Sentenza N. 465 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1994
Data deposito/pubblicazione
30/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, prof. Antonio BALDASSARRE, prof.
Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof.
Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
legge 22 dicembre 1981 n. 791 (Disposizioni in materia
previdenziale), convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio
1982 n. 54, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 16 dicembre 1993 dal Pretore di Milano
nel procedimento civile vertente tra Italo Rotta e s.p.a. Seat Italia
iscritta al n. 72 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale,
dell’anno 1994;
2) ordinanza emessa il 26 marzo 1994 dal Tribunale di Sassari
nel procedimento civile vertente tra Angela Pinna e ditta E.
Cesaraccio iscritta al n. 305 del registro ordinanze 1994 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima
serie speciale, dell’anno 1994;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice
relatore Fernando Santosuosso;
Italia s.p.a. il Pretore di Milano con ordinanza emessa il 16
dicembre 1993 ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6
decreto-legge 22 dicembre 1981 n. 791 (Disposizioni in materia
previdenziale) convertito in legge 26 febbraio 1982 n. 54, nella
parte in cui non consente a chi inizia l’attività lavorativa pochi
mesi prima (meno di 6) del raggiungimento dell’età pensionabile, di
esercitare l’opzione a continuare il rapporto di lavoro di cui
all’art. 6 del citato decreto-legge n. 791/1981. Tale norma, infatti,
con lo stabilire che l’esercizio della facoltà di opzione deve
essere comunicato al datore di lavoro almeno sei mesi prima della
data di conseguimento del diritto alla pensione si porrebbe in
contrasto con l’art. 3 della Costituzione a causa del trattamento
ingiustificatamente discriminatorio operato nei riguardi dei
lavoratori che si trovano nella suddetta situazione.
2. – Nel giudizio avanti alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata.
Ha rilevato la difesa erariale che non sembra contrastare con il
principio di ragionevolezza l’aver previsto un termine perentorio per
l’esercizio da parte del lavoratore della facoltà di optare per la
prosecuzione del rapporto di lavoro, tanto più che la ratio della
norma è anche quella di consentire una “programmazione” del turnover da parte del datore di lavoro.
Sotto tale profilo, ha osservato l’Avvocatura dello Stato,
l’esercizio della opzione corrisponderebbe ad una esigenza di
certezza nello svolgimento e nella risoluzione del rapporto di
lavoro.
3. – Analoga questione è stata sollevata dal tribunale di Sassari
con ordinanza emessa il 26 marzo 1994, nel corso di un giudizio
vertente tra Prima Angela e la ditta E. Cesareccio, avente ad oggetto
la declaratoria di illegittimità del licenziamento ad essa intimato
nonostante che la lavoratrice avesse tempestivamente comunicato la
volontà di avvalersi del diritto di opzione ex art. 6 decreto-legge
22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia previdenziale)
convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54.
Il giudice a quo lamenta che la mancata estensione ai lavoratori
che abbiano esercitato l’opzione della tutela reale di cui all’art.
18 dello Statuto dei lavoratori, vanificherebbe in concreto la
possibilità di maturare la massima anzianità contributiva e si
porrebbe perciò in contrasto con l’art. 3 della Costituzione sia nel
caso in cui la disposizione sia interpretata nel modo più letterale,
escludendosi comunque – anche per le imprese che ne abbiano i
requisiti dimensionali – la possibilità di emettere l’ordine di
reintegrazione nel posto di lavoro; sia nel caso in cui la norma
venga interpretata nel senso della applicabilità della tutela
reintegratoria solo ove l’impresa abbia i requisiti dimensionali
prescritti.
Nella prima interpretazione, rileva il giudice a quo, la
disparità di trattamento consisterebbe nel fatto che il
raggiungimento della massima anzianità contributiva viene rimesso
l’orientamento contingente del datore di lavoro; nella seconda,
invece, il principio di eguaglianza sarebbe compromesso in quanto la
possibilità di continuare a prestare l’attività lavorativa per
raggiungere una maggiore anzianità contributiva dipenderebbe, a
parità di mansioni e retribuzioni, dalle dimensioni occupazionali
dell’impresa.
4. – Anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o
l’infondatezza della questione.
Ha rilevato la difesa erariale che con riguardo alla questione di
legittimità costituzionale sollevata sotto il profilo della
“ritenuta” applicabilità della tutela reintegratoria solo nel caso
della sussistenza dei prescritti requisiti dimensionali dell’impresa,
questa difetterebbe di rilevanza nel giudizio a quo dal momento che
l’impresa occupa meno di 15 dipendenti; in ordine al profilo
“ammissibile”, ha osservato l’Avvocatura generale dello Stato, che la
questione potrebbe risolversi con una sentenza interpretativa di
rigetto tenuto conto delle argomentazioni svolte dalla Corte di
cassazione nella sentenza n. 11311 del 23 novembre 1990.
riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.
2. – Il Pretore di Milano dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 6, del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 791, convertito
con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982 n. 54, nella parte in
cui, nel prevedere che l’esercizio della facoltà di opzione a
proseguire il rapporto di lavoro debba essere esercitato nel termine
di sei mesi prima del raggiungimento dell’età pensionabile, non
consente a chi inizia l’attività lavorativa successivamente alla
suddetta data di usufruire del previsto beneficio.
Osserva il giudice a quo che tale disposizione opererebbe un
trattamento ingiustificatamente discriminatorio nei riguardi dei
lavoratori che si trovano nella sopra descritta situazione.
3. – La questione va dichiarata inammissibile.
Dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione e dagli atti di
causa risulta infatti che nel caso di specie il lavoratore non ha in
concreto esercitato l’opzione; pertanto, conformemente alla
consolidata giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo sentenza n.
362 del 1994) viene meno il presupposto essenziale per la rilevanza
della questione, atteso che solo a fronte di un esercizio, anche se
tardivo, della facoltà di opzione, può affrontarsi la questione
della ragionevolezza del termine previsto.
4. – La questione sollevata dal Tribunale di Sassari ha ad oggetto
lo stesso art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981 n. 791,
convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 54,
nella parte in cui non estende ai lavoratori che abbiano esercitato
l’opzione a continuare a prestare l’attività lavorativa, la tutela
reintegratoria stabilita dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n.
300.
A parere del remittente tale mancata estensione vanificherebbe in
concreto la possibilità di usufruire del beneficio previsto e si
porrebbe perciò in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in
quanto la prosecuzione dell’attività lavorativa per raggiungere una
maggiore anzianità contributiva verrebbe a dipendere, a parità di
mansioni e retribuzioni, dalle dimensioni occupazionali dell’impresa.
5. – La questione non è fondata nei termini che saranno di
seguito precisati.
Va premesso che la norma impugnata consente al lavoratore di
continuare a prestare la propria opera oltre la scadenza del rapporto
al fine di incrementare la propria anzianità contributiva sempre che
(circostanza questa non ricorrente nel corso di specie) non sia stato
già raggiunto l’ammontare massimo del trattamento pensionistico. Da
ciò consegue – come costantemente affermato dalla Corte di
cassazione e da ultimo anche dalla Corte costituzionale (sentenze nn.
225 del 1994 e 309 del 1992) – che a seguito dell’esercizio della
facoltà di opzione di cui all’impugnato art. 6, quarto comma, del
decreto-legge n. 791 del 1981, il rapporto di lavoro rimane
assoggettato, quanto alle garanzie di stabilità, alla medesima
disciplina ad esso applicabile, ma al datore di lavoro non è più
consentito di collocare a riposo il dipendente per raggiunti limiti
di età; invero, il rifiuto del datore di lavoro di consentire la
prosecuzione del rapporto, malgrado l’esercizio della facoltà in
questione configura un atto radicalmente nullo per contrarietà ad
una norma imperativa, con conseguente obbligo di riassunzione del
lavoratore.
Ne deriva che, pur se, come rilevato dal giudice a quo, l’art. 6
del decreto-legge n. 791 del 1981, – diversamente da quanto previsto
dall’art. 4 della legge 9 dicembre 1977 n. 903 sulla parità di
trattamento tra uomini e donne nel rapporto di lavoro -, nel
prevedere la normativa applicabile al rapporto di lavoro a seguito
dell’esercizio della facoltà di opzione, si limita a richiamare la
legge 15 luglio 1966 n. 604 senza far alcun riferimento alle successive modifiche ed integrazioni, in ogni caso dovrà ritenersi
preclusa la facoltà del datore di lavoro di intimare il
licenziamento per raggiunti limiti di età.
6. – Così interpretata la disposizione, non appaiono ravvisabili
i vizi di incostituzionalità dedotti, tanto più che anche la
giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato in caso analogo la
nullità assoluta del licenziamento “ad nutum” di una lavoratrice
ultracinquantacinquenne in possesso dei requisiti per il
conseguimento della pensione di vecchiaia, con il conseguente
permanere degli originari obblighi contrattuali compreso l’obbligo
del datore di lavoro di far lavorare la dipendente e di
corrisponderle le retribuzioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 6 del decreto legge 22 dicembre 1981 n. 791
(Disposizioni in materia previdenziale), convertito con modificazioni
nella legge 26 febbraio 1982 n. 54, sollevata, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l’ordinanza
di cui in epigrafe;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, del decreto
legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia
previdenziale), convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio
1982 n. 54, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione,
dal Tribunale di Sassari con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: SANTOSUOSSO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA