Sentenza N. 452 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia
di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), promosso
con ordinanza emessa il 20 ottobre 1997 dal giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Modena, nel procedimento penale a carico
di Tella Anna Maria ed altri, iscritta al n. 896 del registro
ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 2, prima serie speciale, dell’anno 1998;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il giudice
relatore Massimo Vari.
Greco, Anna Maria Tella e Maria Pia Manzini, rinviati a giudizio, tra
l’altro, per i reati di cui agli artt. 1, secondo comma, numeri 2-3,
1, comma 2, lettera b), del d.-l. 10 luglio 1992 (recte: 1982), n.
429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n.
516, come modificata per effetto del d.-l. 16 marzo 1991, n. 83,
convertito, con modificazioni, nella legge 15 maggio 1991, n. 154, il
giudice per le indagini preliminari del tribunale di Modena ha
sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 6, del decreto legislativo 19 luglio (recte: giugno) 1997, n.
218 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di
conciliazione giudiziale), nella parte in cui non prevede
l’applicabilità dell’art. 2, comma 3, seconda parte, del decreto
stesso, anche ai periodi di imposta già definiti sulla base
dell’art. 3 del precedente d.-l. 30 settembre 1994, n. 564,
convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.
Premette il giudice a quo che, in base a quanto previsto dalla
seconda parte del comma 3 dell’art. 2 del menzionato decreto
legislativo n. 218 del 1997, la definizione concordata
dell’accertamento tributario esclude con effetto retroattivo, in
deroga al principio della ultrattività della legge penale
tributaria, stabilito dall’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4,
la punibilità per i reati tributari previsti dagli artt. 1, 2, primo
e secondo comma, e 3 del d.-l. n. 429 del 1982, convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai
fatti oggetto dell’accertamento.
A sua volta la disposizione denunciata, e cioè il comma 6
dell’art. 2 del medesimo decreto legislativo, estende l’applicazione
dei precedenti commi anche “ai periodi d’imposta per i quali era
applicabile la definizione ai sensi dell’art. 3 del d.-l. 30
settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge
30 novembre 1994, n. 656 e dell’art. 2, comma 137, della legge 23
dicembre 1996, n. 662”.
2. – Il rimettente, ritenendo di non poter pervenire, attraverso
una interpretazione letterale e sistematica della norma,
all’applicazione, in via diretta ed immediata, della menzionata causa
di non punibilità a chi abbia già definito, ex art. 3 del d.-l. n.
564 del 1994, precedenti periodi di imposta, reputa la mancata
previsione di quest’ultima ipotesi in contrasto con il criterio di
ragionevolezza, desumibile dall’art. 3, primo comma, della
Costituzione, giacché, “pur all’interno di un quadro di
discrezionalità legislativa funzionale ad agevolare, attraverso la
previsione di meccanismi incentivanti, la definizione concordata
delle controversie fiscali”, il legislatore ha l’obbligo di non
riservare un trattamento ingiustificatamente differenziato a
situazioni identiche.
3. – Dal punto di vista della rilevanza della questione, il
rimettente sostiene che la non punibilità del reato, conseguente ad
una eventuale sentenza di accoglimento, non potrebbe non ridondare
anche a vantaggio di coloro che, come gli imputati, non sarebbero
stati formalmente legittimati ad avvalersi della procedura di
accertamento con adesione, in quanto privi della carica di
amministratore della società “o perché cessati (Manzini e Tella),
ovvero per non esserlo mai stato (Greco)”, all’uopo richiamando
l’orientamento espresso nella sentenza n. 19 del 1995, con la quale
questa Corte ha affermato la valenza oggettiva dell’amnistia per i
reati tributari introdotta dal d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23.
4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.
La difesa erariale, non condividendo la premessa interpretativa da
cui muove il rimettente, ritiene, infatti, che l’effetto estintivo
della punibilità si abbia anche nel caso in cui sia stata già
formulata adesione all’accertamento. E ciò in quanto l’espresso
riferimento all’effetto retroattivo della causa di non punibilità,
contenuto nella disposizione censurata, avrebbe un senso soltanto ed
esclusivamente se riferito “alle cause di estinzione della
punibilità che tali non erano” al momento in cui fu posto in essere
il comportamento cui è oggi riferito l’effetto in questione.
preliminari del tribunale di Modena ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto
legislativo 19 giugno 1997, n. 218, nella parte in cui non prevede
che il disposto dell’art. 2, comma 3, seconda parte, del predetto
decreto si applichi anche ai periodi di imposta già definiti sulla
base dell’art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito,
con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656.
Secondo il rimettente la denunciata norma si pone in contrasto con
l’art. 3, primo comma, della Costituzione, a causa del diverso
trattamento riservato a situazioni identiche, in quanto consente al
contribuente di avvalersi della facoltà di definire i periodi di
imposta fino al 1994 mediante accertamento con adesione, al quale
accede l’esclusione della punibilità per gli illeciti aventi
rilevanza sul piano penale, e non ricomprende, invece, in tali
benefici, le situazioni relative agli stessi periodi di imposta, che
siano già state definite ai sensi del menzionato art. 3 del d.-l. n.
564 del 1994.
2. – Nulla osta, anzitutto, all’ammissibilità della questione
sotto il profilo della rilevanza, motivata dal rimettente sulla base
di argomenti tratti dai precedenti della giurisprudenza
costituzionale in materia di amnistia (in particolare, sentenza n. 19
del 1995), al fine di sostenere che una pronunzia di accoglimento non
potrebbe non ridondare anche a vantaggio di coloro che, come gli
imputati, non sarebbero stati formalmente legittimati ad avvalersi,
nella specie, della procedura di accertamento con adesione. La non
implausibilità di tale motivazione è sufficiente a superare il
vaglio della verifica che compete alla Corte sull’esistenza dei
presupposti per il promovimento della questione, potendosi, così,
dare ingresso al presente incidente di costituzionalità.
3. – Nel merito, la questione è da reputare non fondata, nei sensi
di seguito precisati.
Onde richiamare il contesto normativo nel quale si colloca la
problematica portata all’esame della Corte, va premesso che il
decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, nel procedere ad una
revisione organica dell’istituto dell’accertamento con adesione, ha
introdotto una nuova disciplina generale delle modalità per la
definizione delle pendenze tributarie, cui si riconnettono anche
effetti premiali sul piano penale; si prevede, infatti, sia pure con
talune eccezioni, che “la definizione esclude, anche con effetto
retroattivo, in deroga all’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4,
la punibilità per i reati previsti dal d.-l. 10 luglio 1982, n.
429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n.
516, limitatamente ai fatti oggetto dell’accertamento” (comma 3,
seconda parte, dell’art. 2). Il comma 6 del medesimo articolo, sul
quale si appuntano le censure del rimettente, precisa, a sua volta,
che rientrano, nella disciplina di cui ai precedenti commi (tra i
quali il comma 3 testé richiamato), anche i periodi di imposta per i
quali era applicabile, tra l’altro, la definizione ai sensi dell’art.
3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564. Si tratta, in particolare,
dell’accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi
(c.d. “concordato di massa”), previsto dal menzionato art. 3, ai fini
delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto, nel
quadro di una disciplina del concordato relativa alle dichiarazioni
presentate entro il 30 settembre 1994.
4. – Tanto premesso, è da rammentare che questa Corte ha più
volte affermato (da ultimo, sentenze n. 307 del 1996 e n. 354 del
1997) il principio secondo cui il giudice rimettente, nell’operare la
ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicare
al caso portato al suo esame, deve costantemente essere guidato
dall’esigenza di rispettare i precetti costituzionali e, quindi, ove
una interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, è tenuto
– soprattutto in mancanza di diritto vivente – ad adottare quella
diversa lettura che risulti aderente ai principi costituzionali
altrimenti vulnerati.
nel caso di specie, invero, esiste la possibilità di una
interpretazione della disposizione denunciata diversa da quella
prospettata dall’ordinanza e tale da consentire di superare il
denunciato dubbio di costituzionalità.
Alla tesi sostenuta dal giudice a quo, nel senso che l’effetto
estintivo della punibilità, previsto dal comma 3 dell’art. 2 del
decreto legislativo n. 218 del 1997, non comprenderebbe il caso in
cui si sia già formulata adesione all’accertamento in base all’art.
3 del d.-l. n. 564 del 1994, può opporsi, anzitutto, che il
censurato comma 6 del medesimo art. 2 – nel ricondurre nella
disciplina di favore del precedente comma 3 i periodi di imposta ai
quali “era applicabile” la definizione ai sensi della anteriore
normativa – utilizza una locuzione, che, nella sua portata letterale,
ben si presta, in alternativa alla lettura riduttiva del rimettente,
ad essere riferita a tutte le pendenze rientranti nella indicata
categoria, a prescindere dal fatto di essere state o meno definite.
Può, inoltre, rilevarsi che il menzionato decreto legislativo n.
218 del 1997, nel ridisciplinare in via generale i procedimenti di
definizione delle vertenze tributarie e nell’escludere (art. 2, comma
3) la punibilità per i fatti aventi rilevanza penale, mostra di
volersi ispirare a criteri di particolare ampiezza, come denota il
fatto stesso di aver preso in considerazione anche i fatti
precedenti, in ciò derogando al principio generale dell’art. 20
della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (c.d. “ultrattività della legge
penale tributaria”). Ma, una volta individuato in questi termini
l’intento del legislatore, non si spiegherebbe una discriminazione,
nell’ambito delle fattispecie pregresse, a danno delle pendenze a suo
tempo risolte, se non altro perché ne resterebbero penalizzati
proprio quei contribuenti che, come lo stesso rimettente non manca di
avvertire, si sono mostrati più solerti nella definizione dei loro
rapporti con il fisco.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, del decreto
legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (Disposizioni in materia di
accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale), sollevata,
in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal
giudice per le indagini preliminari del tribunale di Modena con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola