Sentenza N. 468 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1994
Data deposito/pubblicazione
30/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare
RUPERTO;
comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19
(Norme sul referendum consultivo per l’istituzione di nuovi comuni, e
modificazione delle circoscrizioni e denominazioni comunali, in
attuazione dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione),
promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1994 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da
Vinciguerra Franco ed altri contro il prefetto della provincia di
Roma ed altri, iscritta al n. 615 del registro ordinanze 1994 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima
serie speciale, dell’anno 1994;
Visti gli atti di costituzione di Vinciguerra Franco ed altri, del
comune di Boville e della Regione Lazio;
Udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 1994 il giudice
relatore Mauro Ferri;
Uditi gli avvocati Alessandro Pace per Vinciguerra Franco ed
altri, Giorgio Marino per il comune di Boville, e Achille Chiappetti
per la regione Lazio.
costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge della regione
Lazio 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla successiva legge
regionale 20 agosto 1987 n. 49, per contrasto con l’art. 133, secondo
comma, della Costituzione, nella parte in cui non diversifica il
procedimento referendario per l’istituzione di nuovi comuni a seconda
che si tratti di distacco di una o più frazioni ovvero di vero e
proprio smembramento della originaria comunità.
2. – Il giudice remittente premette che avanti a sé è stato
impugnato il decreto di sospensione della indizione dei comizi
elettorali del comune di Marino, quale primo atto inteso a dare
esecuzione alla istituzione autonoma del comune di Boville, per
separazione da quello di Marino, prospettando tra gli altri motivi,
la violazione dell’art. 133, secondo comma, della Costituzione, da
parte dell’art. 1, comma secondo, lett. a), della legge regionale
Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (con conseguente illegittimità derivata
del decreto prefettizio impugnato), in quanto sono stati chiamati ad
esprimersi sul referendum soltanto i cittadini residenti nelle
frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.
3. – Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del
Lazio ritiene che il problema di legittimità costituzionale si
incentri tutto sulla locuzione “popolazioni interessate”, dettata
dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se queste siano
solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune già
costituito, ovvero se si debba intendere tutta la popolazione
dell’originario ente locale, chiamata, nel caso in esame, a
consentire o meno lo smembramento del Comune.
Entrerebbero in gioco due principi ordinamentali entrambi
rinvenienti da norme costituzionali: quello della cosiddetta
autodeterminazione, per il quale un soggetto o un gruppo può
scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e
quello della volontà della maggioranza di una collettività, per il
quale la modifica di qualsiasi elemento costitutivo deve essere
deciso dal maggior numero dei soggetti che partecipano della
originaria composizione; il tutto trasfuso nell’altro principio
ordinamentale, di carattere fondamentale, per il quale gli enti
locali sono, sì autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni
loro decisione deve pur sempre rapportarsi agli interessi della
comunità organizzata in ordinamento sovrano.
4. – Ove quindi si ricerchi il quid intermediationis, prosegue il
TAR del Lazio, cioè il delicato punto di equilibrio ordinamentale
nel quale entrambe le esigenze della collettività prima evidenziate
possono trovare composizione satisfattiva, occorre considerare che i
gruppi organizzati di carattere pubblico, come nella specie gli enti
locali di carattere comunale, sono tali perché i singoli soggetti
che ne fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza più o meno
intensa, che non è mai solo l’elemento oggettivo del territorio ma
che si connette ad usi, costumi, dialetti, cemento storico, comunanze
geografiche, coerenza sociale, costumanze religiose, specificità
folcloristiche, ecc., per cui il “gruppo sociale” prima di essere
tale, si “sente” tale e la sovrapposizione istituzionale finisce
soltanto per dare riconoscimento ad una realtà già aggregata.
Se questo è probabilmente il dato di base, è fuori discussione
che l’ordinamento nazionale, nella ricerca di quel consenso che forma
e rafforza il suo prestigio e la sua vitalità, non può che favorire
movimenti al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare
le singole strutture sociali di cui esso di compone.
Non, quindi, qualsiasi richiesta di qualsiasi gruppo in qualsiasi
momento può essere presa in considerazione per smembrare unità
sociali che presentano caratteri di compattezza, ma soltanto quelle
richieste che sono collegate con un gruppo che ha una nitida
differenziazione complessiva che lo rende già di per sé autonomo,
come è potuto accadere per il recente scorporo del Comune di
Fiumicino dal Comune di Roma, dove era evidente il rapporto puramente
amministrativo che collegava le due comunità.
In casi del genere, prosegue il remittente, è fuori discussione
che basta la manifestazione della volontà del gruppo che intende
distaccarsi; questo è già esistente come fatto sociologicamente
distinto, è collegato con un’area geografica eccentrica rispetto al
capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui
l’autonomia amministrativa non può che discendere dalla volontà
degli autonomisti, potendosi vanificare un fatto naturale per una
questione di maggioranza già di per sé precostituita, nel caso si
ammettesse al voto l’intera cittadinanza.
Diverso sarebbe invece il caso, come nel Comune di Marino,
allorquando la richiesta di distacco non proviene da una precisa e
ben identificata (per elementi storico-sociali propri) comunità di
cittadini, ma scaturisce invece dall’interno della stessa comunità,
da parte di quasi i due terzi dei cittadini dell’originaria
comunità, perché in questo caso non si tratta di far conseguire
l’autonomia ad un gruppo che già la possiede, ma si tratta invece di
operare lo smembramento di una collettività organica, determinando,
essa sì, una suddivisione che può essere artificiale e che, quindi,
l’ordinamento ha interesse ad evitare.
5. – È intervenuto nel giudizio il Presidente della Giunta
regionale del Lazio concludendo per l’inammissibilità, o comunque
per l’infondatezza, della questione.
Quanto all’inammissibilità, la Regione sostiene che la questione
mira a richiedere alla Corte una decisione “manipolativa” al fine di
introdurre una norma che il legislatore regionale non aveva ritenuto
opportuno adottare: con ciò denunciando un vizio di merito della
legge ma non un vizio di legittimità costituzionale.
6. – Sarebbe comunque evidente l’infondatezza della questione,
prosegue la Regione, in quanto la legge impugnata consente alla
popolazione interessata al processo di autonomia di esprimere
adeguatamente il proprio parere sul procedimento per l’istituzione
del nuovo Comune, poiché essa, a tali fini, deve coincidere con la
popolazione che viene direttamente coinvolta dalla nuova istituzione.
Nel caso non potrebbe porsi in dubbio che la popolazione direttamente
interessata coincide con la popolazione residente nei territori che
formeranno il nuovo Comune.
Gli argomenti prospettati dal giudice a quo non potrebbero essere
condivisi poiché con essi il remittente sembra preoccuparsi di
estendere il più possibile il suffragio anche a popolazioni che
potrebbero solo subire una mera influenza dall’istituzione di un
nuovo Comune.
7. – Si è costituito in giudizio il Comune di Boville, in persona
del commissario prefettizio protempore, concludendo per
l’inammissibilità e per l’infondatezza della questione.
Dopo aver premesso alcune considerazioni sulla legittimazione ad
agire dei ricorrenti e sul loro interesse a proporre il ricorso
avanti il TAR remittente, il Comune di Boville richiama la sent. n.
453 del 1989 della Corte per concludere che il diritto costituzionale
di autodeterminazione spetta esclusivamente agli elettori residenti
nell’area territoriale oggetto della variazione, e non alla
popolazione di tutto il Comune da trasformare. Fermo restando,
sottolinea il Comune, che anche accertata la effettiva volontà della
popolazione, il potere di costituire o meno nuovi enti locali spetta
comunque alla Regione quale atto di responsabilità socio-politica
derivante dall’art. 117 della Costituzione.
8. – Si sono altresì costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo
concludendo per la fondatezza della sollevata questione, nonché
instando, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, per la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale in via conseguenziale della legge
della Regione Lazio n. 56 del 1993, istitutiva del nuovo Comune di
Boville.
Dopo aver richiamato le conclusioni raggiunte dalla sent. n. 453
del 1989 della Corte, i ricorrenti affermano che l’indicazione
univoca che scaturisce dalla sentenza è nel senso che l’ambito di
popolazione da consultare a mezzo di referendum va determinato in
relazione all’entità della modifica territoriale da attuare.
Una cosa sarebbe la erezione a Comune autonomo (o l’aggregazione
ad altro Comune) di una piccola frazione di un grande Comune, altro
è, invece, l’erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del
territorio di un Comune preesistente, come avviene nel caso del
Comune di Marino.
Nel primo caso sarebbe evidente che l’entità della variazione è
tale da lasciare sostanzialmente integra l’identità non solo
storico-politica, ma anche territoriale, del Comune, ben potendosi
ritenere che concretamente “interessata” alla costituzione del nuovo
Comune sia esclusivamente quella piccola entità di popolazione che
dovrebbe distaccarsi.
Nel secondo caso, invece, il Comune preesistente sarebbe scosso
nelle sue fondamenta, in quanto la dimensione territoriale di esso
(se non, addirittura, la stessa sua identità storico-politica)
verrebbe profondamente incisa, potendo subire (in caso di esito
positivo del referendum) una trasformazione quantitativa di tale
entità da divenire qualitativa. In tale ipotesi la popolazione
“interessata” ad esprimere il proprio giudizio sarebbe, allora,
l’intera popolazione del comune preesistente. Nessun membro di tale
popolazione potrebbe dirsi indifferente rispetto ad un processo di
trasformazione così radicale.
9. – Infine, i ricorrenti rilevano che una volta espunto
dall’ordinamento l’art. 1, secondo comma, lett. a), della legge
Regionale n. 19 del 1980, non potrebbe più essere applicata la legge
Regionale n. 56 del 1993, istitutiva del nuovo Comune di Boville,
perché priva dei suoi presupposti giustificativi e dei suoi
referenti normativi. Tale ultima disposizione costituirebbe infatti,
un provvedimento legislativo meramente applicativo delle norme di
legge sopra richiamate, che disciplinano il procedimento che ha dato
origine alla legge n. 56 del 1993.
Tuttavia, sottolineano i ricorrenti, la dichiarazione di
illegittimità costituzionale della legge Regionale n. 56 del 1993
riveste una importanza decisiva dal punto di vista processuale,
poiché, una volta accolta la questione di legittimità
costituzionale così come formalmente sollevata (con conseguente
declaratoria d’incostituzionalità della sola legge Regionale n. 19
del 1980), il giudice a quo dovrebbe, all’esito di questo primo
giudizio, richiedere un nuovo intervento della Corte affinché, sulla
base della prima sentenza, ne deduca esplicitamente tutte le
conseguenze logiche, in punto d’incostituzionalità della legge
Regionale n. 56 del 1993.
Pertanto, concludono i ricorrenti, sia per esigenze di economia
processuale, sia perché a ciò non osterebbe nessuna ragione di
ordine formale o sostanziale – essendo la questione della legge
Regionale n. 56 del 1993 “derivativa” rispetto alla prima e,
soprattutto, ictu oculi rilevante per lo svolgimento del processo a
quo – ben potrebbe questa Corte dichiarare l’illegittimità
costituzionale, in via conseguenziale, della legge Regionale n. 56
del 1993.
10. – Con successive memorie, depositate in prossimità
dell’udienza pubblica, la Regione Lazio, il Comune di Boville, e i
ricorrenti nel giudizio a quo, hanno ulteriormente illustrato e
ribadito le tesi precedentemente svolte.
costituzionale dell’art. 1, secondo comma, lett. a), della legge
della Regione Lazio 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla
successiva legge regionale 20 agosto 1987 n. 49, per contrasto con
l’art. 133, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non
diversifica il procedimento referendario per l’istituzione di nuovi
Comuni a seconda che si tratti di distacco di una o più frazioni
ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comunità.
2. – Il giudice remittente premette che avanti a sé, con due
ricorsi successivamente riuniti, sono stati impugnati: il decreto di
sospensione della indizione dei comizi elettorali del Comune di
Marino, quale primo atto inteso a dare esecuzione alla istituzione
del Comune di Boville per separazione da quello di Marino, nonché il
decreto di nomina del Commissario prefettizio per la provvisoria
amministrazione del nuovo Comune.
Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del Lazio
ritiene che la norma impugnata si ponga in contrasto con il
richiamato art. 133, secondo comma, della Costituzione in quanto sono
stati chiamati ad esprimersi sul referendum consultivo soltanto i
cittadini residenti nelle frazioni da distaccare e non tutti i
cittadini di Marino. Il problema di legittimità costituzionale si
incentrerebbe quindi sulla locuzione “popolazioni interessate”,
dettata dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se
queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da
un Comune già costituito ovvero se, nel caso in esame, si debba
intendere tutta la popolazione dell’originario ente locale,
interessata a consentire o meno la scissione del Comune.
Ad avviso del remittente la questione assumerebbe rilevanza nel
giudizio in quanto “soltanto la declaratoria d’incostituzionalità
della norma suddetta può portare all’accoglimento dei ricorsi,
avendo la Regione Lazio posto in essere il procedimento referendario
di istituzione del Comune di Boville sulla base della sopraindicata
norma legislativa”.
3. – La questione è inammissibile.
Preliminarmente si deve rilevare che tutte le eccezioni sollevate
dal Comune di Boville, in ordine all’insussistenza dell’interesse ad
agire o di altre condizioni dell’azione proposta dai ricorrenti
avanti il TAR del Lazio, non possono avere ingresso nel presente
giudizio in quanto tali accertamenti rientrano nell’apprezzamento del
giudice di merito e non sono soggetti a controllo nel giudizio di
costituzionalità (cfr. sentt. n. 70 del 1960, n. 168 del 1987).
Ciò posto, occorre considerare che il TAR del Lazio ha impugnato
la sola norma di legge regionale disciplinante il referendum
consultivo per il procedimento istitutivo di nuovi Comuni
(nell’ipotesi di scorporo da aree comunali di più vasta dimensione),
ma ha omesso di estendere la questione di legittimità costituzionale
anche alla legge della Regione Lazio n. 56 del 1993 che ha istituito
il Comune di Boville, e che costituisce l’atto finale del
procedimento previsto dal secondo comma dell’art. 133 della
Costituzione.
Ne consegue che ove anche, in ipotesi, fosse dichiarata
l’illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata,
resterebbe comunque in vigore la legge regionale n. 56 del 1993 che
sorregge direttamente i provvedimenti amministrativi oggetto del
giudizio a quo (cfr. per analoga fattispecie: sent. n. 154 del 1994),
e che, naturalmente, il giudice amministrativo non può disapplicare.
Né, come auspica il “Comitato Città di Marino” costituito avanti
questa Corte, può essere utilizzato lo strumento offerto dall’art.
27 della Legge 11 marzo 1953 n. 87, ai fini della declaratoria
d’illegittimità conseguenziale della legge regionale n. 56 del 1993,
in quanto tale norma consente di dichiarare soltanto quali altre
disposizioni legislative divengono costituzionalmente illegittime in
conseguenza della decisione adottata, ma non certo di sanare, o, come
nel caso in esame, di “completare” i termini di una questione ai fini
della sua rilevanza. Donde, conclusivamente, l’inammissibilità, per
irrilevanza ai fini del decidere, della questione così come
formalmente prospettata nell’ordinanza di rimessione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio
8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla legge della Regione Lazio
20 agosto 1987 n. 49, sollevata, in riferimento all’art. 133, secondo
comma, della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: FERRI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA