N. 47 del 1962
Data generale
07/06/1962
Data deposito/pubblicazione
07/06/1962
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/05/1962
GASPARE AMBROSINI – Dott. MARIO COSATTI – Prof. FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI – Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO –
Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Dott. ANTONIO MANCA –
Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI –
Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,
del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, e degli artt. 216, 217 e 218 del
R.D. 16 marzo 1942, n. 267, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 novembre 1960 dal Pretore di Venezia nel
procedimento penale a carico di Pasqualetto Umberto e Pasqualetto
Eucherio, iscritta al n. 28 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961;
2) ordinanza emessa il 13 maggio 1961 dalla Corte d’appello di
Bologna nel procedimento penale a carico di Mastrandrea Sebastiano,
iscritta al n. 89 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 29 luglio 1961.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 4 aprile 1962 la relazione del
Giudice Giuseppe Castelli Avolio:
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso del procedimento penale pendente dinanzi al Pretore
di Venezia a carico di Pasqualetto Umberto e Pasqualetto Eucherio,
imputati, fra l’altro, dei reati di cui all’art. 116 del R.D. 21
dicembre 1933, n. 1736 (emissione di assegni a vuoto), ed all’art. 2I7
del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (bancarotta semplice), la difesa eccepì
la illegittimità costituzionale dei detti articoli, in relazione agli
artt. 76 e 77 della Costituzione.
Il Pretore, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la
questione, con ordinanza 15 novembre 1960, sospendeva il giudizio,
rinviando gli atti alla Corte costituzionale.
Nell’ordinanza il Pretore rileva che i decreti legislativi n. 1736
del 1933 e n. 267 del 1942 furono emanati in virtù della delega
contenuta nelle leggi 30 dicembre 1923, n. 2814, e 4 giugno 1931, n.
659, le quali non prevedevano l’emanazione di norme penali da parte del
Governo. Si sarebbe così verificato un eccesso dai limiti della delega
– stessa, in contrasto con quanto disposto dall’art. 76 della
Costituzione. Tale vizio, anche se riguardante leggi anteriori alla
entrata in vigore della Costituzione, sarebbe rilevabile in sede di
giudizio di legittimità costituzionale.
L’ordinanza, notificata il 6 dicembre 1960 al Presidente del
Consiglio dei Ministri, è stata comunicata ai Presidenti dei due rami
del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 83 del 1 aprile 1961.
Nessuno si è costituito dinanzi a questa Corte.
2. – Nel corso del procedimento penale pendente davanti alla Corte
d’appello di Bologna a carico di Mastrandrea Sebastiano, imputato dei
delitti di cui agli artt. 216 (bancarotta fraudolenta), 217 (bancarotta
semplice) e 218 (ricorso abusivo al credito) del R.D. 16 marzo 1942, n.
267, la difesa eccepì l’illegittimità costituzionale delle dette
norme per eccesso dall’ambito della delega legislativa, sia per motivi
analoghi a quelli di cui all’ordinanza del Pretore di Venezia, innanzi
menzionata, sia per violazione dell’altro precetto di cui all’art. 76
della Costituzione, secondo cui la legge delegante deve contenere una
limitazione temporale dell’esercizio della potestà delegata, mentre
nessuna limitazione del genere sarebbe stabilita nelle richiamate leggi
di delega.
La Corte d’appello, con ordinanza 13 maggio 1961, dichiarava
manifestamente infondata la prima questione, ma non la seconda, che
riteneva di sottoporre alla Corte costituzionale nei termini enunciati
dalla difesa del Mastrandrea.
L’ordinanza, notificata il 20 maggio 1961 al Presidente del
Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del
Parlamento, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 187 del 29
luglio 1961.
3. – In questa seconda causa si è costituito il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato.
L’Avvocatura rileva, preliminarmente, che nell’ordinanza di rinvio
la Corte d’appello di Bologna, nell’enunciare i termini della questione
di legittimità costituzionale sottoposta alla Corte, ha fatto
specifico riferimento solo all’art. 2 della legge 30 dicembre 1923, n.
2814, ed all’articolo unico della legge 4 giugno 1931, n. 659.
L’art. 2 suddetto riguarderebbe soltanto l’obbligo per il Governo
di sottoporre il progetto del decreto contenente il nuovo Codice di
commercio al parere delle competenti Commissioni parlamentari, e la
legge n. 659 del 1931, a sua volta, riguarderebbe soltanto la facoltà
del Governo di pubblicare separatamente singoli libri o titoli del
Codice stesso. Risultando osservati i detti incombenti, inconferente
sarebbe il richiamo alle norme indicate nell’ordinanza di rinvio.
Comunque l’Avvocatura, nel caso potessero superarsi questi rilievi
– in ordine ai quali, peraltro, non formula specifiche conclusioni -,
osserva, nel merito, che la questione è infondata, poiché, in materia
di sindacato di legittimità costituzionale per eccesso di delega di
provvedimenti legislativi anteriori alla Costituzione, occorre
richiamarsi ai principi vigenti per il precedente ordinamento
costituzionale dello Stato. E fra tali principi non vi sarebbe quello
della prefissione di un termine da parte del legislatore delegante al
legislatore delegato, così come dovrebbe argomentarsi ex art. 3, n. 1,
della legge n. 100 del 31 gennaio 1926, ed in base alla sentenza della
Corte costituzionale 24 gennaio 1957, n. 37, la quale avrebbe
sostanzialmente identificato i detti principi soltanto nell’obbiettiva
esistenza della delega e nell’obbligo per il Governo di mantenersi nei
limiti da questa segnati.
La proposta questione dovrebbe, pertanto, essere dichiarata
infondata.
1. – Le due cause, per identità di oggetto, vanno riunite e decise
con unica sentenza.
2. – Non ha importanza il rilievo, in ordine al quale la stessa
Avvocatura dello Stato non ha inteso formulare specifiche conclusioni,
che nell’ordinanza della Corte d’appello di Bologna siano stati
erroneamente citati gli articoli di legge che hanno dato luogo alla
questione di legittimità costituzionale devoluta al giudizio di questa
Corte. Si tratti di mero errore materiale o propriamente di errore, a
giudizio della Corte ciò non rileva quando, come nel caso in esame,
chiari, e per giunta semplici, sono i termini della questione. Nella
sua ordinanza, infatti, la Corte d’appello di Bologna precisa siffatti
termini, riferendosi ad una “mancata osservanza del principio
costituzionale secondo cui la legge delegante deve contenere una
limitazione temporale della delega stessa”. Nel senso della non
importanza dell’erronea citazione degli articoli di legge ritenuti
costituzionalmente illegittimi, quando però è chiaro qual’è la
questione di costituzionalità da decidere, è costante la
giurisprudenza di questa Corte (vedi, fra le altre, le sentenze 22
gennaio 1957, n. 28; 4 luglio 1957, n. 122).
3. – La questione sollevata dalla Corte d’appello di Bologna deve
essere per prima esaminata, perché decisiva ed assorbente rispetto
alla questione sollevata dal Pretore di Venezia, che è circoscritta
all’esame della legittimità o meno delle disposizioni penali in
materia di bancarotta semplice e di emissione di assegni a vuoto per
assunto eccesso dalla delega legislativa. Infatti, qualora quella
questione fosse fondata, cadrebbero tutte le disposizioni della legge
delegata, e con esse le disposizioni cui si riferisce il Pretore di
Venezia, e sarebbe, quindi, frustraneo passare all’esame dell’eccesso
dalla delega da quest’ultimo denunciato.
Ma la detta questione non ha fondamento.
La Corte costituzionale nell’ammettere il sindacato di legittimità
sulle leggi delegate anteriori alla Costituzione ha precisato che la
sua indagine deve essere rivolta all’accertamento dell’esistenza della
delega legislativa e della limitazione, posta al Governo ed insita
nella delega, di mantenersi entro i confini della medesima (sentenza 24
gennaio 1957, n. 37). Con la sentenza dell’11 luglio 1961, n. 53, ha
riaffermato l’ammissione del sindacato di legittimità costituzionale
sulle leggi delegate anteriori alla Costituzione, ed ha precisato che
ciò deve avvenire in riferimento non alle norme della Costituzione in
materia, bensì ai “principi generalmente validi in tutti gli
ordinamenti in cui viga la divisione dei poteri”. Di questo criterio la
Corte faceva puntuale applicazione, negando che potesse essere motivo
di illegittimità di una legge di delegazione anteriore alla
Costituzione l’inosservanza di questa o quella norma dell’art. 76 della
Costituzione, “segnatamente di quelle che impongono la determinazione
di principi: o criteri direttivi o la fissazione di un termine di
tempo”. E tale pronuncia va confermata.
4. – Nemmeno fondata è la questione proposta dal Pretore di
Venezia, circa l’eccesso dalla delega, sul riflesso che le leggi
deleganti non prevedevano l’emanazione di norme penali
Anche tale questione è stata varie volte esaminata da questa Corte
e ritenuta non fondata, e segnatamente con la ricordata sentenza
dell’11 luglio 1961, n. 53. Con questa, infatti, la Corte a proposito
proprio dell’art. 116 del R.D. 21 dicembre 1933; n. 1736, che è
l’articolo sul quale si è soffermato il Pretore di Venezia e che
riguarda la sanzione penale per la emissione di assegni a vuoto, ebbe
espressamente ad escludere che la mancanza di esplicita menzione nella
norma delegante dell’adozione di disposizioni penali non abbia dato al
Governo il potere di includere nel nuovo Codice quelle disposizioni,
giacché “l’ampia formula della delegazione, la circostanza che il
Codice di commercio già prevedesse e punisse, sia pure con diverse
previsioni, i reati connessi con la materia degli assegni bancari, e la
necessità di armonizzare queste norme con i criteri e gli orientamenti
del nuovo Codice penale, consentivano di affermare che il legislatore
delegato non aveva travalicato i limiti della delega concessagli”.
Questi principi, che qui vanno riaffermati, sono integralmente
applicabili in riferimento anche all’altra disposizione citata dal
Pretore di Venezia, ossia l’art. 217 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267,
riguardante la bancarotta, giacché la legge di delegazione in base
alla quale fu emanato il detto decreto, contenente le disposizioni sul
fallimento, è la stessa legge presa in considerazione nella richiamata
sentenza di questa Corte. Di più, la materia dei reati fallimentari
era già contemplata nei precedenti codici che prevedevano e punivano
la bancarotta semplice e fraudolenta, sia pure sotto aspetti e con
sanzioni in parte diversi da quelli riscontrabili nella legge
fallimentare attuale, ma in modo equivalente e con corrispondenza delle
pene.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riunisce i due giudizi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate:
– la questione di legittimità costituzionale degli artt. 216, 217
e 218 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, proposta dalla Corte d’appello di
Bologna, con ordinanza 13 maggio 1961, in riferimento all’art. 76 della
Costituzione;
– la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116 del
R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, e del citato art. 217 del R.D. 16 marzo
1942, n. 267, proposta dal Pretore di Venezia, con ordinanza 15
novembre 1960, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale Palazzo
della Consulta, il 29 maggio 1962.
GIUSEPPE CAPPI – GASPARE AMBROSINI –
MARIO COSATTI – FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI – GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO –
ANTONINO PAPALDO – NICOLA JAEGER –
GIOVANNI CASSANDRO – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI.