Sentenza N. 465 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
28/12/1993
Data deposito/pubblicazione
28/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/12/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo
CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI;
comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la
mafia), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1992 dal Tribunale
di Reggio Calabria nel procedimento di prevenzione proposto nei
confronti di Trimboli Antonio, iscritta al n. 185 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 18, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice
relatore Vincenzo Caianiello;
prevenzione patrimoniale della confisca dei beni nei confronti di
persona già sottoposta all’applicazione della misura di prevenzione
personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, il
Tribunale di Reggio Calabria ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2-ter, sesto comma, della legge 31 maggio
1965, n. 575; questa norma – che stabilisce che il provvedimento di
confisca può essere adottato, su proposta del Procuratore della
Repubblica o del Questore, quando ne ricorrano le condizioni, anche
dopo l’applicazione della misura di prevenzione (personale), ma prima
della sua cessazione – risulta infatti applicabile nel caso di
specie, nel quale, successivamente alla proposta per l’applicazione
della misura reale, e al disposto sequestro di una serie di beni, la
misura preventiva personale precedentemente irrogata è venuta a
scadere (a seguito di riduzione del periodo in concreto determinato
per essa, da due anni ad un anno, in sede di appello) in epoca
anteriore alla data della camera di consiglio fissata per la
deliberazione sulla confisca.
Pertanto, osserva il Tribunale rimettente, il tenore inequivoco
della disposizione comporterebbe una declaratoria di improcedibilità
sopravvenuta della proposta di applicazione della confisca, per
effetto dell’ormai cessata sottoposizione del proposto alla misura
della sorveglianza speciale.
2. – Detta previsione legislativa – che, si osserva
nell’ordinanza, ha creato “uno sbarramento normativo insuperabile
volto a garantire un singolare sincronismo tra attualità della
misura personale e confiscabilità dei beni rientranti nel patrimonio
del prevenuto” – è sottoposta a scrutinio di costituzionalità in
quanto le esigenze di certezza e celerità cui essa sembrerebbe
presiedere non paiono in realtà idonee a fondare una ragione
effettiva della norma in argomento: la ragionevolezza della stessa
è, ad avviso del giudice a quo, solo apparente, giacché in
definitiva attraverso l’accennato sbarramento vengono a prodursi
effetti distorsivi rispetto alle finalità della disciplina
complessiva, ed in particolare una ingiustificata “impunità
patrimoniale” nei confronti di indiziati di appartenenza ad
associazioni mafiose. Siffatti inconvenienti – prosegue il rimettente
– appaiono particolarmente evidenti nel caso concreto, in cui non
solo la proposta per l’applicazione della confisca è anteriore alla
cessazione della sorveglianza speciale, ma anche il decreto di
sequestro precede ampiamente lo scadere della misura personale, e in
cui pertanto si è in presenza di un cespite sulla cui “illiceità”
vi è stata una prima, sia pur sommaria, delibazione da parte di un
organo della giurisdizione.
Proprio il rilievo dell’anteriorità dell’avvio della procedura di
prevenzione patrimoniale rispetto allo scadere della misura personale
costituisce, in questa prospettazione, circostanza idonea ad elidere
la giustificazione della previsione normativa in termini di certezza
o garanzia: non si vede perché debba essere vanificato il
procedimento allorché il (già) prevenuto sia pienamente consapevole
della pendenza della procedura patrimoniale e ne abbia già subìto
gli effetti sul piano della misura del sequestro, prodromica alla
confisca.
3. – A rafforzare il sospetto di incostituzionalità della norma
denunziata, aggiunge ancora il giudice a quo, stanno altresì le
coordinate normative che regolano il procedimento applicativo della
confisca, ed in particolare la congerie di accertamenti che l’art. 2-bis della legge n. 575 del 1965 prescrive per verificare l’effettiva
consistenza del patrimonio, posseduto anche indirettamente (tramite
prestanomi, parenti e così via), nonché l’ulteriore necessario
momento accertativo-valutativo teso a delineare la correlazione tra
l’attività illegale addebitata al soggetto e l’arricchimento che ne
è conseguito; appare così irrazionale, sotto il profilo della
incongruenza tra il mezzo (strumento della confisca) ed il fine di
tutela della collettività, la cesura temporale imposta dalla norma
denunziata, che oltretutto può essere determinata da ragioni non
riferibili all’attività dell’organo proponente o all’autorità
preposta all’indagine, bensì alle esigenze difensive e alla
oggettiva complessità di accertamenti ed acquisizioni. In siffatti
casi, prosegue il rimettente, risulta superflua l’ulteriore
comminatoria di termini più ampi (fino a due anni, a norma dell’art.
2- ter citato, terzo comma) di efficacia del sequestro, giacché in
via generale la cessazione della misura personale avverrà in corso
di procedimento, prima della consumazione di quel termine.
4. – Il Tribunale rimettente conclude prospettando alla Corte
costituzionale un possibile intervento idoneo ad evitare i profili di
illegittimità costituzionale lamentati, e cioè la riformulazione
della norma con la sostituzione della parola “proposti” alla parola
“adottati”; col che, il momento conclusivo di applicazione in
concreto della misura personale verrebbe a segnare lo sbarramento non
più dell’adozione della confisca bensì dell’azionabilità del
relativo procedimento, recuperando alla norma i connotati di più
idoneo contemperamento tra i diritti e le garanzie del prevenuto e le
ragioni di tutela collettiva sottese alla legislazione del settore.
5. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.
L’Avvocatura osserva, da un lato, che, se il termine entro il
quale le misure patrimoniali possono essere adottate – comunque non
inferiore ad un anno – può risultare inadeguato, ciò deriva da
evenienze di fatto e da modalità pratiche del procedimento di
prevenzione, che non si traducono in vizi di illegittimità della
norma. D’altra parte, la scelta legislativa di porre quel termine in
correlazione con la misura personale appare giustificata: la confisca
è pur sempre ricollegata alla misura di prevenzione, e già l’averla
resa adottabile in tempo successivo appare uno “strappo” sul piano
della legalità. Se non vi fosse quel termine, e se dunque venisse
meno il collegamento tra misura personale e misura reale,
quest’ultima risulterebbe un “mero provvedimento amministrativo
adottato senza alcuna garanzia giurisdizionale”, svuotandosi di
significato l’intervento del giudice.
dell’art. 2-ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, il
quale stabilisce che i provvedimenti – previsti dall’articolo
medesimo – di sequestro e di confisca dei beni di soggetti sottoposti
a misure di prevenzione personale, possano essere adottati, su
richiesta del procuratore della Repubblica o del questore, quando ne
ricorrano le condizioni, anche dopo l’applicazione della misura di
prevenzione, ma prima della sua cessazione.
Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di tale
norma, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo
della irragionevolezza di detto sbarramento temporale legato alla
cessazione della misura di prevenzione personale, in rapporto alle
esigenze pur tenute presenti dal legislatore che, nel terzo comma
dello stesso art. 2-ter, ha previsto che la confisca possa essere
disposta entro un anno (prorogabile di un altro anno) dal sequestro.
2.1. – Da quanto precede risulta che la questione come prospettata
muove da una interpretazione strettamente legata alla lettera del
sesto comma del citato art. 2- ter “I provvedimenti previsti dal
presente articolo possono essere adottati .. anche dopo
l’applicazione della misura di prevenzione, ma prima della sua
cessazione) e quindi da una lamentata interferenza tra la norma
denunciata (sesto comma) e quella (terzo comma) che prevede il
termine annuale (prorogabile di un altro anno nel caso di indagini
complesse), nel senso che la prima impedirebbe alla seconda di
esplicarsi autonomamente: cessando l’esecuzione in concreto della
misura personale, il sequestro disposto rimarrebbe senza seguito,
anche ove non sia trascorso l’anno (e la sua eventuale proroga)
previsto dal terzo comma, a causa dello “sbarramento” insuperabile
indicato dalla disposizione impugnata nella cessazione della misura
personale.
2.2. – La prospettazione del rimettente determina l’esigenza di
precisare la relazione che intercorre tra il terzo ed il sesto comma
dell’art. 2- ter specie in rapporto a quelle che sono le finalità
del sesto comma. Quest’ultima disposizione, storicamente occasionata
dalla possibilità ed opportunità di effettuare, già in sede di
prima applicazione della legge n. 646 del 1982, che ha introdotto gli
strumenti di prevenzione patrimoniale in argomento, la confisca dei
beni dei soggetti indiziati di appartenenza a organizzazioni di
stampo mafioso ai quali prima dell’entrata in vigore di quella legge
fosse già stata applicata la misura di prevenzione personale,
assolve la funzione: a) di rendere possibile l’inizio del
procedimento di prevenzione patrimoniale anche dopo l’irrogazione (in
primo grado) della misura personale, ciò che altrimenti non sarebbe
possibile alla stregua dei commi che precedono e che suppongono un
sequestro entro la definizione del primo grado; b) di “prorogare”,
conseguentemente, la competenza dell’organo giudicante ad adottare le
misure patrimoniali (e a svolgere le indagini ad esse finalizzate)
nell’ambito di un procedimento che ha come presupposto quello già
definitosi con l’irrogazione della sorveglianza speciale della
pubblica sicurezza.
3. – Ciò premesso, osserva la Corte come non si possa dubitare
innanzitutto della ragionevolezza della norma denunciata là dove
“aggancia” la possibilità di avvio del procedimento di prevenzione
patrimoniale alla applicazione in corso della misura personale,
misura che è allo stato il presupposto dell’adozione di quella
patrimoniale, poiché un termine finale per l’avvio del procedimento
per l’irrogazione di questa v’ha da essere, coerentemente con la
scelta attuale del legislatore che esclude in via di principio la
possibilità dell’irrogazione di misure patrimoniali
indipendentemente dalle misure di prevenzione personali. Un
principio, questo, le cui uniche eccezioni sono rappresentate dal
disposto del settimo comma dell’articolo 2-ter, introdotto dall’art.
2 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (eccezione significativamente
delimitata quanto all’oggetto della misura), e dall’ipotesi del
successivo ottavo comma, in cui peraltro non vi è tanto una deroga
al principio detto quanto una disciplina che muove dal dato
dell’applicazione di misure di sicurezza, di contenuto analogo a
quello della misura preventiva personale, e dunque da una valutazione
di sostanziale inutilità di una duplicazione del presupposto in
argomento.
D’altra parte, alla medesima ratio di certezza e necessaria
definizione di situazioni pendenti in modo precario (il sequestro di
prevenzione, pur con tutte le sue peculiarità, è comunque una
misura di ordine cautelare) si riconnette la funzione di chiusura
anche in ordine alla confiscabilità; in questo senso, la
prospettazione sostitutiva del giudice a quo, che propone la
trasformazione della parola “adottati” con “richiesti” nella norma
impugnata, non può essere presa in considerazione, comportando detta
ipotesi l’eliminazione di ogni termine finale.
Lo stesso giudice a quo, pur prospettando questa formula
sostitutiva, non contesta d’altronde espressamente l’aggancio del
termine iniziale per l’avvio del procedimento di prevenzione
patrimoniale al permanere attuale della misura personale, lamentando
in senso proprio che il termine ultimo per adottare la confisca a
norma del sesto comma possa essere, in concreto, troppo breve e
comunque assai più breve dell’anno (prorogabile nei sensi anzidetti)
stabilito quale termine finale di efficacia del sequestro nel terzo
comma.
Secondo le argomentazioni dell’ordinanza di rinvio,
l’irragionevolezza sussisterebbe in quanto una cosa è far funzionare
la misura personale in atto come presupposto della misura
patrimoniale, in armonia con l’attuale scelta legislativa di
principio; altra cosa sarebbe subordinare la confisca alla durata
della misura personale, perché del tutto diversi sono i criteri di
commisurazione della durata della sorveglianza speciale rispetto ai
profili implicati dalle indagini patrimoniali. Gli accertamenti si
muovono difatti su piani diversi, come diversi sono i presupposti
sostanziali da appurare e verificare per poter addivenire alle
misure: in un caso, verifica degli indizi di appartenenza a
organizzazioni criminali e valutazione del coefficiente soggettivo di
pericolosità; nell’altro, dopo la predetta verifica che ne è
presupposto, accertamento della disponibilità di beni anche
attraverso interposizioni o prestanome, e verifica a) della
sproporzione tra il patrimonio reale e quello dichiarato o rispetto
all’attività economica svolta, ovvero b) della esistenza di elementi
idonei a far ritenere l’origine o il reimpiego illegali dei beni del
prevenuto. Si può del resto essere persone di relativa pericolosità
e quindi tali da essere sottoposte ad una misura personale di breve
durata ed avere accumulato beni dei quali sia difficile accertare la
provenienza se non dopo lunghe e complesse indagini.
3.1. – Prima di valutare se gli inconvenienti lamentati dal
giudice a quo configurino una irragionevolezza rilevante sul piano
della costituzionalità, sembra opportuno verificare se, oltre alla
interpretazione della norma legata al dato letterale e dalla quale
muove il giudice nel sollevare l’incidente di costituzionalità, sia
possibile una interpretazione alternativa.
A questa può addivenirsi orientandosi verso una diversa
ricostruzione complessiva della disciplina dei termini in argomento.
In questa ricerca non sembra in primo luogo potersi accedere ad una
interpretazione che muova dall’idea di una completa e totale
autonomia tra le norme del terzo e del sesto comma dell’art. 2-ter.
Una interpretazione cioè secondo la quale le due previsioni
temporali sarebbero applicabili, in via alternativa, in dipendenza
del puro dato procedimentale dell’anteriorità o meno del sequestro
rispetto all’irrogazione della misura preventiva (se il sequestro
precede la irrogazione della misura personale si applica solo il
terzo comma e si fruisce di un anno prorogabile per provvedere alla
confisca; se il sequestro è successivo si ha riguardo solo al
termine di cessazione della misura personale). Questa tesi, proposta
in dottrina, non può essere seguita perché si fonda su di un
criterio di differenziazione – il momento di applicazione della
cautela – del tutto estrinseco ed accidentale rispetto alle finalità
della misura patrimoniale e quindi non elimina il problema, ma lo
accentua.
Anzi l’affermazione della applicabilità del termine di cui al
terzo comma anche in relazione ai sequestri effettuati dopo
l’applicazione della misura personale, sembra trovare qualche
conferma – in mancanza di univoci orientamenti giurisprudenziali sul
punto – nell’origine della disciplina (artt. 2,3 e 4 del disegno di
legge n. 2982/C/VIIIª legislatura) in cui il termine annuale sembrava
collegabile anche all’ipotesi di sequestro posticipato.
4.2. – Ma per ovviare agli inconvenienti segnalati dal rimettente
senza andare incontro ad altri, sembra possibile una interpretazione
che contemperi la previsione del sesto comma con quella del terzo
comma. A questo fine si deve muovere dall’individuare la chiave di
volta della disciplina proprio nel terzo comma, nel senso che è
all’escursione dell’anno (più uno) che occorre in via di principio
fare riferimento per stabilire la cessazione di efficacia del
sequestro, una volta adottato e quale che sia il momento di adozione.
Ed in proposito non potrebbe non convenirsi che, qualora non si
seguisse questa linea interpretativa, si dovrebbe pervenire alla
conclusione che prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 55
del 1990, poiché il termine annuale coincideva con il minimo di
durata della misura preventiva personale, lo “scarto” tra termine
utile alla confisca nel sequestro anteriore alla irrogazione della
misura personale e termine utile in caso di sequestro posteriore
veniva a porsi in termini contenuti; mentre, dopo le accennate
modifiche, lo squilibrio si sarebbe sensibilmente accentuato,
potendosi in concreto fruire di oltre due anni nel primo caso (stanti
le cause di sospensione ex ultima parte del terzo comma), e di pochi
mesi nel secondo (come nella vicenda del giudizio principale).
D’altronde la semplice trasposizione del termine del terzo comma
nei casi di sequestro posticipato, se idonea ad eliminare gli
inconvenienti connessi al caso di misura personale di durata
inferiore ai due anni, darebbe luogo ad altri nel caso di misura
personale più lunga, ovvero in quello di sottrazione
all’applicazione della stessa, giacché in queste ipotesi il termine
del sesto comma risulterebbe più “vantaggioso” ai fini della
adozione della confisca. Sembra invece che ad entrambe le categorie
di inconvenienti potrebbe ovviarsi rovesciando l’impostazione del
rimettente, con una interpretazione condotta secondo criteri
sistematici e finalistici e che, coordinando la previsione del sesto
comma con quella del terzo comma, muova dal considerare che in
generale il termine ultimo di efficacia del sequestro – e la
possibilità di adottare la confisca entro detto termine che è
perentorio – è quello del terzo comma, rispondente ad una
ragionevole e adeguata programmazione investigativa ai fini che
interessano, a meno che non sia dato in concreto un termine maggiore,
coincidente con la maggiore durata della misura personale. Questa
residualità applicativa del sesto comma manterrebbe alla norma ed al
termine finale in essa previsto la funzione loro assegnata quale
momento non superabile a garanzia della chiusura delle vicende
patrimoniali, e sarebbe altresì coerente col canone di conservazione
del significato di entrambe le disposizioni e della finalità cui con
ciascuna di esse si intende pervenire.
4.3. – In conclusione, la complessa ricostruzione del quadro
normativo nei sensi anzidetti orienterebbe verso una interpretazione
che, tenendo ferma l’esigenza certamente perseguita dalla legge, di
ancorare l’avvio del procedimento di prevenzione patrimoniale al
perdurare dell’applicazione della misura personale, e senza
distinguere l’ipotesi del sequestro adottato prima della irrogazione
di questa misura da quella del sequestro adottato successivamente,
consente di utilizzare per la sua definizione il termine più lungo
fra quello previsto dal terzo comma dell’art. 2- ter citato (un anno
più un altro eventuale anno dal sequestro) e quello previsto dal
sesto comma (cessazione della misura personale).
5. – Una volta individuata, in alternativa alla interpretazione
letterale della norma denunciata, da cui muove l’ordinanza di
rimessione, un’altra possibile interpretazione della norma stessa,
ispirata a criteri sistematici e finalistici, che sembra in gran
parte ovviare agli inconvenienti segnalati nell’ordinanza di rinvio
secondo l’interpretazione su cui essa si basa, la Corte non ritiene
tuttavia che questi inconvenienti siano tali da configurare una
irragionevolezza rilevante sul piano della costituzionalità, onde
l’infondatezza della questione. Anche a prescindere dal considerare
la difficoltà che incontrerebbe l’ipotesi di una addizione deteriore
nella materia in esame (ord. n. 721 del 1988) qualora dovesse
effettivamente profilarsi la fondatezza della questione, non sembra
in ogni caso che si versi in questa evenienza.
L’interpretazione letterale della norma denunciata, quale offerta
per il momento dal giudice a quo, fa assumere assoluta prevalenza al
principio dell’ancoraggio pieno della prevenzione patrimoniale alla
prevenzione personale. Un principio che, nel quadro delle scelte
legislative, costituisce un’opzione non censurabile dal punto di
vista della costituzionalità, dato che il legislatore ha fino ad
oggi seguito una linea che tende a considerare la misura patrimoniale
quasi la prosecuzione di quella personale.
L’interpretazione sistematico-finalistica, non esclusa
espressamente dal dato letterale, illustrata in precedenza e non
presa in considerazione dal giudice a quo, si mostra anch’essa
coerente con questa linea – perché assume la cessazione della durata
della misura personale come termine insuperabile ai fini dell’avvio
del procedimento di prevenzione patrimoniale, soggetto comunque, per
la sua conclusione, al termine finale indicato dal terzo comma
dell’art. 2- ter citato – e può ovviare agli inconvenienti cui si è
esposti con l’altra interpretazione, risultando maggiormente in
armonia con gli obiettivi perseguiti dalla legislazione in materia.
Il problema che viene sollevato non rileva dunque sul piano della
costituzionalità, mentre è suscettibile di essere affrontato e
risolto diversamente per ovviare agli inconvenienti lamentati, in
base ad opzioni interpretative possibili; il che sottolinea anche
l’esigenza di una adeguata opera di risistemazione e coordinamento
dello stratificato plesso di norme che regolano questa materia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2-ter, sesto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575
(Disposizioni contro la mafia), sollevata, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 28 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA