Sentenza N. 456 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
27/07/1989
Data deposito/pubblicazione
27/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
comma, prima parte e 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985,
n.47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie) e dell’art. 343- bis del codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 7 dicembre 1988 dal Pretore di
Milano nel procedimento penale a carico di Brunotti Sandro ed altri,
iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.18, prima serie speciale,
dell’anno 1989;
Visti gli atti di costituzione di Brunotti Sandro e Meregalli
Piergiorgio, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 1989 il Giudice relatore
Ettore Gallo;
Uditi gli avvocati Dino Luigi Bonzano per Brunotti Sandro, Ennio
Amodio, Rinaldo Bonatti ed Alfredo Angelucci per Meregalli
Piergiorgio e l’Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente
del Consiglio dei ministri;
penale, sollevava questione di legittimità costituzionale degli art.
18, comma primo, prima parte, e 20, lettera c), della legge 28
febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie), nonché dell’art. 343- bis del codice di procedura penale,
in relazione agli artt. 3 e 25, comma secondo, della Costituzione,
quanto ai primi due articoli, e agli artt. 101, comma secondo, e 102,
comma primo, della Costituzione, quanto al terzo.
Va premesso che lo stesso Pretore, con decreto 14 aprile 1988,
aveva sottoposto a sequestro penale, ai sensi dell’articolo 337
codice di procedura penale, otto stabili in corso di costruzione in
via Tucidide 56 di Milano, nonché tutta l’area inerente alla
Convenzione di lottizzazione stipulata dalle Società interessate con
il Comune di Milano, a seguito di autorizzazione 4 giugno 1984 del
Consiglio comunale, e della conseguente concessione 12 luglio 1985
rilasciata dal Sindaco di Milano. Il provvedimento era stato assunto
nel contesto di un processo penale aperto dal Pretore nei confronti
dei rappresentanti delle Società Larix S.r.l., Porcellane
Richard-Ginori S.p.a., e Lambrate Ottantuno s.r.l. A questi, nel
decreto stesso di sequestro, veniva contestato, oltre a minori
violazioni edilizie qualificate nell’ambito dell’art. 20, lettera a),
della citata legge, anche il reato di cui agli artt. 18, comma primo,
parte prima, e 20, lettera c), stessa legge; e ciò in quanto la
detta lottizzazione, e la conseguente trasformazione
urbanistico-edilizia, apparirebbero in contrasto con la destinazione
d’uso di zona, con l’indice urbanistico di edificabilità e con le
disposizioni degli standards, così integrando un’ipotesi di
lottizzazione abusiva.
A tale avviso il Pretore era pervenuto in quanto l’esecuzione dei
fabbricati in parola avrebbe presentato connotazione oggettiva
“totalmente autonoma ed indipendente rispetto all’esistente complesso
industriale (che è quello della Richard-Ginori)”; e ciò perché i
fabbricati erano stati offerti in locazione alla Società Enichem,
così realizzando una “destinazione funzionale, di circa il 54% della
parte autorizzata ed edificabile, in evidente contrasto con le
disposizioni del Piano regolatore generale e con le prescrizioni
dello strumento di pianificazione particolareggiata, approvato su
iniziativa delle stesse parti”.
Il Tribunale del capoluogo di provincia respingeva, con ordinanza
28 aprile 1988, il ricorso per riesame della Richard-Ginori e della
Lambrate Ottantuno, e gli interessati interponevano ricorso per
cassazione.
2. – Con due distinte ordinanze, pronunziate nella stessa Camera
di Consiglio del 4 ottobre 1988, la Corte di Cassazione annullava
senza rinvio il sequestro del Pretore per la parte concernente l’area
su cui sorge il preesistente fabbricato industriale della
Richard-Ginori, mentre annullava con rinvio allo stesso Tribunale di
Milano, per difetto di motivazione, in ordine al residuo sequestro
pretoreo. Il Tribunale, però, confermava per questa parte il
sequestro disposto dal Pretore.
A tali determinazioni la Corte di Cassazione perveniva attenendosi
a precedente giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, secondo cui
presupposto imprescindibile per la configurabilità del reato di
lottizzazione abusiva è la mancanza di una previa autorizzazione da
parte dell’Organo competente.
A proposito, poi, del mutamento di destinazione d’uso, attuato –
come nella specie – sopra parte delle opere edilizie costruite in
aderenza alla concessione del Sindaco (salvo violazioni minori
autonomamente punibili), la Cassazione ha chiaramente avvertito che
esso non può mai integrare il delitto di lottizzazione abusiva,
altrimenti resterebbe senza significato quella parte dell’art. 20,
lettera c), che punisce con le pene della lottizzazione abusiva gli
interventi edilizi “in variazione essenziale” nelle zone sottoposte a
particolari vincoli.
Intendendosi per “variazione essenziale”, ai sensi dell’art. 8,
lettera a) della legge, proprio quel mutamento della destinazione
d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto
ministeriale 2 aprile 1968.
Essendo, dunque, il mutamento della destinazione d’uso punito con
le pene di cui all’art. 20 lettera c) soltanto ove ricorrano le dette
condizioni, è escluso che quella fattispecie possa essere applicata
ad altri mutamenti di destinazione.
3. – Secondo l’ordinanza di rimessione, l’interpetrazione della
Cassazione violerebbe innanzitutto il parametro di cui all’art. 3
della Costituzione perché consentirebbe un trattamento deteriore nei
confronti di chi agisce alla luce del sole, lottizzando terreni a
scopo edilizio senza alcuna autorizzazione, rispetto a colui che
astutamente, e dimostrando maggiore capacità criminosa, lottizza
sotto lo schermo di una concessione di cui non rispetta le finalità.
Ma violerebbe altresì il principio di stretta legalità, contemplato
nell’art.25, comma secondo, della Costituzione, in quanto circoscrive
in forma riduttiva l’ambito di applicazione dell’art. 18, comma
primo, parte prima, della legge in esame.
Quanto, poi, all’art.343- bis del codice di procedura penale, il
Pretore si propone il dubbio se la pronunzia della Cassazione abbia
semplice valore incidentale, con effetto limitato al provvedimento di
sequestro, o se, invece, irradi la sua efficacia sull’intero
procedimento, in guisa da creare limiti al giudice di merito, sia
nella fase istruttoria che in quelle successive del dibattimento e
dell’eventuale appello.
In questa seconda ipotesi si avrebbe la violazione dell’art.101,
secondo comma, della Costituzione, in quanto il giudice di merito non
sarebbe più soggetto soltanto alla legge, ma bensì anche alle
anticipate valutazioni della Corte di Cassazione: e dell’art.102,
comma primo, perché verrebbero trascurate le norme di garanzia
giurisdizionale previste nell’ordinamento giudiziario, concernenti
anche l’indefettibile articolazione dei gradi di giurisdizione.
In ordine alla rilevanza, poi, osserva il Pretore sostanzialmente
che egli non è in grado di definire il giudizio, se prima questa
Corte non gli dice quale delle due interpetrazioni dell’art.18, primo
comma, prima parte, sia quella costituzionalmente ineccepibile.
4. – Comunicata, notificata e ritualmente pubblicata l’ordinanza
di rimessione, si sono costituite nel giudizio innanzi a questa Corte
le parti private Sandro Brunotti, Amministratore unico della Lambrate
Ottantuno S.p.a., rappresentato dagli avvocati Alfredo Angelucci e
Dino Luigi Bonzano, nonché l’arch. Piergiorgio Meregalli, Direttore
dei lavori, rappresentato dall’avv. prof. Ennio Amodio e dagli
avvocati Rinaldo Bonatti e Alfredo Angelucci.
Le parti private chiedono che la questione sollevata, sia in
ordine alla legge urbanistico-edilizia sia in ordine all’art. 343-bis
del codice di procedura penale, venga dichiarata manifestamente
inammissibile o, comunque, infondata.
È intervenuto nel giudizio anche il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato dall’Avvocatura Generale dello Stato, la
quale pure richiede che la questione sia dichiarata inammissibile.
La prima in ordine logico riguarda l’art. 343- bis del codice di
procedura penale, nella parte in cui “potrebbe” rendere vincolante,
nel prosieguo del giudizio, il principio di diritto che la Corte di
Cassazione ha affermato nell’ambito di un procedimento incidentale,
concernente la legittimità del sequestro penale di immobili disposto
dal Pretore. Si è detto “prima” tale questione sul piano logico
giacché, se quanto il Pretore ipotizza avesse affettivo fondamento
giuridico, la forza vincolante del principio statuito in sede di
legittimità dalla Cassazione renderebbe inutile la trattazione della
questione di merito.
La seconda, riguardante appunto il merito del giudizio principale,
non si riferisce direttamente alle norme denunziate (art. 18, primo
comma, e 20, lettera c), della legge 20 febbraio 1985, n. 47) ma
piuttosto all’interpretazione che ne ha data la Corte di Cassazione
nel predetto procedimento incidentale. Interpretazione secondo cui
non può essere configurato reato di lottizzazione abusiva in
presenza di un atto di concessione della pubblica amministrazione:
salvo il caso ovviamente che questo sia frutto di attività
criminosa.
2. – Per quanto concerne la prima questione, è singolare che il
Pretore la sollevi in forma di ipotesi nel momento stesso in cui
afferma di disconoscerla, così come, del resto, è pacificamente
esclusa da dottrina e giurisprudenza.
La questione è perciò inammissibile perché meramente ipotetica,
e fuori, per di più, di ogni previsione scientifica e
giurisprudenziale.
Quando, infatti, il dubbio di compatibilità con i principi
costituzionali cada su una norma ricavata per interpretazione da un
testo di legge è indispensabile che il giudice a quo prospetti a
questa Corte l’impossibilità di una lettura adeguata ai detti
principi; oppure che lamenti l’esistenza di una costante lettura
della disposizione denunziata in senso contrario alla Costituzione
(cosidetta “norma vivente”).
Altrimenti tutto si riduce ad una richiesta di parere alla Corte
Costituzionale, incompatibile con la funzione istituzionale di questo
Collegio (cfr. la sentenza n.123 del 1970).
Va peraltro soggiunto che inammissibile la questione sarebbe
stata, comunque, quand’anche l’ipotesi, così singolarmente
prospettata, avesse avuto effettivo fondamento giuridico.
Se il principio, infatti, espresso dalla Corte di Cassazione nel
procedimento incidentale, facesse stato in quello principale, come il
Pretore ipotizza, e come effettivamente si verifica – ad esempio nel
campo dei conflitti di giurisdizione e di competenza ex art. 54,
quarto comma, del codice di procedura penale, esso avrebbe autorità
di cosa giudicata e perciò resisterebbe, nei limiti del processo de
quo, anche all’eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale
della norma denunziata.
3. – Quanto, poi, alla questione principale, deve rilevarsi che
occorre chiarire il senso ed i limiti della funzione assegnata a
questa Corte, in relazione al controllo incidentale di legittimità
costituzionale delle leggi, e degli atti aventi forza di legge.
Controllo che riguarda appunto la compatibilità delle leggi
denunziate con i principi della Costituzione, e che non può, quindi,
sostanziarsi in una revisione, in grado ulteriore, delle
interpretazioni offerte dalla Corte di Cassazione. Proprio in virtù
del principio di esclusiva soggezione del giudice alla legge (art.
101, secondo comma, della Costituzione), invocato nell’ordinanza, a
tutti gli Organi giurisdizionali spetta, in piena indipendenza ed
autonomia, una indeclinabile funzione interpretativa.
Solo allorquando il giudice ritenga – come si è rilevato – che
nella giurisprudenza si sia consolidata una reiterata, prevalente e
costante lettura della disposizione, è consentito richiedere
l’intervento di questa Corte affinché controlli la compatibilità
dell’indirizzo consolidato con i principi costituzionali.
Nulla di tutto questo si verifica, però, nella specie, nella
quale, anzi, è evidente che lo stesso giudice, lungi dal ritenersi
vincolato da una giurisprudenza che egli non considera per nulla
consolidata, prende decisa posizione nei confronti della
interpretazione offerta dalla Corte di Cassazione diffusamente
criticandola.
In tali condizioni, non si spiega perché il rimettente non abbia
tratto dalle sue censure le opportune conclusioni per l’ulteriore
procedere, preferendo sollevare una questione di legittimità
costituzionale che assume pregnante valore di reclamo avverso la
decisione della Corte di Cassazione.
Ma quand’anche, superando l’impasse, si volesse interpretare tutto
questo come una sostanziale denunzia delle norme in discussione per
carenza di ragionevolezza, in quanto non avrebbero previsto il reato
di lottizzazione abusiva anche per i casi in cui venga comunque
mutata la destinazione d’uso degli immobili costruiti rispetto alla
concessione del Sindaco, la questione sarebbe parimenti
inammissibile.
Intanto perché, nonostante la diffusissima motivazione, non è
stato opposto un solo argomento nei confronti del punto decisivo e
convincente della motivazione della Corte di Cassazione a Sezioni
Unite penali: quello dove si fa notare che, se qualsiasi mutamento
nella destinazione d’uso dovesse tradursi nella fattispecie di
lottizzazione abusiva, come il Pretore pretende, non si spiegherebbe
perché mai il legislatore avrebbe, invece, espressamente limitato
siffatta conseguenza alla sola ipotesi di mutamento di destinazione
d’uso nei riguardi degl’immobili vincolati. In ordine a tale decisivo
argomento, il Pretore si limita a dichiarare di non avere capito il
riferimento, e perciò sul punto la motivazione dell’ordinanza
sarebbe soltanto apparente.
Ma sopratutto perché, comunque, il giudice rimettente verrebbe
così a proporre a questa Corte un intervento additivo in materia
penale, in guisa da estendere la punibilità del cittadino oltre i
casi e i limiti previsti dalla norma impugnata. Intervento
sicuramente inammissibile, come già ribadito anche dalla sentenza n.
148 del 1983.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 18, primo comma, e 20, lettera c), della legge 28
febbraio 1985, n.47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere
edilizie) e dell’art. 343-bis del codice di procedura penale, in
riferimento agli artt. 3, 25, 101 e 102 della Costituzione, sollevate
dal Pretore di Milano con ordinanza 7 dicembre 1988.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: GALLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 27 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA