Sentenza N. 452 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
27/07/1989
Data deposito/pubblicazione
27/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO,
dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele
PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI,
prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
secondo comma, e 4, secondo comma, della legge 1° febbraio 1989, n.
37 (Contenimento della spesa sanitaria), promossi con ricorsi delle
Regioni Emilia-Romagna e Lombardia e della Provincia autonoma di
Trento, notificati l’11 marzo 1989, depositati in cancelleria il 17 e
il 21 successivi ed iscritti ai nn. 17, 18 e 19 del registro ricorsi
1989;
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 1989 il Giudice relatore
Antonio Baldassarre;
Uditi gli Avvocati Alberto Predieri per la Regione Emilia-Romagna,
Gualtiero Rueca per la Regione Lombardia e per la Provincia autonoma
di Trento e l’Avvocato dello Stato Giorgio Zagari per il Presidente
del Consiglio dei ministri;
Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2, primo e secondo comma, e 4, secondo comma, della legge
1° febbraio 1989, n. 37 (Contenimento della spesa sanitaria), per
violazione degli artt. 117, 118, 119, 125 e 130 della Costituzione,
nonché in relazione al combinato disposto degli ultimi due articoli
menzionati e gli artt. 3, primo comma, e 97 della Costituzione.
L’art. 2, primo comma, della legge impugnata, violerebbe gli artt.
117, 118 e 119 Cost., in quanto, nel porre a carico delle regioni
l’eventuale sfondamento del tetto previsto per la spesa causata da
prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno,
addosserebbe alle regioni stesse, in contrasto con quanto stabilito
da questa Corte con sentenza n. 245 del 1984, anche la
responsabilità di spese da esse non governabili, dipendenti da
centri decisionali statali o da prescrizioni di medici adottate a
tutela del diritto alla salute dei cittadini.
Ad avviso della ricorrente, anche l’art. 2, secondo comma, della
legge n. 37 del 1989 lederebbe le competenze regionali, in quanto,
nel prevedere l’intervento del Ministro della sanità sulle scelte di
merito, sul coordinamento, sulle prescrizioni per la diagnostica e
sulla razionalizzazione della diagnostica strumentale, gli
attribuirebbe poteri di estrema genericità, comportanti sia atti di
carattere puntuale, sia atti normativi, sia misure sostitutive o
sanzionatorie nei confronti delle regioni.
Infine, l’art. 4, secondo comma, della legge impugnata violerebbe
gli artt. 125 e 130 della Costituzione e, in connessione con questi,
gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Nel disciplinare il potere di
accesso presso le unità sanitarie locali disposto dal Ministro e
nell’integrare tale potere con quello di effettuare ispezioni per la
vigilanza della gestione delle predette unità sanitarie e per
l’attuazione del piano sanitario nazionale, l’art. 4, per un verso,
contemplerebbe forme di controllo la cui disciplina dovrebbe spettare
alle regioni e, per altro verso, violerebbe l’art. 97 della
Costituzione, giacché configurerebbe il Ministro della sanità come
un superiore gerarchico delle unità sanitarie locali o delle
regioni.
Secondo la ricorrente, l’articolo impugnato comporterebbe
un’ulteriore lesione delle competenze regionali a partire dal momento
dell’adozione del piano sanitario nazionale e della conseguente
estensione dei poteri di vigilanza ministeriale ai piani regionali di
attuazione. Esso, infatti, configurerebbe una potestà del tutto
libera, per nulla “funzionale a scelte operate dala legge” (contro
quanto affermato dalla sent. n. 64 del 1987 di questa Corte) ed
aggiuntiva rispetto al sistema dei controlli previsto dagli artt. 125
e 130 della Costituzione. Ed anche se la potestà prevista dall’art.
4 fosse considerata, non già come attività di controllo o
strumentale, bensì come potere autonomo e finale, si sarebbe
comunque in presenza di una norma illegittima, in quanto questa
prevede un potere che non avrebbe i requisiti di validità propri
della funzione statale di indirizzo e di coordinamento.
Da ultimo, la ricorrente ravvisa una lesione delle competenze
regionali sulla disciplina degli organici delle unità sanitarie
locali allorché l’art. 4 prevede la sottrazione di duecentocinquanta
unità di personale delle stesse unità sanitarie locali comandato
presso il Ministero della sanità.
2. – Con un ricorso ritualmente notificato e depositato la Regione
Lombardia ha impugnato gli stessi articoli di legge oggetto del
precedente ricorso per violazione degli artt. 117, 118, 119 e 130
della Costituzione, anche in relazione all’art. 27 della legge n. 468
del 1978, agli artt. 5, 6, 11, 15, 19, 25, 43, 48-50, 51 e 55 della
legge n. 833 del 1978, all’art. 13 della legge n. 181 del 1982,
all’art. 19, primo comma, della legge n. 67 del 1988 e all’art. 2,
lett. d, della legge n. 400 del 1988.
L’art. 2, primo comma, è impugnato dalla Regione Lombardia con
motivi analoghi a quelli addotti dal ricorso esaminato in precedenza.
Più in particolare, la ricorrente sottolinea come esso violi il
principio di copertura finanziaria (art. 81, quarto comma, della
Costituzione) che, in forza dell’art. 27 della legge n. 468 del 1978,
si estende anche alle spese accollate da leggi statali ad enti del
settore pubblico allargato. Oltre alla ricordata sentenza n. 245 del
1984, porterebbe a tale conclusione la circostanza che la legge n. 37
del 1989 non avrebbe adottato una disciplina sostanziale delle
prestazioni sanitarie in questione vòlta a contenere la spesa nei
limiti delle assegnazioni stabilite. E, poiché per le prestazioni
specialistiche – a differenza, ad esempio, delle prestazioni di
diagnostica strumentale e di laboratorio – trova piena esplicazione
il diritto del cittadino alla libera scelta del medico (art. 19,
secondo comma, della legge n. 833 del 1978), la regione non potrebbe
costringere gli assistiti ad avvalersi dei presidi dell’unità
sanitaria locale anziché di quelli convenzionati. Analogamente
sfuggirebbero al governo regionale anche le spese per le prestazioni
specialistiche richieste dagli assistiti o per quelle in regime di
convenzionamento esterno, regime che, insieme alle tariffe, è
disciplinato da leggi statali.
In relazione all’art. 2, secondo comma, la Regione Lombardia,
oltre a formulare motivi d’illegittimità analoghi a quelli esposti
nel precedente ricorso, osserva che i poteri ministeriali ivi
previsti non rispetterebbero le forme e le procedure proprie della
funzione di indirizzo e di coordinamento, previste dall’art. 5 della
legge n. 833 del 1978 e dall’art. 2, lett. d, della legge n. 400 del
1988.
Quanto all’art. 4, secondo comma, la ricorrente osserva che i
poteri ivi contemplati potrebbero dar luogo a interventi collegati a
interessi non provvisti di un sufficiente grado di infrazionabilità
o di non localizzabilità, contrariamente a quanto richiesto, in
particolare, dalla sent. n. 177 del 1986 di questa Corte.
Infine, sempre secondo la ricorrente, la previsione di un apposito
corpo comandato, sovrapponendosi alle disposizioni relative
all’attività di vigilanza regionale sulle unità sanitarie locali
tramite comando di personale tratto dalle unità sanitarie medesime
(art. 13, terzo comma, della legge n. 181 del 1987) violerebbe l’art.
97 della Costituzione, sia perché darebbe luogo a una inutile
duplicazione dello stesso potere, in conseguenza della quale
Ministero e regioni si contenderebbero il suddetto personale da
comandare per i servizi ispettivi, sia perché ne deriverebbe una
confusione di competenze e di ruoli con esiti negativi tanto in
termini di spreco delle risorse, quanto in termini di inefficienza di
risultati.
3. – La Provincia autonoma di Trento ha ritualmente notificato e
depositato un ricorso sostanzialmente identico a quello proposto
dalla Regione Lombardia, invocando la violazione dell’art. 9, n. 10,
dell’art. 16 e dell’art. 54, n. 5 (concernente la vigilanza e la
tutela sugli enti o istituti locali), nonché dell’intero titolo VI
dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670).
4. – In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del
Consiglio dei Ministri per chiedere il rigetto dei ricorsi.
Premesso che l’insieme delle norme impugnate si inseriscono in
un’organica manovra di contenimento della spesa sanitaria,
l’Avvocatura dello Stato osserva che, in particolare, le norme
contenute nell’art. 2, primo e secondo comma, mirano a porre un freno
all’enorme incremento delle spese per prestazioni specialistiche
erogate attraverso il convenzionamento esterno, incremento avvenuto
anche a seguito della soppressione della partecipazione alle spese da
parte degli utenti, la quale è stata disposta dalla legge n. 531 del
1987. Tutte le norme impugnate, comunque, essendo dirette a stimolare
le regioni e gli enti locali a contenere la spesa sanitaria nel
settore considerato, sarebbero finalizzate al perseguimento di un
interesse unitario e non frazionabile, come quello relativo al
governo della spesa sanitaria, in armonia con i principi stabiliti
dalla sentenza n. 245 del 1984 di questa Corte, secondo la quale la
materia sanitaria ha una peculiarità tutta sua rispetto alle altre
materie di competenza regionale.
In particolare, poi, l’art. 2, primo comma, ad avviso
dell’Avvocatura dello Stato non contrasterebbe con l’art. 27 della
legge n. 468 del 1978, dato che la disposizione cardine dell’articolo
denunciato sarebbe quella che predetermina l’ammontare della spesa in
ambito regionale e che impone agli enti interessati di dispiegare la
propria attività istituzionale nel senso del rispetto della misura
di contenimento. In altre parole, secondo l’Avvocatura, dalla
puntuale applicazione di tale norma non deriverebbe alcun onere
finanziario a carico delle regioni.
Riguardo all’art. 2, secondo comma, l’Avvocatura dello Stato
sostiene che i poteri ivi previsti rientrerebbero nel legittimo
ambito della funzione statale di indirizzo e di coordinamento, in
quanto avrebbero un fondamento legislativo nelle norme finalizzate a
reprimere l’abuso del ricorso a prestazioni specialistiche a regime
convenzionato e sarebbero frutto di una specifica investitura
legislativa del relativo potere al Ministro della sanità. Del resto,
ove tale autorità, nell’esercizio dei suoi poteri, esorbitasse dai
limiti propri della funzione, le regioni non sarebbero prive di mezzi
per tutelarsi di fronte ad eventuali illegittimità.
Infine, riguardo all’art. 4, l’Avvocatura dello Stato, dopo aver
sottolineato che tale norma è stata adottata in attuazione
dell’istituto dell’accesso previsto dall’art. 2, sesto comma, della
legge n. 733 del 1984, osserva che integrare i poteri di vigilanza
regionali al fine del miglior funzionamento del servizio sanitario
nazionale sarebbe un preciso compito dello Stato in base al principio
di “leale cooperazione”.
5. – In prossimità dell’udienza la Regione Lombardia e la
Provincia autonoma di Trento hanno presentato due distinte memorie di
identico contenuto, con le quali, sul piano generale, contestano che
si sia in presenza di una manovra organica sul contenimento della
spesa sanitaria e affermano che si abbia, invece, un insieme di
misure estemporanee e frammentarie comportanti limiti e vincoli alle
regione e alle unità sanitarie locali così estesi e rigidi da
impedire a queste ultime qualsiasi azione autonoma programmata ed
efficace sul contenimento della spesa sanitaria.
In particolare, le ricorrenti contestano che vi sia un legame fra
l’art. 2, primo comma, della legge impugnata e le norme sulla
partecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria (art. 1, primo
comma, della legge n. 531 del 1987; art. 12 della legge n. 181 del
1982) in quanto sono estranee a queste ultime le prestazioni di
medicina specialistica in senso stretto, che pure possono essere
fornite in regime di convenzionamento esterno (art. 25, comma
settimo, della legge n. 833 del 1978). E del resto, aggiungono le
ricorrenti, se la situazione fosse quella descritta dall’Avvocatura,
verrebbe automaticamente dimostrato che le regioni dovrebbero
addossarsi un onere derivante dalle scelte statali di sopprimere i
ticket e di fissare un tetto massimo di spesa parametrato sull’ultimo
esercizio finanziario (1986) nel quale questi erano ancora in vigore.
Inoltre, secondo le ricorrenti, si può ben dire che l’obiettivo di
contenimento della spesa sanitaria risponda a un interesse unitario e
generale. Ma qui, a loro avviso, non si discute di questo: si discute
di una particolare misura in base alla quale sono addossate sul
bilancio regionale spese derivanti da scelte statali o da prestazioni
frutto di un’insindacabile valutazione medica a tutela della salute
dei cittadini che gravano obbligatoriamente sulle unità sanitarie
locali.
Riguardo all’art. 2, secondo comma, le ricorrenti replicano
all’Avvocatura che le procedure d’indirizzo e di coordinamento ivi
previste derogano a tutte le norme di legge preesistenti e che i
relativi poteri non rispettano il principio di legalità sostanziale
in quanto sono “vincolati” soltanto da una generica indicazione
finalistica che potrebbe giustificare in concreto le più svariate
misure.
Riguardo all’art. 4 le ricorrenti contestano l’opinione
dell’Avvocatura sul preteso legame di attuazione della norma
impugnata con l’art. 2, sesto comma, della legge n. 733 del 1984,
poiché, mentre in quest’ultimo si parla soltanto di un potere di
accesso agli uffici e alla documentazione delle unità sanitarie
locali in relazione alle esigenze della programmazione sanitaria
nazionale, nella norma impugnata, invece, si prevede un ben più
ampio potere di vigilanza, peraltro aggiuntivo rispetto a quello
previsto dalla legge n. 833 del 1978 e dalle successive
modificazioni, potere che è del tutto scisso dalla predetta
programmazione.
6. – Nel corso dell’udienza pubblica le parti hanno per lo più
ribadito i loro argomenti. L’Avvocatura dello Stato ha, tuttavia,
precisato, relativamente all’art. 2, primo comma, della legge n. 37
del 1989, che l’addossamento alle regioni (o alle province autonome)
degli oneri derivanti da eventuali sfondamenti del tetto di spesa
prefissato dovrebbe intendersi ristretto alle decisioni prese dalle
regioni stesse nell’ambito delle competenze loro attribuite.
della Provincia autonoma di Trento contestano la legittimità
costituzionale degli artt. 2, primo e secondo comma, e 4, secondo
comma, della legge 1° febbraio 1989, n. 37 (Contenimento della spesa
sanitaria) ponendo le seguenti questioni:
a) se l’art. 2, primo comma, nello stabilire che “per
l’esercizio 1989 la spesa relativa alle prestazioni specialistiche in
regime di convenzionamento esterno è finanziata con vincolo di
destinazione per quote trimestrali corrispondenti, in complesso
regionale, agli oneri sostenuti allo stesso titolo nell’esercizio
finanziario 1986, integrati con le variazioni nel frattempo
intervenute alle tariffe di convenzione, maggiorati del 10 per cento”
e nel disporre che “eventuali eccedenze di spesa non possono esser
poste a carico dello Stato o del Fondo sanitario nazionale”, violi il
principio di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria delle
regioni in materia di sanità (artt. 117, 118 e 119 della
Costituzione per le regioni a statuto ordinario; artt. 9, n. 10, e
16, nonché l’intero titolo VI dello Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige per la Provincia autonoma di Trento), in quanto
pone comunque a carico del bilancio regionale spese di cui le regioni
(o le province autonome) non hanno in alcun modo il governo; ovvero
se lo stesso art. 2, primo comma, violi il principio di copertura
finanziaria stabilito dall’art. 81 della Costituzione ed esteso
dall’art. 27 della legge n. 468 del 1978 anche alle spese accollate
dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato;
b) se l’art. 2, secondo comma – nell’attribuire al Ministro
della sanità il potere di adottare varie misure dirette a rendere
più specifiche le prescrizioni per la diagnostica strumentale e di
laboratorio, a razionalizzare e a coordinare l’utilizzazione delle
strutture pubbliche con compiti di diagnostica strumentale e di
laboratorio e, infine, a stabilire indirizzi per la definizione da
parte delle regioni “delle attività di day hospital alternative alla
degenza ospedaliera e all’effettuazione di indagini strumentali e di
laboratorio esulanti di norma dalla competenza delle strutture
pubbliche extra-ospedaliere” – sia in contrasto con i requisiti di
validità propri della funzione governativa di indirizzo e di
coordinamento, in quanto non rispetterebbe le procedure previste
dalle leggi statali per la deliberazione dei relativi atti, non
osserverebbe il principio di legalità “sostanziale” e potrebbe dar
luogo a misure concrete e puntuali che vanificherebbero del tutto
l’autonomia regionale (o provinciale);
c) se l’art. 4, secondo comma, integrando il potere ministeriale
di accesso presso le unità sanitarie locali per le esigenze della
programmazione sanitaria “con la potestà di effettuare ispezioni
amministrative per la vigilanza sulla gestione delle unità sanitarie
locali e sull’attuazione del piano sanitario nazionale”, si ponga in
contrasto: con il sistema dei controlli previsto dagli artt. 125 e
130 della Costituzione e, in particolare, con l’art. 130 Cost., che
affida alle regioni il controllo sugli atti degli enti locali; con
l’art. 54, n. 5, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige,
che assegna alle Province autonome la vigilanza e la tutela sugli
enti locali; con il principio del buon andamento dell’amministrazione
regionale (art. 97 della Costituzione); ovvero, laddove le attività
contestate dovessero essere interpretate come attività a sé stanti
e finali (cioè non di controllo), con i requisiti di validità
propri della funzione governativa di indirizzo e di coordinamento
(strumentalità a interessi infrazionabili, principio di legalità
sostanziale, etc.);
d) se l’art. 4, secondo comma, disponendo nella sua ultima
proposizione normativa che, al fine di svolgere le ispezioni indicate
nel precedente punto, il Ministro della sanità è autorizzato ad
avvalersi “di personale comandato, fino a un massimo di
duecentocinquanta unità, da reperire prioritariamente tra i
dipendenti delle unità sanitarie locali”, violi le competenze delle
regioni a statuto ordinario sulla disciplina degli organici delle
unità sanitarie locali (artt. 117 e 118 della Costituzione) o il
principio del buon andamento delle amministrazioni pubbliche, in
quanto darebbe luogo a inutili duplicazioni di competenze comportanti
inefficienze e sprechi di risorse.
Poiché tutti e tre i ricorsi esaminati hanno ad oggetto le
medesime norme di legge, i relativi giudizi vanno riuniti per essere
decisi con un’unica sentenza.
2. – Merita accoglimento la prima delle questioni poste dalle
ricorrenti (v. sopra, punto 1, sub a), relativa all’art. 2, primo
comma, della legge n. 37 del 1989, nella parte in cui prevede che le
eccedenze di spesa ivi previste non possano essere addossate allo
Stato.
Nell’ambito di una nuova disciplina concernente le prestazioni
specialistiche in regime di convenzionamento esterno – vale a dire le
prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio che le unità
sanitarie locali non sono in grado di soddisfare entro quattro giorni
dalla richiesta (art. 25, ottavo e nono comma, come modificati dal
decreto legge n. 678 del 1981 e dalla legge n. 67 del 1988) e le
prestazioni specialistiche che i cittadini possono richiedere
indifferentemente ai medici dipendenti dal Servizio sanitario
nazionale e ai medici convenzionati (art. 19, secondo comma, della
legge n. 833 del 1978) -, la disposizione impugnata prevede un
complesso di misure dirette al contenimento delle spese relative alle
suddette prestazioni. In particolare, tali misure consistono: a)
nello scorporo delle anzidette spese dal Fondo sanitario nazionale e
nel loro finanziamento mediante quote trimestrali con vincolo di
destinazione; b) nella fissazione di un tetto massimo relativo alle
stesse spese, il quale corrisponde agli oneri sostenuti allo stesso
titolo nell’esercizio finanziario 1986 integrati con le variazioni
nel frattempo intervenute alle tariffe di convenzione e con una
maggiorazione del 10 per cento; c) nella previsione che le eventuali
eccedenze di spesa non possono essere poste a carico dello Stato o
del Fondo sanitario nazionale.
Appare evidente che l’ultima delle misure menzionate (sub c), la
quale è oggetto della specifica contestazione in esame, parte da un
duplice e distinto presupposto giustificativo: per quanto riguarda
l’esclusione dell’imputazione al Fondo sanitario nazionale di
eventuali eccedenze di spesa, si tratta di una misura consequenziale
allo scorporo dal Fondo stesso delle spese relative alle prestazioni
specialistiche in regime di convenzionamento esterno; per quanto
riguarda, invece, l’esclusione dell’addossamento allo Stato delle
medesime eventuali eccedenze, la giustificazione non può non
poggiare sulla valutazione che la responsabilità di quelle eccedenze
ricada per intero sulle regioni (o sulle province autonome). Orbene,
mentre il motivo che sta a base della prima delle norme ora ricordate
non è affatto illogico e incoerente rispetto alla disciplina
predisposta, al contrario la giustificazione che sorregge la seconda
norma non può ritenersi in armonia con i principi costituzionali che
regolano la materia.
Sin dalla sentenza n. 245 del 1984, questa Corte ha tenuto a
sottolineare che la sanità, sebbene sia ricompresa nell’elenco
predisposto dall’art. 117 della Costituzione, “non si risolve in una
materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza
regionale, sia per la particolare intensità dei limiti cui sono in
tal campo sottoposte la legislazione e l’amministrazione delle
Regioni, sia per le peculiari forme e modalità di finanziamento
della relativa spesa pubblica, sia, soprattutto, per i tipici
rapporti che l’ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di
enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima”.
Su questa base, dopo aver affermato che non si può presupporre “che
le amministrazioni regionali portino (…) l’effettiva
responsabilità degli eventuali disavanzi delle U.S.L.”, in quanto
gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti
dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte
regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione
delle unità sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al
soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi,
essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di
governo dettate dall’esigenza di assicurare parità di trattamento
fra i cittadini, la stessa Corte ha concluso che doveva considerarsi
costituzionalmente illegittima una norma che imponeva comunque alle
regioni il ripiano del disavanzo delle unità sanitarie locali a
prescindere dai fattori che l’avessero prodotto.
La disciplina legislativa intervenuta successivamente alle norme
di legge giudicate con la sentenza appena ricordata non ha certo
spostato a favore delle regioni la responsabilità della spesa
sanitaria, ivi compresa quella per le spese derivanti dalle
prescrizioni mediche. In particolare, il legislatore statale, al fine
di tentare di far fronte a un considerevole aumento delle spese per
prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno in
seguito all’abolizione (a partire dal 1° gennaio 1987) dei ticket, ha
provveduto, per un verso, a reintrodurre questi ultimi e, per altro
verso, ad affidare, con la legge impugnata, al Ministro della sanità
nuovi poteri finalizzati al contenimento della predetta spesa, fra i
quali l’adozione di varie misure dirette ad eliminare gli oneri
derivanti dalla prescrizione incongrua di prestazioni diagnostiche
(art. 2, secondo comma) e il potere di vigilare sulla gestione delle
unità sanitarie locali utilizzando anche il mezzo delle ispezioni
amministrative (art. 4, secondo comma). In breve, la legge n. 37 del
1989 conferma che, anche nella specifica materia sulla quale
insistono le norme oggetto della contestazione ora in esame, si è in
presenza di un complesso di responsabilità in ordine alle decisioni
pubbliche incidenti sulla spesa che coinvolge tanto gli organi
centrali di governo e, in particolare, il Ministro della sanità,
quanto le regioni e le unità sanitarie locali.
Pertanto, in base ai principi già affermati da questa Corte
(sent. n. 245 del 1984), la previsione contenuta nell’art. 2, comma
primo, della legge n. 37 del 1989, la quale espressamente esclude di
porre comunque a carico dello Stato le spese eventualmente eccedenti
il tetto fissato dallo stesso articolo di legge, è irragionevolmente
lesiva dell’autonomia finanziaria delle regioni e delle province
autonome. La garanzia di tale autonomia, infatti, comporta che non
possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli
oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o
alla provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall’esigenza di
tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali dei cittadini,
la cui cura è affidata dalla Costituzione soltanto in parte – e non
certo quella essenziale – alla regione.
Del resto, la validità del principio ora ribadito è riconosciuta
anche dalla difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, la
quale sembra richiedere a questa Corte una pronuncia adeguatrice
diretta a limitare in via interpretativa l’imputazione al bilancio
regionale delle sole eccedenze di spesa derivanti da decisioni
adottate dalle regioni nell’esercizio delle loro competenze. Ma, in
realtà, tale via è preclusa dall’assenza di qualsiasi elemento
testuale o sistematico che possa indurre a siffatta restrizione del
significato della disposizione in esame. Sicché non resta a questa
Corte che dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 2,
comma primo, della legge n. 37 del 1989, in quanto pone
indiscriminatamente a carico del bilancio regionale (o provinciale)
le eccedenze di spesa relative alle prestazioni specialistiche in
regime di convenzionamento esterno.
Resta consequenzialmente assorbito ogni altro profilo di
legittimità costituzionale prospettato dalle ricorrenti.
3. – Vanno, invece, respinte le questioni di legittimità
costituzionale riguardanti l’art. 2, comma secondo, lett. a), b), c),
della legge n. 37 del 1989 (v., sopra, punto 1, sub b).
Per quanto riguarda il potere del Ministro della sanità indicato
nella lettera a), vale a dire il potere di adottare misure
finalizzate “a specificare nelle prescrizioni per la diagnostica
strumentale e di laboratorio le ipotesi diagnostiche cui sono
dirette”, va innanzitutto escluso che si sia in presenza di un potere
riconducibile alla funzione (governativa) di indirizzo e di
coordinamento, in quanto, a norma degli artt. 47 e 48 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, la determinazione dei compiti dei medici esula
dalle materie assegnate alle competenze regionali (o provinciali).
Per tale motivo cadono le censure prospettate dalle ricorrenti in
relazione alla pretesa invasività dell’autonomia regionale da parte
dei poteri ministeriali ivi previsti, nonché quelle attinenti alla
pretesa inosservanza da parte dei medesimi poteri dei requisiti di
validità procedurali e sostanziali propri della funzione di
indirizzo e di coordinamento.
A quest’ultima funzione, intesa nel suo senso proprio, non possono
essere ricondotti neppure i poteri del Ministro della sanità
previsti nella lettera b), vale a dire quelli di adottare misure
finalizzate “a razionalizzare l’utilizzazione delle strutture
pubbliche con compiti di diagnostica strumentale e di laboratorio,
ospedaliero ed extraospedaliero, e a coordinarle al fine di evitare
duplicazioni di strumentazione e di personale addetto e di indagini
diagnostiche”. In tal caso, infatti, si tratta di interventi vòlti
alla razionalizzazione dell’utilizzazione di mezzi e di strutture
aventi compiti di diagnostica strumentale e di laboratorio onde
evitare duplicazioni di strumentazioni, di personale e di indagini,
che, come questa Corte ha già precisato (v. sent. n. 560 del 1988),
attengono a forme di coordinamento aventi “natura spiccatamente
tecnica”, le quali possono essere esercitate anche dal Ministro della
sanità, non applicandosi ad esse le regole valide per l’esercizio
della funzione governativa di indirizzo e di coordinamento (v. anche
sentt. nn. 924 del 1988 e 242 del 1989).
Una conclusione identica a quella raggiunta per le disposizioni da
ultimo esaminate deve trarsi anche in ordine al potere del Ministro
della sanità di adottare misure finalizzate “alla definizione, da
parte delle regioni, (…) delle attività di day hospital
alternative alla degenza ospedaliera, all’effettuazione di indagini
strumentali e di laboratorio che di norma esulano dalla competenza
delle strutture pubbliche extraospedaliere” (lett. c). Con tale
norma, mentre si impone alle regioni (e alle province autonome) di
stabilire, all’atto in cui procederanno alla ristrutturazione dei
presidi ospedalieri (in base al decreto legge 8 febbraio 1988, n. 27,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1988, n. 109), la
definizione delle attività di day hospital poste in alternativa alla
degenza ospedaliera e all’effettuazione delle indagini diagnostiche
prima ricordate, nello stesso tempo si attribuisce al Ministro della
sanità il potere di adottare “le misure finalizzate alla
definizione” anzidetta. È evidente che tali “misure” non possono non
consistere in indirizzi vòlti a stabilire i criteri generali
necessari alla definizione di quelle attività secondo parametri
tecnici uniformi. Pertanto, poiché, sulla base della ricordata
giurisprudenza di questa Corte, al coordinamento tecnico non si
applicano le regole valide per la funzione governativa di indirizzo e
di coordinamento, cadono consequenzialmente le censure poste al
riguardo dalle ricorrenti.
4. – È infondata la questione concernente l’art. 4, secondo
comma, nella parte in cui integra il potere di accesso presso le
unità sanitarie locali, già previsto dall’art. 2, sesto comma, del
decreto-legge 29 agosto 1984, n. 528 (convertito, con modificazioni,
dalla legge 31 ottobre 1984, n. 733), con “la potestà di effettuare
ispezioni amministrative per la vigilanza, fra l’altro, sulla
gestione delle unità sanitarie locali” (v., sopra, punto 1, sub c).
Anche ad ammettere che i poteri di ispezione amministrativa
rientrino nelle nozioni di controllo fatte proprie dagli artt. 125 e
130 della Costituzione, non v’è dubbio che, comunque, essi non
possono essere minimamente ricondotti alla pur ampia tipologia di
controlli contenuta nei predetti articoli. Questi ultimi, infatti, si
riferiscono unicamente a controlli (di legittimità e di merito) su
atti, mentre la norma impugnata prevede controlli su attività o,
più precisamente, sulla gestione delle unità sanitarie locali.
Nel caso, in particolare, si è in presenza di un potere
ispettivo, legato a una più ampia funzione di vigilanza, che lo
Stato può giustificatamente esercitare in vista dell’attivazione di
meccanismi diretti ad accertare la responsabilità delle unità
sanitarie locali per la lesione di interessi pubblici attribuiti alla
cura dello Stato medesimo. Poiché, come si è precisato in
precedenza, lo Stato ha una responsabilità concorrente con quella
delle regioni (e delle province autonome) in ordine al contenimento
della spesa sanitaria relativa alle prestazioni specialistiche in
regime di convenzionamento esterno, non è costituzionalmente
illegittima una disposizione, come quella impugnata, che consente
all’amministrazione sanitaria dello Stato di procedere ad ispezioni
onde intervenire tempestivamente, nei limiti degli interessi
attribuiti alla sua cura, al fine di prevenire o porre riparo a
situazioni di consumo abnorme.
Del resto, che in ipotesi ricorra un interesse generale di
spettanza statale non è contestato neppure dalle ricorrenti, le
quali paventano, piuttosto, che il potere previsto dalla norma
impugnata possa essere esercitato anche in casi nei quali ricorrano
interessi meramente locali. Ma è evidente che tale eventualità non
può portare a una dichiarazione di illegittimità costituzionale
della norma che prevede il relativo potere, tanto più che non
mancano certo alle regioni mezzi ulteriori di tutela giuridica, ove
siano poste in essere modalità di esercizio di quel potere contrarie
alle ripartizione delle competenze fra lo Stato e le regioni (o le
province autonome).
Né si può ritenere che, prevedendo un potere statale parallelo
ad un analogo potere regionale, la norma impugnata sia irragionevole
in quanto può esser causa di duplicazioni, di inefficienze e di
sprechi, con violazione del principio costituzionale del buon
andamento delle amministrazioni pubbliche (art. 97). Va precisato,
innanzitutto, che i poteri di cui si discute hanno ciascuno un
proprio raggio di azione, potendo essere esercitati soltanto per la
tutela di fini affidati alla cura dell’ente (Stato o regione) cui
quei poteri sono attribuiti.
Può darsi, tuttavia, che il concreto esercizio dei poteri ora
definiti avvenga in modo tale da dar luogo a duplicazioni o a
parziali sovrapposizioni. Ma, in proposito, questa Corte ha più
volte affermato che quando ricorrano ipotesi di possibile
interferenza tra poteri regionali e poteri statali, questi devono
esser esercitati nel rispetto del principio generale di “leale
cooperazione” e, quindi, sulla base di accordi (nel caso che il
potere ispettivo abbia ad oggetto anche attività di competenza delle
regioni), di pareri o di contatti, vòlti ad evitare duplicazioni o
inefficienze. Del resto, ove nell’applicazione della disposizione
impugnata non si seguissero le procedure di raccordo ora indicate, le
regioni (e le province autonome) potrebbero avvalersi di ulteriori
mezzi di tutela giuridica.
5. – Il potere del Ministro della sanità di avvalersi del
personale comandato al fine di svolgere le predette ispezioni è
oggetto di una specifica contestazione (v., sopra, punto 1, sub d),
che deve, tuttavia, ritenersi non fondata.
Non si può individuare una lesione delle competenze regionale (e
provinciali) in materia di organici delle unità sanitarie locali in
relazione a una disposizione, come quella impugnata, la quale si
limita a prevedere la possibilità che il Ministro della sanità si
avvalga di personale comandato, fino a un contingente massimo di
duecentocinquanta unità, da reperire prioritariamente tra i
dipendenti delle unità sanitarie locali, al fine di svolgere le
ispezioni previste dallo stesso art. 4, secondo comma. Tale
disposizione, infatti, non tocca minimamente né la disciplina dei
comandi, né la materia degli organici delle unità sanitarie locali
e, pertanto, lascia intatte le relative competenze regionali.
Le considerazioni svolte nel punto precedente della motivazione
portano ad escludere anche la fondatezza dell’ulteriore profilo di
legittimità costituzionale, sollevato dalla Regione Lombardia e
dalla Provincia autonoma di Trento, relativo alla violazione del
principio del buon andamento delle amministrazioni pubbliche (art. 97
della Costituzione).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, primo
comma, della legge 1° febbraio 1989, n. 37 (Contenimento della spesa
sanitaria), nella parte in cui dispone che eventuali eccedenze di
spesa non possono essere poste a carico dello Stato;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, secondo comma, della predetta legge n. 37 del 1989,
sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni
Emilia-Romagna e Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 della
Costituzione, come attuati dagli artt. 4 (recte: 5) della legge 23
dicembre 1978, n. 833 e dall’art. 2, lettera d, della legge 23 agosto
1988, n. 400, e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento
agli artt. 9 e 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
(d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nell’attuazione avuta dalle leggi
prima menzionate;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 4, secondo comma, della predetta legge n. 37 del 1989,
sollevate, in riferimento agli artt. 97, 117 e 118 della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna; in riferimento agli artt.
117 e 118 della Costituzione, come attuati dagli artt. 11, 15, 43 e
49 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, nonché all’art. 97 della
Costituzione, dalla Regione Lombardia; in riferimento all’art. 97
della Costituzione, all’art. 54, n. 5 dello Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), nonché agli
artt. 9 e 16 dello stesso Statuto, come attuati dalle leggi prima
indicate, dalla Provincia autonoma di Trento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 27 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA