Sentenza N. 455 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Piero
Alberto CAPOTOSTI;
secondo, del testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione
degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato con d.P.R. 16
maggio 1960 n. 570, promossi con otto ordinanze emesse il 28 e il 29
aprile 1998 dal Tribunale di Udine, il 20 novembre 1997 dal giudice
per le indagini preliminari presso il tribunale di Caltagirone, il 29
maggio, il 3 aprile, il 20 maggio, il 19 maggio e il 20 maggio 1998
dal tribunale di Udine, iscritte rispettivamente ai nn. 455, 456,
495, 517, 534, 540, 541 e 542 del registro ordinanze 1998 e
pubblicate nella Gazzetta ufficiale della Repubblica nn. 26, 28, 29 e
34, prima serie speciale dell’anno 1998.
Visto l’atto di costituzione di Carullo Francesco nonché gli atti
di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 27 ottobre 1998 il giudice relatore
Francesco Guizzi;
Udito l’avvocato Salvatore Pompeo per Carullo Francesco.
all’art. 90, secondo comma, del testo unico delle leggi per la
composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni
comunali, approvato con d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il Tribunale
di Udine ha sollevato con sette ordinanze di analogo contenuto, in
riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 100, secondo comma, del testo
unico menzionato, che – derogando alla previsione generale del codice
penale – stabilisce un termine prescrizionale di due anni per tutti i
reati ivi contemplati.
Per dimostrare l’irragionevolezza denunciata, il giudice a quo
ricorda preliminarmente che delitti con identica pena edittale
massima si prescrivono in dieci anni (art. 157, n. 3, del codice
penale), riservandosi la prescrizione breve di due anni (art. 157,
numero 6) a fatti di minore gravità, quali le contravvenzioni punite
soltanto con la pena pecuniaria. In proposito, il rimettente aggiunge
che l’art. 479 del codice penale, che punisce condotte analoghe a
quelle oggetto dei reati elettorali contestati, è sottoposto al
termine prescrizionale di dieci anni, di cui al citato art. 157, n.
3.
Tanto premesso, si osserva che la pena edittale minima di 2 anni
prevista per il reato di cui all’art. 90 del d.P.R. n. 570 del 1960
consiste, esattamente, nel doppio di quella (minima) per il reato di
falsità ideologica in atti pubblici: ciò che rivela il disvalore
sociale attribuito dal legislatore a tale condotta, trattandosi di
norme che tutelano il regolare svolgimento del procedimento
elettorale e il corretto funzionamento delle istituzioni
democratiche.
Non risultando in alcun modo comprensibile che per siffatte
violazioni si applichi il medesimo termine prescrizionale delle
contravvenzioni, punite con l’ammenda, il Collegio rimettente rileva
il contrasto della norma in esame con l’art. 3, per la
irragionevolezza d’un diverso trattamento riservato a situazioni
analoghe, e con l’art. 112 della Costituzione, per il rischio di
vanificazione dell’esercizio dell’azione penale, stante l’esiguità
del predetto termine prescrizionale. Altresì leso sarebbe, poi,
l’art. 97 della Costituzione per l’inutile dispendio di attività
processuali, frustrate dal rapido maturare della prescrizione.
In punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che non si
può eccepire il decorso del termine prescrizionale, dal momento che
la questione di legittimità costituzionale concerne proprio la norma
che ne stabilisce la durata. La questione sarebbe dunque ammissibile
secondo i principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 148
del 1983, quantunque la norma denunciata abbia natura di favore
rispetto a quella che sarebbe applicabile a seguito della
declaratoria di illegittimità costituzionale.
1.2. – Nei giudizi promossi con due delle sette ordinanze
menzionate (r.o. nn. 455 e 456 del 1998) è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri con il Patrocinio dell’Avvocatura dello
Stato, concludendo nel senso della inammissibilità per difetto di
rilevanza e, in subordine, dell’infondatezza.
Circa la rilevanza, la difesa erariale osserva che la questione è
stata sollevata prima che il termine di prescrizione del reato fosse
spirato, sulla base di un pronostico di “ineluttabilità” che
potrebbe essere smentito dai fatti. Nel merito, vi sarebbe il
precedente stabilito con l’ordinanza n. 171 del 1989, ove si dichiara
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
del testo unico n. 361 del 1957, nella parte in cui non prevede un
termine biennale di prescrizione dei reati elettorali secondo quanto
disposto dall’art. 100 del d.P.R. n. 570 del 1960, sì che andrebbe
disattesa l’opinione del giudice a quo secondo cui il termine
prescrizionale di due anni (che diventa di tre ove intervengano atti
interruttivi ai sensi dell’art. 160, terzo comma, del codice penale)
impedirebbe di pervenire alla sentenza definitiva prima del maturare
della prescrizione. Analogo termine – conclude l’Avvocatura – è
previsto dall’art. 157, n. 6), del codice penale per le
contravvenzioni punite con la sola ammenda, di modo che sarebbe
infondata anche la censura mossa con riguardo ai principi di buon
andamento e di obbligatorietà dell’azione penale.
2.1. – Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
di Caltagirone, investito di procedimenti penali aventi ad oggetto il
reato previsto dall’art. 87 del citato testo unico approvato con
d.P.R. n. 570 del 1960, ha sollevato analoga questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 1, 3, 48,
secondo comma, e 112 della Costituzione, e a sostegno della rilevanza
osserva che dalla decisione di questa Corte discende la possibilità
di dichiarare prescritti i reati contestati che sarebbero stati
commessi dal 1989 al 1993, per alcuni capi di imputazione, e fino al
1994, in un altro caso.
La disposizione denunciata violerebbe quindi l’art. 3 della
Costituzione per ingiustificata disparità di trattamento e
risulterebbe comunque irragionevole, dal momento che rende difficile
la pronuncia della sentenza definitiva entro il ristretto termine
prescrizionale. Le norme sulla prescrizione dei reati – prosegue il
rimettente – sono dirette anche a realizzare il principio della
ragionevole durata del processo penale, fra l’altro tutelato
dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo:
principio a garanzia dell’inquisito, ma che impone, altresì,
l’effettivo svolgersi di tutte le attività processuali necessarie
all’accertamento della verità, “scopo ultimo” del processo; ma la
previsione normativa di un termine così breve per il giudizio
definitivo potrebbe vanificare l’esercizio dell’azione penale recando
lesione all’art. 112 della Costituzione.
Ad avviso del rimettente, l’art. 100 del citato testo unico viola
l’art. 48, secondo comma, che assicura la libertà di voto, e anche
l’art. 1 della Costituzione che sancisce il principio della
sovranità popolare, cardine dell’intero ordinamento: la brevità del
termine prescrizionale comprime infatti il potere punitivo dello
Stato, presidio della libertà di voto, e vulnera il principio della
sovranità popolare che si esplica attraverso libere competizioni
elettorali.
2.2. – Si è costituito uno degli imputati, Francesco Carullo,
eccependo l’irrilevanza della questione, dal momento che il giudice
rimettente avrebbe dovuto, esaminando gli atti, pronunciare sentenza
di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. Nel merito,
la questione sarebbe comunque infondata, stante la diversità fra la
fattispecie in esame e quella disciplinata dal testo unico delle
elezioni politiche, approvato con il d.P.R. n. 361 del 1957, secondo
quanto riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 121 del 1980 e
con l’ordinanza n. 171 del 1989, risultando altresì privo di
fondamento il richiamo agli altri parametri costituzionali indicati
dall’ordinanza.
In prossimità dell’udienza la difesa privata ha presentato
memoria, sviluppando e approfondendo quanto in precedenza esposto.
all’esame della Corte con otto ordinanze di rimessione, che vanno
riunite e decise con unica sentenza, concerne l’art. 100, secondo
comma, del testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione
degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato con d.P.R. 16
maggio 1960, n. 570, che – derogando alla previsione generale del
codice penale – stabilisce un termine prescrizionale di due anni per
i i reati contemplati dallo stesso testo unico: secondo i giudici
rimettenti, vi sarebbe lesione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma,
97 e 112 della Costituzione.
2. – In via preliminare, occorre valutare l’eccezione di
inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Stato a nome del
Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale è intervenuto nei
giudizi promossi con due delle otto ordinanze qui in esame (r.o. nn.
455 e 456 del 1998), osservando che la questione è stata sollevata
quando ancora la prescrizione non era maturata.
Tale eccezione è infondata: tutte le ordinanze di rimessione
contengono, infatti, sufficienti indicazioni sul termine di
prescrizione, sia nel caso in cui essa sia già intervenuta (r.o. nn.
495, 517, 540, 541, 542), sia con riguardo alla sua imminente
realizzazione (così per le ordinanze nn. 455, 456, 534, le quali,
emesse nell’aprile 1998, precisano la data della prescrizione, per i
reati elettorali in oggetto, nel 9 o 10 maggio successivo). Onde la
questione non può dirsi, sotto questo profilo, irrilevante.
3. – Si deve quindi passare al merito.
Il termine di prescrizione biennale introdotto dall’art. 100,
secondo comma, del d.P.R. n. 570 del 1960 viene censurato, perché
determinerebbe la lesione di numerosi beni protetti dalla
Costituzione, fra cui, in primo luogo, la libertà di voto e, con
essa, il principio della sovranità popolare; nel contempo, sarebbero
compromessi l’esercizio dell’azione penale e il buon andamento della
funzione giurisdizionale. Sì che occorrerebbe dichiararne
l’illegittimità costituzionale al fine di provocare la “fisiologica”
espansione dell’art. 157 del codice penale.
Ulteriore doglianza concerne la disparità di regime che sussiste –
ad avviso dei giudici di merito senza ragione alcuna – fra i due
sottosistemi sanzionatori in materia elettorale che da lunga data
coesistono nel nostro ordinamento: quello per le elezioni comunali e
provinciali – che vale anche per le regioni, in forza del rinvio
operato dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108 – e l’altro, che regola
le elezioni della Camera dei deputati (rispettivamente, d.P.R. n.
570 del 1960 e d.P.R. n. 361 del 1957).
Per le elezioni politiche nazionali vigono le regole ordinarie
poste dall’art. 157 del codice penale (nella specie, la prescrizione
è decennale); mentre l’art. 100, secondo comma, del d.P.R. n. 570
del 1960 – conformemente alla legislazione elettorale previgente (v.
il d.P.R. 5 aprile 1951, n. 203, art. 93, e, ancor prima, il decreto
legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, n. 1, art. 81) – prevede
la prescrizione biennale per i reati elettorali ivi contemplati.
In conclusione, i giudici a quibus – non ritenendo che sussista
alcuna ragionevole giustificazione di tale statuizione – chiedono che
le due legislazioni elettorali siano parificate, per tutte dovendo
valere le norme generali in tema di prescrizione, assunte dai
rimettenti quale necessario presidio dei principi e valori
costituzionali sopra indicati, posti in pericolo dalla speciale norma
di favore in esame.
4. – Si profila, a questo punto, un evidente motivo di
inammissibilità.
Questa Corte deve ricordare che le diverse scelte presenti nei due
sottosistemi, anche con riferimento al termine prescrizionale, sono
espressione della discrezionalità che va riconosciuta al legislatore
per quanto attiene alla sfera (e in particolare all’an e al quomodo)
della punibilità. Ogni aggravamento di pena – o inasprimento della
disciplina sostanziale che attenga alla punibilità – è infatti
rimesso alla ragionevole ponderazione degli interessi in gioco che
spetta al Parlamento effettuare; né potrebbe questa Corte sindacare
la disposizione di favore, qui denunciata, assumendo quale termine di
raffronto l’art. 157 del codice penale: che è, sì, norma di
carattere generale, ma non per questo può essere considerata momento
necessario di attuazione – o di salvaguardia – dei principi
costituzionali invocati. Nessuna indicazione si può trarre invero da
detti principi circa la specifica disciplina dei reati elettorali e
degli istituti che incidano sulla sfera della punibilità; e va
altresì ricordato che le esigenze costituzionali da salvaguardare
non si esauriscono nella tutela penale, perché possono essere
soddisfatte con diversi meccanismi sanzionatori, costituendo
l’incriminazione l’extrema ratio (sentenza n. 447 del 1998).
5. – Vi è certo l’esigenza, da tempo segnalata (sentenze nn. 84
del 1997, 121 del 1980 e 45 del 1967), di una compiuta
razionalizzazione del sistema dei reati elettorali, eventualmente
intervenendo anche sulla durata della prescrizione. Ma a ciò può
provvedere solo il legislatore.
La questione va dunque dichiarata inammissibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 100, secondo comma, del testo
unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle
Amministrazioni comunali, approvato con d.P.R. 16 maggio 1960, n.
570, sollevata, in riferimento agli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 97
e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Udine e dal giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Caltagirone, con le
ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola