorenni di Genova iscritta al n. 1118 del registro ordinanze 1996 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima
serie speciale, dell’anno 1996;
Udito nella camera di consiglio del 1 ottobre 1997 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
dalla madre naturale di una minore nei confronti dell’altro genitore
il tribunale per i minorenni di Genova ha sollevato questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 30 della
Costituzione, degli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle
disposizioni di attuazione del codice civile.
Premette il giudice a quo di essere stato investito dalla
ricorrente di una duplice domanda, l’una di affidamento della figlia
naturale e l’altra di determinazione della prestazione economica da
porre a carico del padre naturale a titolo di contributo per il
mantenimento della bambina. Aggiunge, quindi, di essersi pronunciato
soltanto sulla prima delle due.
In ordine alla seconda, che costituisce il fulcro della presente
questione, il tribunale rimettente rileva che le norme impugnate,
nonostante l’esistenza di una prassi contraria seguita da altri
tribunali per i minorenni, non consentono di ritenere sussistente la
competenza di tale giudice per le questioni patrimoniali tra genitori
naturali relative al mantenimento dei figli minori. In altre parole,
mentre per i procedimenti di separazione e di divorzio la legge
prevede che sia un unico giudice, ossia il tribunale ordinario, a
decidere sia sull’affidamento dei figli che sui relativi obblighi di
carattere economico, analoga disposizione non c’è per la rottura del
rapporto more uxorio; in tal caso, infatti, le questioni di
affidamento dei figli sono di competenza del tribunale per i
minorenni, mentre quelle di carattere economico (tra i genitori) sono
devolute al tribunale ordinario.
Osserva il tribunale ligure che tale divaricazione, sulla cui
legittimità costituzionale questa Corte si è già pronunciata
(sentenza n. 23 del 1996) in modo da lasciare impregiudicata
l’attuale prospettazione, crea un’ingiustificata disparità di
trattamento tra situazioni che sono omogenee. Ed infatti, aver
sottratto al giudice che si occupa dei figli il potere di statuire
anche sulle relative questioni economiche obbliga la parte
interessata ad adire due giudici diversi per la cognizione di una
realtà unica, impone l’adozione del rito ordinario per le
controversie patrimoniali – con inevitabile allungamento dei tempi
del processo – ed infine assoggetta la pronuncia su tali questioni
all’iniziativa di parte, mentre tale pronuncia dovrebbe essere
indisponibile.
In conseguenza di ciò, il tribunale rimettente osserva che le
norme impugnate determinano una disparità tra figli legittimi e
figli naturali, con violazione degli indicati parametri
costituzionali.
2. – Non si sono costituite le parti private, né ha prestato
intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di attuazione del
codice civile siano in contrasto con gli artt. 3 e 30 della
Costituzione nella parte in cui, assegnando al tribunale per i
minorenni la competenza a statuire sull’esercizio della potestà dei
genitori di figli naturali, non attribuiscono a detto giudice,
unitamente alla competenza in materia di affidamento dei figli minori
e di regolamentazione dei rapporti tra i predetti e il genitore non
affidatario, anche la competenza a pronunciarsi, con provvedimento
avente contenuto ed effetto di titolo esecutivo, sulle questioni
relative all’obbligo dei genitori di mantenere la prole, con
particolare riferimento alla determinazione di un assegno mensile a
carico del genitore non affidatario.
2. – Il contenuto sostanziale della doglianza sta nel fatto che,
mentre nell’ambito del giudizio di separazione e divorzio il
tribunale ordinario assomma in sé tutti i poteri decisionali circa
la dissoluzione del rapporto coniugale – ivi compresi i provvedimenti
economici e quelli relativi all’affidamento ed al mantenimento dei
figli legittimi -, altrettanto non si verifica nell’ambito della
convivenza more uxorio e dei provvedimenti concernenti i figli
naturali riconosciuti. Per questi ultimi, infatti, le norme
impugnate stabiliscono la competenza del tribunale per i minorenni
per le sole decisioni relative all’affidamento, mentre ogni questione
patrimoniale circa il mantenimento è devoluta alla competenza del
tribunale ordinario. E tale divaricazione, ad avviso del rimettente,
è tanto più irrazionale nel caso in esame, nel quale la domanda di
affidamento e quella di determinazione di un assegno di mantenimento
a carico dell’altro genitore sono state proposte contestualmente.
3. – La questione non è fondata.
Questa Corte, pur non avendo affrontato l’attuale problema negli
esatti termini nei quali oggi è presentato, ha elaborato
sull’argomento numerosi principi che è opportuno richiamare. È
stato costantemente affermato, infatti, che il legislatore – al quale
va riconosciuta la più ampia discrezionalità nella regolazione
generale degli istituti processuali (v. sentenze n. 295 del 1995 e n.
65 del 1996) – è in particolare arbitro di dettare regole di
ripartizione della competenza fra i vari organi giurisdizionali,
sempreché le medesime non risultino manifestamente irragionevoli.
Nell’ambito di tale giurisprudenza, si è anche ribadito che “il
simultaneus processus è mero espediente processuale mirato a fini di
economia dei giudizi e di prevenzione del pericolo di eventuali
giudicati contraddittori”, onde la sua inattuabilità non viola il
diritto di difesa “una volta che la pretesa sostanziale del soggetto
interessato possa essere fatta valere nella competente, pur se
distinta, sede giudiziaria con pienezza di contraddittorio e di
difesa” (ordinanza n. 308 del 1991).
In relazione alla specifica questione sollevata dal giudice
rimettente questa Corte, con la sentenza n. 135 del 1980, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 155 cod. civ. sollevata sotto il profilo – in qualche modo
speculare – per cui la competenza del tribunale ordinario (anziché
del tribunale per i minorenni) in relazione alle questioni di
maggiore interesse per la prole avrebbe violato gli artt. 3 e 25
della Costituzione. In motivazione, tra l’altro, è stato ribadito
che “il riparto fra la competenza del tribunale per i minorenni e
quella del tribunale ordinario non può non ricadere nell’ambito
della discrezionalità legislativa” (v. sul punto anche le sentenze
n. 193 del 1987 e n. 429 del 1991).
In tempi recenti, infine, con la sentenza n. 23 del 1996 la Corte –
decidendo una questione di legittimità costituzionale identica a
quella odierna, con la sola differenza che in quel giudizio la
domanda di natura patrimoniale (contributo al mantenimento a carico
del genitore non affidatario di figlio naturale riconosciuto) era
stata avanzata in un momento successivo rispetto alla richiesta di
affidamento – è pervenuta alla declaratoria di infondatezza,
sottolineando il fatto che in un simile caso la domanda coinvolge
solo “due soggetti maggiorenni”, per cui è del tutto ragionevole che
la competenza spetti al tribunale ordinario.
4. – Rispetto a quest’ultima pronuncia – che il tribunale
rimettente dimostra di tenere presente – il novum dell’odierna
questione sarebbe rappresentato dalla contestualità della domanda di
natura patrimoniale con quella relativa all’affidamento; ma tale
diversità non è sufficiente a modificare i termini del problema.
In realtà il tribunale per i minorenni, per la sua particolare
composizione e per la specificità delle competenze, è un giudice al
quale sono devolute le questioni concernenti direttamente il minore;
è per questo che la composizione di quest’organo e le peculiarità
del processo tengono conto delle esigenze di persone la cui
evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede nel
magistrato adeguata ponderazione e determinate specializzazioni.
Ben diversa è l’ipotesi in cui, sia pure in vista
dell’assolvimento dei compiti genitoriali conseguenti all’esercizio
esclusivo della potestà sul figlio, la questione proposta sia di
natura patrimoniale, come quella prospettata dal giudice rimettente;
in tal caso, invero, la lite tra i genitori – secondo quanto già
rilevato nella citata sentenza n. 23 del 1996 – è una lite tra
soggetti maggiorenni, sia pure con effetti sugli interessi del
minore, e per di più di contenuto economico, sicché il tribunale
ordinario è stato ritenuto più adatto, in quanto dotato di
esperienza specifica.
È pur vero che il sistema attribuisce al tribunale per i
minorenni, nel caso di cui all’art. 277 cod. civ., anche competenze
di natura patrimoniale; ma tale eccezione è stata espressamente
stabilita dalla legge in considerazione della particolarità
dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e
maternità naturale e non può valere come principio generale.
5. – L’argomentazione fondamentale sulla quale poggia l’ordinanza
di rimessione sta nel confronto tra la posizione dei figli legittimi
e quella, ritenuta deteriore, dei figli naturali riconosciuti, tenuti
a rivolgersi (tramite il genitore affidatario) a due diverse
autorità giudiziarie ed a subire conseguenti rallentamenti e
difficoltà. Tale ragionamento tuttavia non appare persuasivo,
stante la diversità strutturale delle posizioni.
A ben vedere, infatti, la situazione dei coniugi che decidono di
allentare e poi di sciogliere il vincolo coniugale non coincide con
quella dei conviventi more uxorio. Senza soffermarsi sui vari
caratteri differenziali, costantemente affermati anche dalla
giurisprudenza costituzionale, ai fini della presente questione è
sufficiente osservare che è lo stesso intervento dell’autorità
giudiziaria ad atteggiarsi in modo diverso nelle due predette
ipotesi. Mentre in presenza di persone unite in matrimonio non è
possibile che il legame giuridico tra loro esistente venga reciso
senza l’intervento del giudice (con la separazione prima e col
divorzio poi), la convivenza more uxorio può interrompersi
immediatamente sulla base della semplice decisione unilaterale di
ciascuno dei conviventi; sicché tale rapporto può venir meno senza
che il giudice intervenga in alcun modo, salvo che per eventuali
questioni relative ai figli naturali riconosciuti. L’obbligatorietà
dell’intervento giudiziario fin dal momento della separazione,
quindi, rende ulteriormente ragionevole la scelta del legislatore di
affidare al tribunale ordinario tutti i provvedimenti di cui agli
artt. 155 e 156 cod. civ; e parimenti l’attribuzione al tribunale per
i minorenni delle decisioni relative alla sorte dei figli minori si
palesa come una conseguenza – plausibile e non irrazionale – di detta
diversità.
6. – Va comunque osservato che la necessità di adire due diversi
organi giudiziari non si traduce in una diminuzione della tutela,
come lo stesso tribunale rimettente deve avere avvertito nel momento
in cui non ha richiamato come parametro l’art. 24 della Costituzione.
È sufficiente considerare che, qualora dovessero sussistere ragioni
di urgenza tali da rendere indifferibile l’adozione di provvedimenti
di carattere economico, la pendenza del giudizio davanti al tribunale
per i minorenni non impedirebbe il ricorso agli strumenti cautelari.
A conferma delle conclusioni cui la Corte è giunta può infine
osservarsi che la divaricazione di competenze tra due diversi organi
giudiziari non è del tutto estranea neppure ai figli legittimi.
Dalla coordinata lettura degli artt. 330 e 333 cod. civ. e 38 disp.
att. cod. civ. emerge che anche per costoro è possibile un
intervento del tribunale per i minorenni, qualora il giudizio
riguardi la domanda di decadenza dalla potestà genitoriale, essendo
apparso opportuno alla discrezionalità del legislatore devolvere la
competenza al giudice ritenuto più “specializzato” nella risoluzione
di simili delicate questioni.
Va pertanto riaffermata la ragionevolezza del sistema nel suo
complesso, tale da rendere infondate le lamentate censure di
illegittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 317-bis del codice civile e 38 delle disposizioni di
attuazione del codice civile sollevata, in riferimento agli artt. 3
e 30 della Costituzione, dal tribunale per i minorenni di Genova con
l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
Il cancelliere: Fruscella