Sentenza N. 461 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
03/11/2000
Data deposito/pubblicazione
03/11/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/10/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Valerio ONIDA, Fernanda CONTRI,
Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK;
d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle
assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la
tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione
dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria
per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni,
nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e dell’art. 9, secondo e terzo
comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di
scioglimento del matrimonio), come sostituitodall’art. 13 della legge
6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di
scioglimento di matrimonio), promosso con ordinanza emessa il
27 dicembre 1999 dal tribunale di Taranto nel procedimento civile
vertente tra Giorgetto Francesca e l’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS) ed altra, iscritta al n. 89 del registro
ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 11, 1ª serie speciale, dell’anno 2000.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2000 il giudice
relatore Annibale Marini;
Udito l’avvocato Michele Di Lullo per l’INPS.
promosso, alla morte di quest’ultimo, un giudizio dinanzi al
tribunale di Taranto, in funzione di giudice del lavoro, diretto al
riconoscimento del trattamento pensionistico di reversibilità
attribuito, invece, alla moglie separata del defunto.
nel corso del giudizio, il tribunale adito ha sollevato, in
riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale:
a) dell’art. 13 del regio d.l. 14 aprile 1939, n. 636
(Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie
per l’invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la
disoccupazione involontaria, e sostituzione dell’assicurazione per la
maternità con l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la
natalità), convertito, con modificazioni, nella legge 6 luglio 1939,
n. 1272, nella parte in cui non include il convivente more uxorio
nell’elenco dei soggetti legittimati ad ottenere la pensione di
reversibilità, pur attribuendo il relativo diritto al coniuge
superstite;
b) dell’art. 9, secondo e terzo comma, della legge
1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del
matrimonio), come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987,
n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di
matrimonio), nella parte in cui non includono il convivente more
uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di
reversibilità, pur attribuendo il relativo diritto al coniuge
divorziato ed ai soggetti superstiti succedutisi nel rapporto di
coniugio con il de cuius.
Il giudice rimettente dubita che le disposizioni denunciate siano
incostituzionali sotto il profilo del loro contrasto sia con l’art. 2
Cost., che tutela l’individuo in qualunque contesto egli esplichi la
propria personalità (quindi, verosimilmente, anche nella famiglia
c.d. di fatto), che con il generale principio di eguaglianza tra i
cittadini senza distinzioni di condizioni sociali e personali
garantito dall’art. 3 Cost.
Il rimettente premette di non ignorare la netta differenza che,
secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, intercorre tra
il rapporto more uxorio e quello coniugale, “il solo ad essere
caratterizzato da stabilità e certezza, nonché reciprocità di
diritti e doveri”.
Il dubbio di costituzionalità sollevato non riguarderebbe,
tuttavia, la “perfetta equiparabilità della convivenza di fatto al
rapporto di coniugio” bensì la “ragionevolezza ex art. 3 della
Costituzione della diversità di trattamento” per quanto attiene alla
particolare disciplina previdenziale che nella specie viene in
considerazione.
E ciò al fine di “evitare eventuali ingiustificate disparità di
trattamento delle condizioni di vita che derivano dalla convivenza e
dal coniugio”.
Su tale base ed avuto riguardo alla natura giuridica ed alla
funzione sociale del trattamento di reversibilità il rimettente
ritiene che agli effetti previdenziali possa assumere rilievo,
accanto alla famiglia fondata sul matrimonio, anche la c.d. famiglia
di fatto, “essendo tale modello anche teso al soddisfacimento di
esigenze socialmente apprezzabili, di tutela della persona in quanto
tale, giungendo così ad un rafforzamento di esigenze solidaristiche
fortemente sentite anche nell’ambito del nucleo familiare così
inteso in senso previdenziale”.
2. – Si è costituito in giudizio l’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS) chiedendo che la questione sia dichiarata
non fondata ed osservando, in particolare, che la mancata
considerazione ai fini previdenziali della convivenza more uxorio
deriva essenzialmente dalla circostanza che, diversamente dal
rapporto coniugale, la convivenza è soltanto un rapporto di fatto
privo di rilevanza giuridica.
La infondatezza della questione emergerebbe, poi, con sufficiente
sicurezza dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla considerazione
che “se la funzione della pensione di reversibilità è quella di
sostentamento del coniuge superstite prima indirettamente adempiuta
dalla pensione di cui era titolare il coniuge defunto […] non si
vede perché a tale situazione debba equipararsi il convivente il
quale, proprio perché vive fuori del matrimonio, non può essere
soggetto dei diritti e dei doveri che dallo stesso scaturiscono”.
3. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e
comunque di manifesta infondatezza della questione.
Ad avviso dell’Avvocatura il rimettente chiederebbe, in sostanza,
a questa Corte l’aggiunta alle disposizioni di legge censurate di una
ipotesi nuova e diversa rientrante nell’ambito della discrezionalità
legislativa. Sicché, come è stato più volte deciso, la questione,
sotto tale aspetto, sarebbe inammissibile.
Secondo la parte pubblica, inoltre, l’elencazione normativa delle
categorie aventi titolo alle prestazioni previdenziali di
reversibilità sarebbe ispirata al criterio della certezza delle
situazioni giuridiche.
Ciò che sarebbe confermato dalla circostanza che anche quando il
diritto alle suddette prestazioni è stato svincolato dalla
persistenza del vincolo coniugale (come per il coniuge divorziato) il
legislatore ha comunque richiesto la compresenza di requisiti
oggettivamente riscontrabili (e cioè l’esistenza del precedente
vincolo coniugale, la inesistenza di nuove nozze, la fruizione
dell’assegno postmatrimoniale).
Attribuire la pensione di reversibilità al convivente more
uxorio richiederebbe, invece, una verifica di fatto in ordine al
requisito della convivenza, e comporterebbe la rinuncia al principio
di certezza delle situazioni giuridiche che, al contrario, dovrebbe
trovare nel diritto previdenziale la più rigorosa attuazione data
anche la sua incidenza sugli equilibri della spesa pubblica.
Mentre, e su un piano ancora più generale, poiché la famiglia
fondata sul matrimonio sarebbe una particolare formazione sociale
entro la quale la persona verrebbe ad assumere diritti inviolabili
specifici ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti in via generale
dall’art. 2 Cost., risulterebbe del tutto legittimo il riconoscimento
di tali specifici diritti ai soli coniugi con esclusione dei
conviventi more uxorio.
sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 13 del regio
d.-l. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle
assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per la
tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione
dell’assicurazione per la maternità con l’assicurazione obbligatoria
per la nuzialità e la natalità), convertito, con modificazioni,
nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e 9, secondo e terzo comma, della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento
del matrimonio), come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo
1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di
matrimonio), nella parte in cui non includono il convivente more
uxorio fra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di
reversibilità.
Sarebbero così violati, secondo il rimettente, sia l’art. 2
della Costituzione che tutela l’individuo in qualunque contesto
esplichi la propria personalità e, quindi, anche nella famiglia c.d.
di fatto sia l’art. 3 della Costituzione per l’irragionevole
disparità di trattamento che conseguirebbe ad una disciplina che
accorda la pensione di reversibilità al coniuge pur se separato o
divorziato per negarla, invece, al convivente more uxorio anche
quando, come nella specie, la convivenza abbia acquistato gli stessi
caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale.
2. – La questione non è fondata.
La distinta considerazione costituzionale della convivenza more
uxorio e del rapporto coniugale, affermata dalla costante
giurisprudenza di questa Corte, non esclude affatto “la
comparabilità delle discipline riguardanti aspetti particolari
dell’una e dell’altro che possano presentare analogie, ai fini del
controllo di ragionevolezza a norma dell’invocato art. 3 della
Costituzione” (sentenza n. 8 del 1996).
L’aspetto particolare che, nella specie, viene in considerazione
è quello previdenziale, assumendosi dal rimettente la
irragionevolezza della disparità di trattamento insita nel
riconoscere la pensione di reversibilità al coniuge, ancorché
separato o divorziato, negandola, invece, al convivente more uxorio
pur se il suo rapporto sia dotato di “quegli stessi requisiti di
stabilità e certezza tipici del rapporto di coniugio”.
In contrario, va affermato, indipendentemente da ogni altra e
diversa considerazione, come gli attuali caratteri della convivenza
more uxorio rendano non irragionevole la scelta, operata dal
legislatore in ambito previdenziale, di escludere il convivente dal
novero dei soggetti destinatari della pensione di reversibilità.
Diversamente dal rapporto coniugale, la convivenza more uxorio è
fondata esclusivamente sulla affectio quotidiana – liberamente e in
ogni istante revocabile – di ciascuna delle parti e si caratterizza
per l’inesistenza di quei diritti e doveri reciproci, sia personali
che patrimoniali, che nascono dal matrimonio (ex plurimis sentenza
n. 8 del 1996).
La mancata inclusione del convivente fra i soggetti beneficiari
del trattamento di reversibilità rinviene allora una sua non
irragionevole giustificazione nella circostanza che tale pensione si
ricollega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che qui
per definizione manca. Con la conseguenza che, anche sotto l’aspetto
considerato, deve ribadirsi la diversità delle situazioni poste a
raffronto e, quindi, la non illegittimità di una differenziata
disciplina delle stesse.
3. – Nemmeno può dirsi violato il principio di tutela delle
formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana.
E ciò in quanto la riferibilità dell’art. 2 della Costituzione
“anche alle convivenze di fatto, purché caratterizzate da un grado
accertato di stabilità” (sentenze n. 310 del 1989 e n. 237 del 1986)
non comporta un necessario riconoscimento, al convivente, del
trattamento pensionistico di reversibilità che non appartiene certo
ai diritti inviolabili dell’uomo presidiati dall’art. 2 della
Costituzione.
Mentre le esigenze solidaristiche evidenziate dal rimettente
possono trovare la sede idonea alla loro realizzazione nell’attività
del legislatore e non già nel giudizio di legittimità
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 13 del regio d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni
delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità
e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione
involontaria, e sostituzione dell’assicurazione per la maternità con
l’assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità),
convertito, con modificazioni, nella legge 6 luglio 1939, n. 1272, e
dell’art. 9, secondo e terzo comma, della legge 1° dicembre 1970,
n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come
sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme
sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nella parte
in cui non includono il convivente more uxorio tra i soggetti
beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità,
sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal
tribunale di Taranto con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Marini
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 3 novembre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di paola