Sentenza N. 464 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1994
Data deposito/pubblicazione
30/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare
RUPERTO;
1994, n. 444, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 16
maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli organi
amministrativi), promosso con ricorso della Regione Calabria,
notificato il 2 agosto 1994, depositato in cancelleria l’8 agosto
1994 ed iscritto al n. 54 del registro ricorsi 1994;
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 1994 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
Udito l’avv. Federico Sorrentino per la Regione Calabria e l’avv.
dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
444, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 16 maggio
1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi),
invocando la violazione degli artt. 117, 118, 121, 122 e 123 della
Costituzione. Le censure investono in particolare gli artt. 3; 4,
comma 2; 6; e 9, comma 1, del decreto legge convertito nonché l’art.
1, comma 2, della legge di conversione.
La ricorrente, dopo aver ricordato che il decreto legge n. 293 è
l’undicesimo di una serie di provvedimenti normativi urgenti che il
Governo ha di volta in volta reiterato a seguito della mancata
conversione in legge dei precedenti (per la quasi totalità impugnati
dalla medesima regione), rileva che con legge regionale 5 agosto 1992
n. 13 è stata dettata la disciplina delle nomine di competenza della
regione negli enti regionali o subregionali diretta ad evitare il
fenomeno della prorogatio degli organi, in particolare disponendosi
che “tutte le nomine e le designazioni di competenza della regione
cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si è
proceduto alla nomina o alla designazione” (art. 8, comma 1) e che,
trascorsi 90 giorni dall’insediamento del nuovo consiglio regionale,
le persone nominate o designate cessano dall’esercizio delle funzioni
e, se il consiglio regionale non effettui le nuove nomine o
designazioni, a ciò provveda la giunta regionale in via d’urgenza e
con obbligo di ratifica entro 30 giorni da parte dell’organo
consiliare (art. 8, comma 2).
Detta legge regionale, ad avviso della ricorrente, sarebbe
rispettosa dell’art. 97 della Costituzione per i profili indicati
nella sentenza di questa Corte n. 208 del 1992, perché esclude la
proroga di fatto a tempo indeterminato e provvede a interventi
sostitutivi e di urgenza in caso di inadempimento dell’organo
consiliare competente, in ciò anticipando le disposizioni della
legge statale, ora impugnata, che a sua volta si è adeguata agli
insegnamenti impartiti dalla Corte nella sentenza n. 208 cit..
La regione osserva che l’art. 9, comma 1, del decreto-legge
impugnato – secondo cui “le disposizioni ..(del decreto) operano
direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a
quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi
generali ivi contenuti” – se pure con una formulazione che attenua
l’impatto sull’autonomia regionale rispetto alle precedenti versioni,
ancor più lesive, dei provvedimenti d’urgenza reiterati dal Governo
nella specifica materia, conferma tuttavia la violazione delle
competenze regionali ove si interpreti la norma come abrogativa della
legge regionale anticipatrice di quei principi e tale da rendere la
nuova disciplina statale direttamente applicabile nella regione.
Sarebbe così illegittimo l’art. 4, comma 2, del decreto legge
che, attribuendo la competenza sulle designazioni o nomine per la
ricostituzione degli organi scaduti, in caso di inerzia degli organi
collegiali, ai presidenti di detti organi, violerebbe sia le
attribuzioni regionali in materia di ordinamento degli uffici ed enti
dipendenti dalle regioni (art. 117 della Costituzione) sia la
competenza statutaria (art. 123 della Costituzione), in quanto
inciderebbe sulle norme che regolano le attribuzioni degli organi
collegiali, creando ex novo una competenza dei presidenti e
sottraendo ai collegi i correlativi poteri; detta disposizione,
inoltre, contrasterebbe con gli articoli 121 e 122 della Costituzione
per le nomine di competenza del consiglio regionale, attesa la
configurazione del presidente di detto organo, che non è autonomo
rispetto al consiglio stesso da cui è eletto per dirigerne i lavori
(art. 122, terzo comma, della Costituzione), né ha rilevanza esterna
propria, a differenza del consiglio, della giunta e del presidente di
questa (art. 121, primo comma, della Costituzione).
Sarebbe altresì lesivo delle competenze regionali l’art. 3 del
decreto legge, che, sul regime di proroga degli organi amministrativi
scaduti e degli atti da questi emanati, limita la competenza degli
organi prorogati e sanziona come nulli gli atti posti in essere fuori
dei limiti ivi previsti, in violazione dell’art. 117 della
Costituzione; la censura sarebbe da estendere al successivo art. 6
che prevede la nullità di diritto degli atti compiuti dagli organi
decaduti.
Analogamente, sempre ad avviso della ricorrente, sarebbe
illegittimo l’art. 1, comma 2, della legge di conversione, che
convalida gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti
prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base di tutti i
decreti-legge decaduti, perché verrebbero retroattivamente regolati
rapporti che per quasi due anni sono stati oggetto di disciplina dei
decreti-legge, in violazione delle competenze regionali in materia di
organizzazione di uffici ed enti regionali, impedendosi altresì agli
organi collegiali destinatari della disciplina di revocare gli atti
illegittimi dei loro presidenti e di provvedere diversamente in
ordine agli organi scaduti.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in
giudizio per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha
contestato il presupposto interpretativo a fondamento del ricorso,
secondo cui l’art. 9, comma 1, del decreto-legge determinerebbe
l’immediata abrogazione della preesistente normativa regionale,
poiché alcuni dei principi posti dalla legge n. 444 del 1994 e dal
relativo decreto-legge risultano già recepiti nell’ordinamento
regionale, e specificamente quello della scadenza “a termine fisso”
degli organi amministrativi (art. 2 del decreto-legge ed art. 8,
comma 1, della legge regionale) e quello della necessaria
individuazione del soggetto investito del potere sostitutivo di
nomina, per il caso dell’inerzia dell’organo in via primaria
competente (art. 4, comma 2, del decreto-legge e art. 8, comma 2,
della legge regionale); ond’è che, per tal parte, ogni motivo di
doglianza sarebbe addirittura inammissibile.
Per il resto, e cioè per la parte in cui la legislazione
regionale non è conforme ai nuovi principi fissati dal legislatore
nazionale, la difesa dello Stato osserva che la ricorrente non ha
ragione di opporsi a che medio tempore, fino alla completa recezione
di quei principi, le disposizioni della legge statale si applichino
in funzione integratrice della autonomia regionale, esercitata solo
in parte.
3. – In prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato
ha presentato una memoria, nella quale svolge ulteriormente le
proprie difese.
legge 15 luglio 1994, n. 444, che ha convertito, con modifiche, il
decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli
organi amministrativi), per asserita violazione degli artt. 117, 118,
121, 122 e 123 della Costituzione.
La regione ricorrente, nell’impugnare in particolare gli artt. 3;
4, comma 2; 6; 9, comma 1, del decreto-legge convertito, nonché
l’art. 1, comma 2, della legge di conversione, muove dal presupposto
che detta normativa vincoli nel dettaglio anche aspetti già
disciplinati dalla regione stessa con la legge regionale n. 13 del
1992, dal momento che, ai sensi dell’art. 9, comma 1, sopra
richiamato, le disposizioni del decreto “operano direttamente nei
riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non
avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi
contenuti’; onde il contrasto con gli invocati parametri, per lesione
delle competenze regionali.
Si sostiene altresì, sempre sul presupposto di cui sopra, che
l’art. 4, comma 2, del decreto-legge convertito – che trasferisce ai
presidenti degli organi collegiali la competenza alla ricostituzione
degli organi, in caso di inerzia dei collegi protratta sino a tre
giorni prima della scadenza della proroga – sia in contrasto con gli
artt. 117 e 123 della Costituzione, per lesione delle attribuzioni
legislative e statutarie circa le funzioni degli organi collegiali,
in quanto creerebbe una nuova competenza dei presidenti in danno dei
collegi; nonché con gli articoli 121 e 122 della Costituzione, per i
quali il presidente del consiglio regionale è organo privo di
rilevanza esterna.
Si deduce, altresì, la violazione della competenza regionale da
parte dell’art. 3 del decreto-legge convertito, che regola il regime
di proroga degli organi scaduti sancendo la nullità degli atti da
questi emanati al di fuori dei limiti indicati nelle norme statali,
nonché dell’art. 6 del decreto-legge che sancisce la nullità di
diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.
Si sostiene, infine, il contrasto con gli artt. 117, 118 e 123
della Costituzione, per lesione delle competenze statutarie, legislative ed amministrative della regione, dell’art. 1, comma 2, della
legge di conversione, che convalida gli atti di ricostituzione di
organi scaduti adottati in via sostitutiva dai presidenti di organi
collegiali sulla base dei precedenti decreti-legge non convertiti,
sanando così retroattivamente la disciplina provvisoria di quasi due
anni.
2. – La questione non è fondata in riferimento a tutti i
parametri invocati e sotto tutti i profili dedotti.
Va preliminarmente ricordato che il decreto-legge n. 293 del 1994,
convertito con la legge n. 444 del 1994, è l’undicesimo di una serie
di decreti che hanno regolato, a seguito della sentenza di questa
Corte n. 208 del 1992, il regime della proroga degli organi
amministrativi venuti a scadenza.
Nel respingere la questione di costituzionalità di una legge
regionale – sollevata sotto il profilo di un suo preteso contrasto
con il principio di carattere generale della prorogatio vincolante
per il legislatore regionale – la quale aveva previsto che i comitati
di controllo decadano qualora non siano rinnovati entro un certo
periodo dalla scadenza, la ricordata sentenza di questa Corte ha
escluso che la prorogatio di fatto degli organi amministrativi, a
tempo indeterminato, costituisca un principio di carattere generale
dell’ordinamento cui la regione sia tenuta ad attenersi. Detta
sentenza precisava che, in armonia con i principi desumibili
dall’art. 97 della Costituzione, ogni proroga dei poteri di organi,
dopo la loro scadenza, può aversi soltanto se prevista espressamente
dalla legge e nei limiti da questa indicati.
Il decreto-legge n. 293 del 1994 – convertito nella legge n. 444
del 1994 (ultimo di quelli che sono seguiti dopo la sentenza di
questa Corte) – impugnato dalla regione Calabria, pone appunto la
disciplina relativa, tenendo conto dell’esigenza della continuità
della funzione amministrativa che, in precedenza, la giurisprudenza,
specie amministrativa, riteneva soddisfatta facendo ricorso al
principio della prorogatio di fatto degli organi scaduti fino alla
loro rinnovazione.
L’art. 9 del decreto-legge impugnato contiene una clausola di
chiusura che dichiara operanti le disposizioni del decreto stesso
direttamente nelle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non
avranno adeguato i rispettivi ordinamenti “ai principi generali” ivi
contenuti; una autoqualificazione, questa che, come si ripeterà in
prosieguo, non muta la sostanza ai fini dei limiti posti alle leggi
regionali dall’ art. 117, primo comma, della Costituzione.
Orbene, tra questi principi, quelli che vengono in evidenza in
relazione al thema decidendum oggetto dell’impugnativa proposta dalla
regione Calabria sono: a) la cessazione delle funzioni degli organi
alla scadenza del loro termine di durata; b) l’indicazione di un
ragionevole periodo di proroga, per consentirne la rinnovazione,
durante il quale l’organo scaduto può compiere solo atti di
ordinaria amministrazione, e la previsione di un regime sanzionatorio
invalidante gli atti esorbitanti da tale limite; c) l’obbligo della
ricostituzione dell’organo entro una data anteriore alla scadenza del
periodo di proroga e, qualora a tale incombente debba provvedere un
organo collegiale che rimanga inadempiente, l’attribuzione del
relativo potere sostitutivo ad un organo monocratico che deve
comunque effettuare la ricostituzione prima della cessazione della
proroga; d) la definitiva decadenza degli organi scaduti dal momento
di questa cessazione e l’assoggettamento ad un regime sanzionatorio
di tutti gli atti emanati successivamente.
3. – Alla luce di quanto precede non ha fondamento il rilievo
della regione ricorrente che, sia pur in modo incerto, sembra
sostenere l’invasione delle proprie competenze perché l’art. 9 del
decreto-legge convertito, contenente la clausola di chiusura
illustrata nel punto precedente, avrebbe illegittimamente abrogato la
disciplina regionale già emanata in tema di proroga degli organi
scaduti: una disciplina, che di per sé si sarebbe già uniformata
all’art. 97 della Costituzione, secondo le indicazioni contenute
nella sentenza n. 208 del 1992 cit.
Al riguardo devesi ricordare l’effetto abrogativo, desumibile
dall’art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, ad opera delle leggi
dello Stato contenenti i principi fondamentali in ordine a determinate materie, delle leggi regionali che non risultino conformi ai
suddetti principi (sent. n. 498 del 1993). È perciò ininfluente,
nella specie, che la regione Calabria abbia già emanato una propria
“disciplina delle nomine di competenza della regione”, ben potendosi
dalla legge dello Stato, che ha in via generale disciplinato il regime della proroga degli organi amministrativi scaduti, desumere
principi fondamentali con effetti abrogativi di quelle norme della
legge regionale che risultino in contrasto con essi.
Né la regione ricorrente può dolersi che l’attribuzione del
potere sostitutivo al presidente degli organi collegiali – che
avrebbero dovuto provvedere alla rinnovazione di organi scaduti e che
non vi abbiano adempiuto – produrrebbe effetti sconvolgenti nel
proprio ordinamento quando l’organo collegiale sia il consiglio
regionale, perché, come si sostiene, si verrebbe in questo modo ad
attribuire al suo presidente “una posizione per così dire autonoma
dal consiglio stesso”, mentre quella figura, a differenza del
consiglio, della giunta e del suo presidente non “possiede una
propria ed autonoma rilevanza esterna”.
In proposito va ricordato quanto già rilevato e cioè sia il
carattere sussidiario – espressamente dichiarato nella clausola di
chiusura contenuta nell’art. 9 del decreto-legge – della disciplina
puntuale contenuta nella normativa impugnata, sia l’obbligo per le
regioni di uniformarsi, secondo quanto previsto dall’art. 117, primo
comma, della Costituzione, ai “principi fondamentali” desumibili
dalla legge dello Stato. Né può dirsi influente, diversamente da
quanto osservato dalla ricorrente, che l’art. 9 del decreto-legge
impugnato si esprima al riguardo in termini di “principi generali”,
dato che in ogni caso ciò che rileva non sono le qualificazioni
formali del legislatore, ma l’obbiettivo valore – ai fini di quanto
previsto dall’art. 117, primo comma della Costituzione – di “principi
fondamentali”, di quelli desumibili dalla legge dello Stato.
Orbene, da quanto si è avuto modo di illustrare in precedenza
(punto 2), dalla disposizione che, in caso di inadempienza
dell’organo collegiale che debba in via primaria provvedere alle
nomine di titolari degli organi scaduti, attribuisce al suo
presidente il potere sostitutivo, si ricava il “principio
fondamentale” dello spostamento della competenza da un organo
collegiale ad uno monocratico. Ciò nella considerazione, ricavabile
dalla comune esperienza, che, mentre quello collegiale possa non
riuscire a riunirsi o non pervenire ad un accordo sulla nomina da
effettuare, senza che per questo possano neppure individuarsi precise
responsabilità derivanti dall’omissione, queste evenienze non sono
ravvisabili nell’organo monocratico, che, una volta investito, non
potrebbe sottrarsi se non andando incontro a precise responsabilità,
ictu oculi rilevabili. Un principio, quello della sostituzione
dell’organo monocratico all’organo collegiale inadempiente, che aveva
un significativo precedente nell’art. 36, comma quinto, della legge 8
giugno 1990, n. 142, con riferimento al sindaco e al presidente della
provincia nei riguardi dei rispettivi organi consiliari, prima della
modifica introdotta dalla legge 25 marzo 1993 n. 81, che ha
attribuito le nomine e le designazioni direttamente al sindaco e al
presidente della provincia “sulla base degli indirizzi stabiliti dal
(rispettivo) consiglio”.
La legge della regione Calabria n. 13 del 1992, invocata dalla
regione stessa per lamentare l’invasività operata da quella statale,
non appare rispettosa di quel principio fondamentale, perché l’art.
8, comma 2, di essa stabilisce che, qualora la competenza per la
rinnovazione dei titolari di altri organi spetti al consiglio
regionale e questo rimanga inadempiente per un certo periodo, alla
nomina debba provvedere in via sostitutiva la giunta regionale, con
l’obbligo – in virtù del richiamo contenuto nella stessa norma
all’art. 28 dello Statuto – di sottoporre la propria deliberazione
alla ratifica del consiglio regionale, pena la sua decadenza.
Trattasi perciò sempre di organi collegiali, per i quali potrebbero
incontrarsi le stesse difficoltà non ovviabili, per le ragioni
anzidette, se non facendo ricorso ad un organo monocratico.
L’abrogazione di detta norma regionale in virtù dell’art. 10
della legge n. 62 del 1953 e la provvisoria applicazione della norma
statale, per effetto della quale il potere sostitutivo si
trasferisce, anche nel caso di inadempienza del consiglio regionale,
al suo presidente, non può perciò ritenersi invasiva delle
attribuzioni regionali, dato che la regione potrà nuovamente
intervenire con una propria legge disciplinante diversamente il
potere sostitutivo, attribuendolo all’organo cui, in base al proprio
Statuto, ritenga di assegnarlo, purché venga rispettato il principio
fondamentale del suo carattere monocratico.
4. – La questione non è fondata anche per i profili concernenti
gli artt. 3 e 6 del decreto-legge convertito che comminano,
rispettivamente, la nullità degli atti esorbitanti dall’ordinaria
amministrazione, emanati dagli organi collegiali scaduti durante il
periodo di proroga ex lege, e la nullità di tutti gli atti, di
qualunque natura, emanati dopo la cessazione del periodo di proroga.
Come si è avuto modo di illustrare (punto 2), costituisce
certamente un principio fondamentale della legge impugnata quello
dell’assoggettamento, ad un regime sanzionatorio invalidante, degli
atti emanati dagli organi scaduti, sia pure in forma più limitata
per quelli emanati durante il periodo di proroga previsto per
procedersi alla rinnovazione degli organi stessi. L’assoggettamento
degli atti a detto regime sanzionatorio serve a rendere effettiva la
rigorosa disciplina della proroga in parola e ad evitare ogni
elusione, possibile ove si lasciassero indenni da ogni conseguenza
sul piano giuridico gli atti emanati da organi ormai privi ex lege di
ogni competenza. Una evenienza, questa, in contrasto con l’art. 97
della Costituzione, come conseguenza di quanto affermato nella
ricordata sentenza n. 208 del 1992, secondo cui: “se è previsto per
legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che
quindi la loro competenza sia temporaneamente circoscritta, una
eventuale prorogatio sine die .. violerebbe il principio di riserva
di legge in materia di organi amministrativi”. Se rimanessero validi
o sanabili gli atti emanati dagli organi scaduti, detta affermazione
sarebbe vanificata perché ciò varrebbe ad attribuire in via
indiretta ad organi, che la legge non riconosce più come titolari
della funzione amministrativa, una legittimazione priva di ogni
fondamento legislativo.
È perciò da escludersi la lamentata invasività di competenze
regionali da parte degli artt. 3 e 6 del decreto legge impugnato,
nella parte in cui sanciscono le enunciate nullità, da valere per il
legislatore regionale come principio fondamentale.
5. – Non fondata è infine la questione riferita all’art. 1, comma
2, della legge di conversione, che convalida gli atti e i
provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti
giuridici sorti sulla base di tutti i decreti-legge succedutisi nella
disciplina e decaduti per mancata conversione.
La tesi della incostituzionalità della convalida, in tal senso
operata da parte della legge di conversione del decreto-legge
impugnato, sostenuta nel rilievo che in tal modo vengono a
disciplinarsi retroattivamente rapporti assoggettabili alla
legislazione regionale, sembra non tener conto del terzo comma
dell’art. 77 della Costituzione che, prevede appunto che le Camere
possano regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei
decreti non convertiti. Una previsione questa, che, diversamente da
quanto sostiene la ricorrente, per sua essenza riguarda la
possibilità di regolare retroattivamente, come nella specie,
rapporti sorti in virtù di decreti-legge decaduti; non senza
comunque considerare che, anche se non volesse farsi riferimento
all’espressa previsione costituzionale anzidetta, la regolamentazione
retroattiva di rapporti giuridici incontrerebbe, per costante
giurisprudenza di questa Corte, (sentt. n. 389 e 205 del 1991, 155
del 1990, 190 del 1988) un limite solo in materia penale. È peraltro
evidente che, avendo le leggi dello Stato, nelle materie di
competenza delle regioni, carattere cedevole rispetto alla
legislazione regionale, anche preesistente, regolante gli stessi
rapporti – purché rispettosa di principi fondamentali desumibili
dalle prime – nella specie la salvezza degli effetti prodotti dai
decreti-legge decaduti non riguarderebbe i rapporti che, nel rispetto
di quei principi, risultassero già regolati dalla legge regionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
della legge 15 luglio 1994 n. 444, di conversione, con modificazioni,
del decreto-legge 16 maggio 1994 n. 293 (Disciplina della proroga
degli organi amministrativi), sollevata, in riferimento agli artt.
117, 118, 121, 122 e 123 della Costituzione, dalla regione Calabria
con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA