Sentenza N. 453 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof.
Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti),
introdotto dall’art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543
(Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei
conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996,
n. 639, promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1997 dalla Corte
dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia, nel
giudizio di responsabilità a carico di Lovecchio Marco ed altri,
iscritta al n. 7 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale,
dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il Giudice
relatore Massimo Vari.
emessa nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa
instaurato dal Procuratore regionale nei confronti di alcuni
dipendenti del Comune di Ponteranica nonché della Banca popolare di
Bergamo, tesoriere dello stesso Comune – la Sezione giurisdizionale
della Corte dei conti per la Lombardia ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-quinquies, della
legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti), denunciandone il
contrasto con gli artt. 3, 23, 24, primo comma, 28 e 97, primo e
secondo comma, della Costituzione.
2. – Premette il rimettente che, con atto di citazione del 14
dicembre 1994, integrato da altro successivo del 9 giugno 1995, il
Procuratore regionale della Corte dei conti conveniva in giudizio il
ragioniere capo e l’economo del Comune di Ponteranica, nonché
l’istituto bancario tesoriere (unitamente ad alcuni addetti alla
Tesoreria), quali presunti responsabili sia pure a diverso titolo di
danno all’erario per l’importo di Lire 224.339.324 (oltre la
rivalutazione, gli interessi legali e le spese di giudizio). Il
ragioniere capo era, inoltre, chiamato a rispondere del mancato
versamento in Tesoreria della somma di Lire 7.110.550, consegnatagli
da un debitore privato, quale importo dovuto per l’estinzione di
un’obbligazione pecuniaria nei confronti del Comune.
Definita con sentenza parziale del 23 maggio 1997 la posizione dei
suddetti dipendenti comunali, chiamati a rispondere a titolo di dolo
– e già ritenuti responsabili, dal Tribunale penale di Bergamo, di
truffa aggravata, falso in atto pubblico ed altri reati connessi – la
Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la
Lombardia, nel condannare i medesimi alla refusione in solido della
somma corrispondente ai mandati di pagamento illecitamente riscossi,
ha sospeso la pronunzia nei confronti del tesoriere, chiamato a
rispondere a titolo di colpa grave per aver incautamente liquidato i
detti mandati di pagamento, ed ha sollevato questione di legittimità
costituzionale della disposizione sopra specificata.
Rilevato che il principio della solidarietà passiva, per la
generale portata assunta nell’ambito del codice civile vigente, sia
per la responsabilità contrattuale sia per quella aquiliana,
consente al creditore di chiedere la condanna per l’intero anche di
uno solo dei condebitori solidali, godendo, quindi, di una posizione
agevolata per la soddisfazione del credito, il giudice contabile
osserva che, a causa della disposizione censurata, analoga facoltà
sarebbe preclusa, invece, al Procuratore regionale della Corte dei
conti, “con evidenti disparità di trattamento e limitazione del
diritto di difesa” e, quindi, con violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione.
La ridotta capacità di reazione dell’ordinamento si rifletterebbe
anche sui valori protetti dall’art. 23 della Costituzione per
l’esigenza, comportata dalla probabile riduzione delle pubbliche
risorse, di incrementare le prestazioni patrimoniali imposte ai
cittadini, in contrasto con il principio di ragionevolezza e con il
principio di eguaglianza.
La violazione del principio di eguaglianza, per disparità di
trattamento ed irragionevolezza (art. 3), sarebbe ancora ravvisabile,
secondo il rimettente, con riferimento all’art. 28 della
Costituzione: infatti, mentre il terzo danneggiato può, in virtù di
quest’ultima disposizione, ottenere l’integrale ristoro del danno,
convenendo in giudizio l’Ente pubblico, quest’ultimo, in sede di
rivalsa nei confronti dell’autore del pregiudizio, non può ottenere
altrettanto, giacché i dipendenti – che pur avrebbero potuto essere
condannati in solido, in sede civile, ove convenuti in giudizio dal
terzo medesimo – risultano, invece, sottratti, innanzi alla Corte dei
conti, a tale tipo di condanna. L’applicazione della disposizione
censurata presenterebbe aspetti di spiccata irragionevolezza
specialmente nel caso di una fattispecie delittuosa per la quale
siano convenuti in giudizio innanzi alla Corte dei conti, unitamente
all’autore del reato, anche coloro che abbiano omesso colposamente
l’osservanza dei doveri di vigilanza e di controllo. In tale ipotesi,
esclusa la possibilità di condannare l’autore del reato ad un
risarcimento del danno per un importo inferiore alla somma
illecitamente conseguita, il giudice si troverebbe nell’esigenza
irragionevole di determinare un “arricchimento ingiustificato del
soggetto pubblico danneggiato”, dovendo condannare per l’intero
l’autore del reato e, per un’ulteriore quota, il soggetto
corresponsabile per negligenza.
Per contro, secondo il regime previgente, la sussistenza del
vincolo solidale tra i corresponsabili del danno erariale, che la
Corte dei conti applicava anche pro-quota, consentiva, attraverso il
meccanismo del regresso, di far gravare l’intero danno sull’autore
del reato, mentre l’escussione del controllore negligente, per la
quota a lui addebitata, portava ad una più agevole realizzazione del
credito, senza eccedere la misura del danno subito dall’erario.
Infine, secondo il giudice rimettente, la disposizione censurata
colliderebbe anche con i principi di correttezza e buon andamento
della pubblica amministrazione, fissati nell’art. 97 della
Costituzione; principi la cui salvaguardia rientra tra le finalità
della giurisdizione contabile e con i quali sarebbe coerente il
criterio della solidarietà passiva.
3. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L’Avvocatura erariale, nel fare rinvio alle deduzioni a suo tempo
predisposte per altri giudizi instaurati innanzi a questa Corte,
rammenta che, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza
costituzionale, le norme in tema di responsabilità dei dipendenti
pubblici risultano sindacabili solo in caso di arbitrarietà e
manifesta irragionevolezza delle scelte del legislatore.
Nel quadro di riferimento normativo costituito dal decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, dovrebbe, in ogni caso,
escludersi che l’art. 97 della Costituzione implichi un principio di
inderogabilità, per i pubblici dipendenti, delle comuni regole di
responsabilità operanti fra i privati.
giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-quinquies, della
legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di
giurisdizione e controllo della Corte dei conti), nella parte in cui
limita, nell’ipotesi di danno erariale causato da più persone, la
responsabilità solidale ai soli concorrenti che abbiano conseguito
un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo.
Secondo il rimettente il predetto comma 1-quinquies, aggiunto
all’art. 1 della legge n. 20 del 1994 dall’art. 3, comma 1, del
decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni,
nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, si pone in contrasto con:
gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la ingiustificata
disparità di trattamento e per la limitazione del diritto di azione
del Procuratore regionale della Corte dei conti, rispetto al regime
di responsabilità civile del diritto privato, ispirato al principio
generale della solidarietà passiva;
il medesimo art. 3, sotto il profilo della disparità di
trattamento e della irragionevolezza, in riferimento all’art. 28
della Costituzione, in quanto, mentre in base a detta ultima
disposizione il terzo può ottenere l’integrale ristoro del danno nei
confronti dell’ente pubblico, quest’ultimo incontrerebbe limiti, nel
far valere il suo diritto, a causa della sottrazione dei dipendenti
alla condanna in via solidale; ciò senza considerare che
l’esclusione del vincolo di solidarietà passiva nei confronti di
colui, che, venendo meno al dovere di vigilanza, ha concorso a
provocare il danno, porrebbe il giudice nella necessità di
determinare un arricchimento ingiustificato del soggetto danneggiato,
dovendo condannare l’autore del reato ad un importo che non può
essere inferiore all’intero, al quale si aggiunge la condanna, per
una ulteriore quota, del soggetto corresponsabile a titolo di colpa
grave;
l’art. 23 della Costituzione, in quanto la ridotta reazione
dell’ordinamento comporterebbe l’esigenza di imporre
irragionevolmente ai cittadini ulteriori prestazioni patrimoniali;
l’art. 97 della Costituzione, in quanto la limitazione introdotta
inciderebbe negativamente sul buon andamento della pubblica
amministrazione la cui promozione, attraverso il perseguimento delle
responsabilità, rientra tra le finalità della giurisdizione
contabile.
2. – La questione non è fondata.
La disposizione denunciata, al pari dell’altra, sulla quale questa
Corte ha avuto recentemente occasione di pronunziarsi con una
sentenza di infondatezza – e cioè quella che limita la
responsabilità di dipendenti ed amministratori pubblici ai soli casi
di dolo o colpa grave – si colloca nell’ambito di una nuova
conformazione dell’istituto della responsabilità amministrativa e
contabile, secondo linee volte, tra l’altro, ad accentuarne i profili
sanzionatori rispetto a quelli risarcitori (sentenza n. 371 del
1998). Nel quadro di tale nuovo ordinamento il legislatore, in caso
di danno cagionato da più persone, ha dettato una disciplina dei
rapporti fra i corresponsabili tale da renderla più aderente, come
emerge dai lavori parlamentari, alla misura della partecipazione
avuta da ciascuno dei vari soggetti nella causazione dell’evento
dannoso, disponendo che la Corte dei conti, valutate le singole
responsabilità, condanni “ciascuno per la parte che vi ha preso”
(art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994), salva l’ipotesi
in cui i concorrenti “abbiano conseguito un illecito arricchimento o
abbiano agito con dolo”, nel qual caso essi sono invece “responsabili
solidalmente”, così come espressamente dispone il successivo comma
1-quinquies, sul quale specificamente si appuntano le censure del
rimettente.
Onde cogliere la reale portata innovativa della disposizione, va
considerato che al precedente ordinamento della materia era
tutt’altro che estraneo il criterio della parziarietà, il quale
risulta sancito, in termini pressoché analoghi a quelli attuali,
dall’art. 82 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, accanto
alla norma sulla facoltà del giudice, “valutate le singole
responsabilità”, di “porre a carico dei responsabili tutto o parte
del danno accertato o del valore perduto” (art. 83). Tuttavia un
consistente filone della giurisprudenza della Corte dei conti
riteneva che la parziarietà riguardasse il rapporto interno fra
condebitori e che, invece, nei confronti del danneggiato, i
corresponsabili fossero comunque legati dal vincolo derivante dal
principio di solidarietà, che, peraltro, veniva applicato, sovente,
infliggendo a coloro che, ad avviso del giudice, avevano avuto minor
peso nel cagionare l’evento, la condanna in solido con gli altri
corresponsabili, ma limitando la quota dovuta fino a concorrenza di
una parte del danno.
Di fronte ad un panorama giurisprudenziale non privo, invero, di
profili di incertezza, il legislatore, con la norma denunciata, nel
ribadire come regola generale il principio di parziarietà,
individua, espressamente, nei casi di dolo o di illecito
arricchimento le ipotesi derogatorie in cui più soggetti
corresponsabili restano legati dal vincolo della solidarietà
passiva.
3. – La scelta così operata non può reputarsi illegittima, in
quanto, per i pubblici dipendenti, la responsabilità per il danno
ingiusto può essere oggetto, come questa Corte ha avuto occasione di
affermare, di discipline differenziate rispetto ai principi comuni in
materia.
È sufficiente, perciò, rifarsi al predetto orientamento per
dissipare il dubbio di violazione dell’art. 3, prospettato dal
rimettente, richiamando, tra l’altro, la diversa disciplina che, a
suo avviso, si desumerebbe, per i rapporti fra pubblica
amministrazione e terzo danneggiato, dall’art. 28 della Costituzione.
Inoltre, proprio con riguardo a fattispecie consimile a quella
dalla quale ha tratto spunto l’ordinanza di rimessione, questa Corte
ha avuto modo di affermare che non può certo essere la mancata
applicabilità del principio di solidarietà a dar fondamento a
censure di violazione del principio di eguaglianza, giacché proprio
il trasferimento del peso del risarcimento dal maggiore al minore
colpevole rischierebbe di non essere consono con tale principio,
nonché con le prescrizioni di cui all’art. 97 della Costituzione
(sentenza n. 773 del 1988).
4. – Quanto, poi, all’art. 24 della Costituzione è sufficiente
rilevare, a tacer d’altro, che la garanzia apprestata da tale
articolo opera attribuendo la tutela processuale delle situazioni
giuridiche soggettive nei termini in cui queste risultano
riconosciute dal legislatore; di modo che quella garanzia trova
confini nel contenuto del diritto al quale serve, e si modella sui
concreti lineamenti che il diritto riceve dall’ordinamento.
5. – Per corroborare la tesi dell’incostituzionalità della
censurata disposizione, l’ordinanza si sofferma sugli esiti
irragionevoli cui essa darebbe luogo, imponendo al giudice di
infliggere, in una fattispecie quale quella all’esame del rimettente,
condanne per importi superiori alla perdita subita dall’erario. In
proposito, nel rammentare il principio secondo il quale (cfr.
sentenze n. 307 del 1996 e n. 354 del 1997) è compito del giudice
dare, per quanto sia possibile, alle norme denunciate una
interpretazione secundum Constitutionem, si osserva che
l’inconveniente segnalato deriva da una scelta interpretativa che
appare tutt’altro che scontata, risultando, infatti, disattesa da
quella giurisprudenza, che, proprio per evitare le illogiche
conseguenze prospettate dal rimettente, in casi analoghi afferma che
l’agente il quale, a titolo di colpa, risponde soltanto per una quota
del danno, resti obbligato solo in via eventuale dopo l’infruttuosa
escussione di coloro che abbiano agito con dolo.
Tale orientamento, già accolto in passato dalla giurisprudenza
contabile nell’ambito del regime che tendeva a coniugare, come si è
detto, solidarietà e parziarietà, è stato recentemente ribadito
(v. Corte dei conti, Sezioni riunite, 25 febbraio 1997, n. 29) nei
confronti della nuova disciplina, valendo, perciò, ad evitare
proprio gli effetti paventati dall’ordinanza.
6. – Ugualmente infondate sono le censure prospettate in
riferimento agli artt. 23 e 97 della Costituzione. Infatti, mentre va
rilevata l’estraneità alla problematica qui in esame della prima
disposizione, la quale contempla la riserva di legge per le
prestazioni personali e patrimoniali, è da escludere, del pari, la
lesione della seconda, sotto il profilo del buon andamento, attesa la
non irragionevolezza della denunciata disciplina.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1-quinquies, della legge 14 gennaio 1994, n. 20
(Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei
conti), sollevata in riferimento agli artt. 3, 23 e 24, primo comma,
28 nonché 97, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte
dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia, con l’ordinanza
in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola