N. 46 del 1964
Data generale
16/06/1964
Data deposito/pubblicazione
16/06/1964
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/06/1964
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. GIOVANNI
CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO
SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof.
COSTANTINO MORTATI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, contenente
sanzioni contro il fascismo, promosso con ordinanza emessa il 14 luglio
1962 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra
Grendene Pietro e l’Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta
al n, 152 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 201 del 27 luglio 1963.
Visti l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione
delle finanze;
udita nell’udienza pubblica del 15 aprile 1964 la relazione del
Giudice Biagio Petrocelli;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l’Amministrazione
delle finanze.
Con sentenza del 10 settembre 1945 la Corte straordinaria di assise
di Padova condannò Peroni Antonio, imputato del reato di cui all’art.
58 del Codice penale militare di guerra in relazione all’art. 5 del
decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1944, n. 159, alla pena
di anni undici di reclusione e alla confisca dei beni in applicazione
dell’art. 9 del citato decreto. In esecuzione di tale sentenza
l’Intendente di finanza di Padova, con provvedimento 22-24 marzo 1956,
ha intimato a Grendene Pietro il rilascio di un immobile che a
quest’ultimo era pervenuto dal Peroni attraverso altri acquirenti. Il
Grendene è insorto contro tale provvedimento convenendo in giudizio,
dinanzi al Tribunale di Venezia, l’Amministrazione finanziaria e i
coniugi Bonaldi Mario e Gnudi Adalgisa, che quell’immobile avevano
acquistato dal Peroni e poi rivenduto al Grendene stesso. A seguito di
dichiarazione di incompetenza per territorio il giudizio fu riassunto
dinanzi al Tribunale di Padova, il quale ha sollevato d’ufficio la
questione di legittimità dell’art. 9 del citato decreto 27 luglio
1944, in riferimento agli artt. 25 e 27 della Costituzione ritenendola
influente ai fini del giudizio, ed ha rimesso gli atti alla Corte
costituzionale.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata alle parti private,
all’Amministrazione finanziaria e al Presidente del Consiglio dei
Ministri, comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, n. 201
del 27 luglio 1963. Si sono costituiti l’Amministrazione delle finanze
in persona del Ministro pro tempore e il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,
la quale ha depositato due distinte ma identiche memorie entrambe in
data 9 ottobre 1963. Il Grendene Pietro ha depositato una memoria di
costituzione il 2 novembre 1963, e pertanto fuori termine.
Secondo il Tribunale di Padova, l’art. 9 avrebbe configurato
un’autonoma figura di reato punita con la confisca, da intendersi come
pena patrimoniale. Nella ipotesi dell’art. 9, la confisca non avrebbe
carattere di sanzione civile, difettando l’estremo del danno da
risarcire; né di misura di sicurezza, non rispondendo essa ad alcuna
funzione di prevenzione; né, infine, di sanzione amministrativa, non
ricorrendo alcun illecito amministrativo.
Ma, così fissata, secondo l’ordinanza, la natura di sanzione
penale della confisca prevista dalla norma impugnata, quest’ultima si
rivelerebbe in contrasto con gli artt. 25 e 27 della Costituzione, in
quanto violerebbe il principio della irretroattività della legge
penale.
Il Tribunale osserva infine che la questione di legittimità così
sollevata sarebbe rilevante nei confronti della controversia portata al
suo esame in quanto la eventuale illegittimità della norma impugnata
comporterebbe la nullità della confisca e determinerebbe quindi il
rigetto delle pretese avanzate dall’Amministrazione finanziaria.
L’Avvocatura generale dello Stato contesta in primo luogo la
rilevanza della questione. Il rapporto concernente la confisca
dell’immobile, per il quale è insorta la controversia di merito, si
sarebbe esaurito con la sentenza 10 settembre 1945 della Corte
straordinaria di assise di Padova, essendosi su di essa formato il
giudicato, a seguito di sentenza della Cassazione del 5 aprile 1946,
prima dell’entrata in vigore della Costituzione, con la conseguente
assoluta preclusione di ogni ulteriore questione in ordine alla
confisca.
Nel merito, l’Avvocatura osserva poi che la questione è stata
sollevata dal Tribunale di Padova sul presupposto che la confisca di
cui alla norma impugnata sia una sanzione penale, presupposto
infondato, in quanto la Corte costituzionale con sentenza n. 29 del 25
maggio 1961 ha ravvisato nella confisca preveduta dalle leggi sulle
sanzioni contro il fascismo (e cioè dal D.L.L. 27 luglio 1944, n.
159, e successivi provvedimenti) la natura di una sanzione
amministrativo-finanziaria a carattere restitutorio e riparatorio.
Nella memoria depositata fuori termine la difesa del Grendene ha
invece particolarmente insistito sulla tesi secondo cui la questione
attualmente in esame verterebbe su di una figura di confisca del tutto
diversa da quella che fu oggetto di tale sentenza; ed in questo senso
ha sostenuto che non potrebbero avere qui ingresso le argomentazioni
alle quali la Corte si rifece allora per negare carattere di sanzione
penale alla confisca di cui all’art. 1 del D.L.L. 26 marzo 1946, n.
134.
L’Avvocatura dello Stato ha replicato con altra memoria depositata
il 6 febbraio 1964. Dopo aver fatto presente che la costituzione in
giudizio del Grendene è avvenuta fuori termine e dopo aver insistito
sulla eccezione di irrilevanza della questione, osserva che, se in
dottrina e in giurisprudenza vi è stato in passato qualche dubbio in
ordine alla natura della confisca di cui all’art. 1, dubbi poi superati
con la citata sentenza della Corte costituzionale, che ha escluso
trattarsi di sanzione penale, a maggior ragione dovrebbe pervenirsi ad
analoga conclusione relativamente alla confisca prevista dalla norma
impugnata, concordemente sempre qualificata come sanzione civile
speciale.
Non sarebbe, ad ogni modo, esatta la tesi della difesa del Grendene
secondo cui non potrebbero essere validi in questa sede gli argomenti
che portarono la Corte a quella pronuncia, perché anzi quei caratteri
di indipendenza ed autonomia rispetto all’azione penale verrebbero
ancor più in evidenza per la confisca di cui all’art. 9. Questa è
infatti applicabile anche dopo la estinzione del reato, e quindi nei
confronti degli eredi e degli aventi causa del colpevole, secondo
l’espresso disposto, oltre che della stessa norma impugnata, dell’art.
1 del D.L.L. n. 134, modificato dall’art. 1 del D.L. C. P. S. 19
novembre 1946, n. 392.
Sulla eccezione pregiudiziale sollevata dall’Avvocatura dello
Stato, secondo la quale sarebbe preclusa ogni possibilità di rimettere
in discussione il provvedimento di confisca, in quanto il relativo
rapporto si sarebbe esaurito per effetto di un giudicato validamente
formatosi sotto il precedente ordinamento costituzionale, la Corte
osserva che la eccezione riguarda evidentemente la rilevanza della
questione, come del resto esplicitamente si riconosce nella memoria
della stessa Avvocatura in data 27 marzo 1964. Pertanto, la Corte non
può che prendere atto che la rilevanza è stata riconosciuta e
motivata nell’ordinanza di rimessione.
Nel merito la questione non è fondata.
Con sentenza n. 29 del 1961 questa Corte ha ritenuto, conformemente
alla varia disciplina giuridico-positiva dell’istituto, che la confisca
non si presenta sempre di eguale natura e in unica configurazione, ma
assume, in dipendenza delle diverse finalità che la legge le
attribuisce, diverso carattere, che può essere di pena come anche di
misura non penale.
Nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo esprime l’avviso che
alla confisca di cui all’art. 9 del D.L.L. 27 luglio 1944 sia stato
attribuito carattere di vera e propria pena, in corrispondenza di una
autonoma figura di reato che la norma avrebbe creato. E poiché i
comportamenti costitutivi di tale reato sono anteriori alla norma
stessa, ciò importerebbe violazione del principio della
irretroattività della legge penale, riaffermato dall’art. 25, secondo
comma, della Costituzione.
È da premettere che la interpretazione del giudice a quo, secondo
la quale alla confisca sarebbe stato attribuito dall’art. 9 carattere
di pena, si pone in contrasto con l’orientamento in definitiva
affermatosi nella giurisprudenza, specialmente con la sentenza della
Cassazione a Sezioni unite del 14 febbraio 1948 (ribadita da numerosi
successivi pronunciati), con cui il carattere di pena fu nettamente
escluso, in conformità, del resto, con la prevalente dottrina. A parte
però questi significativi orientamenti, è il testo medesimo dell’art.
9 che presenta, ad avviso della Corte, elementi sufficienti per
confermare la predetta interpretazione. L’ordinanza di rimessione
ritiene di poter fare addebito alla norma impugnata di una formulazione
poco felice. Anche a voler ritenere fondato un siffatto apprezzamento,
è tuttavia innegabile che dal testo della norma risulta ben certo: che
la confisca dei beni è disposta “senza pregiudizio dell’azione
penale”; che “nel caso di azione penale” la confisca è pronunciata
dall’autorità giudiziaria che emette la condanna; e, “in caso
diverso”, dal Tribunale competente per territorio, su richiesta
dell’Alto Commissariato. Da ciò risulta evidente, a parte la
discutibile esattezza dei termini, che la confisca può essere disposta
anche indipendentemente dall’azione penale, anche quando questa non
possa essere promossa o proseguita per l’avvenuta morte del reo, e per
conseguenza anche contro gli eredi ed aventi causa (nel caso esaminato
dalla citata sentenza della Cassazione a Sezioni unite la confisca era
stata disposta contro gli eredi di persona già deceduta all’entrata in
vigore della norma). Ciò è più che sufficiente per escludere che con
la norma impugnata la confisca abbia assunto natura di pena, avendo la
pena carattere strettamente personale, e non potendo pertanto incidere
su soggetti diversi dal reo. A tal proposito la Corte non può che
riportarsi alle considerazioni già svolte nella già citata sentenza
n. 29 del 1961; vale a dire che le disposizioni relative alle sanzioni
contro il fascismo non contengono, né nel testo né nella eccezionale
ragione e finalità loro, nulla che comunque significhi una brusca
interruzione del principio della personalità della pena, nettamente
poi riaffermato dall’art. 27 della Costituzione. Pertanto, giacché la
confisca disposta con l’art. 9 del D.L.L. 27 luglio 1944, sebbene
riferibile ai comportamenti di un dato soggetto, è tale da potersi
disporre anche contro soggetti diversi e anche al di fuori dell’azione
penale, è una misura cui non può essere riconosciuto carattere di
pena. Per conseguenza essa non dà luogo a violazione del principio
della irretroattività della legge penale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza del
Tribunale di Padova del 14 luglio 1962, sulla legittimità
costituzionale dell’art. 9 del decreto legislativo luogotenenziale 27
luglio 1944, n. 159, in riferimento agli artt. 25 e 27 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1964.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – GIOVANNI
CASSANDRO – BIAGIO PETROCELLI –
ANTONIO MANCA – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.