Sentenza N. 47 del 1968
Corte Costituzionale
Data generale
16/05/1968
Data deposito/pubblicazione
16/05/1968
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/04/1968
BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE
MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI, Giudici,
a) di legittimità costituzionale:
1) dell’art. 1, comma secondo, della legge 19 maggio 1967, n. 356
(proroga dell’addizionale pro Calabria istituita con l’art. 18 della
legge 26 novembre 1955, n. 1177);
2) dell’art. 1, comma secondo, del D.L. 11 dicembre 1967, n. 1132
(proroga dell’addizionale istituita con l’art. 80, primo Comma, del
D.L. 18 novembre 1966, n. 976);
3) della legge 7 febbraio 1968, n. 27, nella parte che sostituisce
il secondo comma dell’art. 1 del D.L. 11 dicembre 1967, n. 1132;
promossi con tre ricorsi della Regione siciliana notificati,
rispettivamente, il 10 luglio 1967, il 5 gennaio 1968 ed il 6 marzo
1968, depositati in cancelleria il 13 luglio 1967, il 10 gennaio 1968
ed il 9 marzo 1968, ed iscritti ai nn. 21 del Registro ricorsi 1967, 1
e 6 del Registro ricorsi 1968; b) di conflitti di attribuzione tra lo
Stato e la Regione siciliana sorti a seguito:
1) del telegramma del Ministero delle finanze n. 04112403388, con
cui si dispone che l’aumento dell’addizionale E.C.A. di cui alla legge
10 dicembre 1961, n. 1346, deve continuare ad affluire alle casse
erariali;
2) della circolare dell’Assessore per le finanze della Regione
siciliana 28 febbraio 1967, n. 7397, avente ad oggetto la spettanza del
provento derivante dall’applicazione della legge 10 dicembre 1961, n.
1346;
3) della circolare dell’Assessore per le finanze della Regione
siciliana 23 dicembre 1967, n. 3240, avente ad oggetto la spettanza del
provento derivante dall’applicazione del D.L. 11 dicembre 1967, n.
1132;
promossi, rispettivamente, con ricorso della Regione siciliana,
notificato il 26 maggio 1967, depositato in cancelleria il 1 giugno
successivo ed iscritto al n. 19 del Registro ricorsi 1967, e con due
ricorsi del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificati il 24
giugno 1967 ed il 16 febbraio 1968, depositati in cancelleria il 3
luglio 1967 ed il 27 febbraio 1968 ed iscritti ai nn. 20 del Registro
ricorsi 1967 e 5 del Registro ricorsi 1968.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri e della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 1 aprile 1968 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
uditi gli avvocati Antonio Sorrentino, Pietro Virga ed Enzo
Silvestri, per la Regione siciliana, ed i sostituti avvocati generali
dello Stato Giuseppe Guglielmi e Umberto Coronas, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
1. – Con circolare 28 febbraio 1967, n. 7397, diretta alle
Intendenze di finanza della Sicilia, l’Assessore per le finanze della
Regione siciliana, disponeva che il provento derivante e riservato allo
Stato dalla legge 10 dicembre 1961, n. 1346 (estensione
dell’addizionale E.C.A. ed aumento del 5 per cento) fosse versato alle
casse regionali a datare dal marzo 1967.
Contro questa circolare il 3 luglio 1967 ha depositato un ricorso
per regolamento di competenza il Presidente del Consiglio dei Ministri
contestando alla Regione, sugli artt. 20 e 36 dello Statuto siciliano,
la potestà legislativa o amministrativa in materia di riscossione dei
tributi erariali (anche se dovuti ad essa) e con ciò il potere di
derogare alla predetta legge statale. Nel merito l’Avvocatura dello
Stato, che difende il Presidente del Consiglio, ricorda come
l’addizionale sia una imposta nuova destinata alla copertura di oneri
continuativi dello Stato, al quale spetterebbe anche dopo il 1965
proprio in virtù della riserva contenuta nell’art. 2 del D.P.R. 26
luglio 1965, n. 1074 (norme di attuazione in materia tributaria). Nella
memoria depositata il 27 febbraio 1968 l’Avvocatura precisa il suo
pensiero: l’aumento dell’addizionale costituiva entrata nuova rispetto
al bilancio del 1947-48; in questo senso essa è rimasta allo Stato con
l’art. 2 delle norme d’attuazione; il cui art. 6, lasciando in vita le
leggi statali, ha mantenuto il vigore della norma (art. 4 citata legge
1961 n. 1346) che riservava allo Stato quell’aumento.
Frattanto il Ministero delle finanze aveva inviato alle intendenze
della Sicilia il telegramma n. 04112-403388 ordinando che l’aumento
dell’addizionale E.C.A. continuasse ad essere versato nelle casse
erariali; la Regione a sua volta aveva proposto ricorso per conflitto
di competenza; ma la difesa dello Stato replicava con deduzioni
presentate il 10 giugno 1967 precisando che la specifica destinazione
del nuovo tributo, se non risulta dalla legge n. 1346 che lo ha
introdotto, è indicata da “altra legge coeva e collegata”.
La Regione si è costituita, nella prima causa, con deduzioni
depositate il 13 luglio 1967 e, nella seconda, ha depositato il ricorso
il 1 giugno 1967 e una memoria il 16 marzo 1968. Nelle une e nell’altro
afferma che le imposte, il cui gettito le è attribuito, quand’anche
siano erariali, le spettano di diritto, tanto che su di esse ha
potestà legislativa fin dal 1948: su questo punto le norme
d’attuazione (cit. D.P.R. 1965 n. 1074 in vigore dal 1 gennaio 1966)
non hanno innovato e perciò, come risulta anche dagli artt. 6 e 8,
nella materia la Regione ha potestà legislativa e amministrativa;
rileva che proprio queste norme hanno dato alla Regione “tutte le
entrate tributarie erariali riscosse nel suo territorio” tolte quelle
elencate nelle accluse tabelle e le nuove, cioè introdotte dopo il
1965, quando siano destinate, con apposite leggi, alla realizzazione di
particolari finalità statali; che l’estensione e l’aumento
dell’addizionale E.C.A., preesistendo al 1965, non costituiscono nuove
entrate rispetto alle norme d’attuazione: l’art. 6 di queste norme non
significa che restano in vigore le leggi con cui lo Stato si riserva
l’una o l’altra entrata, ma che il trasferimento del tributi erariali
alla Regione non ne muta di per sé la disciplina; conclude che,
comunque, la destinazione di quelle entrate a particolari fini dello
Stato non risulta, come dovrebbe, dalla legge che le ha introdotte né
dalla legge 16 dicembre 1961, n. 1308; il cui art. 7 a proposito del
nuovo trattamento economico dei magistrati, si richiama, sì,
all’aumento dell’addizionale ma limitatamente ad una parte delle spese
e per il solo anno finanziario 1961-62: del resto, mentre per queste
particolari esigenze si prevedevano aumenti di circa 4 miliardi e
mezzo, l’aumento dell’addizionale faceva sperare in un gettito assai
maggiore (circa 60 miliardi).
2. – Analoga questione è sorta a proposito dell’art. 1 della legge
19 maggio 1967, n. 356, che proroga dal 1967 al 31 dicembre 1972 la
legge 26 novembre 1955, n. 1177, istitutiva dell’addizionale pro
Calabria (art. 18).
La Regione siciliana con ricorso depositato il 13 luglio 1967 ha
impugnato il secondo comma di quell’articolo che riserva allo Stato “il
relativo provento”: non sarebbe imposta nuova quella derivante da una
proroga di un tributo che preesisteva alle norme d’attuazione e che
dopo queste è passata alla Regione; l’addizionale, tributo temporaneo
introdotto per coprire spese temporanee straordinarie, di fatto, negli
ultimi tempi, e formalmente, con la legge impugnata, è divenuta
imposta ordinaria destinata a coprire spese generali: tanto è vero
(si precisa nella memoria depositata il 18 marzo 1968) che il piano pro
Calabria era stato autorizzato solo fino al giugno del 1967; perciò
l’addizionale non essendo diretta a soddisfare particolari finalità
statali, spetta alla Regione e il secondo comma dell’art. 1, che la
riserva allo Stato, sarebbe illegittimo per contrasto con l’art. 36
dello Statuto siciliano.
La difesa dello Stato, con deduzioni depositate dall’Avvocatura
dello Stato il 30 luglio 1967, ha risposto che attraverso la proroga si
sono assicurate “nuove entrate tributarie” per la copertura di quegli
stessi oneri ai quali si provvedeva con la legge prorogata, il cui art.
18, nella legge prorogante, è stato richiamato non a caso; inoltre
nella memoria depositata il 15 marzo 1968, dopo un richiamo alla
sentenza 1967 n. 75 della Corte costituzionale, ha sottolineato che
questi oneri si riferiscono appunto a un piano organico di sistemazione
del terreni della Calabria.
3. – Altre tre cause riguardano l’addizionale straordinaria
istituita con l’art. 80, primo comma, del decreto – legge 18 novembre
1966, n. 976 (convertito in legge 23 dicembre 1966, n. 1142) per
“sopperire agli oneri dipendenti dagli eventi calamitosi di cui al
precedente art. 1”
La Regione ha depositato due ricorsi il 10 gennaio e il 9 marzo
1968 impugnando, per contrasto con l’art. 36 dello Statuto siciliano o
con l’art. 2 del D.P.R. 1965, n. 1074 (norme d’attuazione), il D.L. 11
dicembre 1967, n. 1132 (art. 1), che proroga il tributo “fino a
quando… non verranno applicate nuove imposte sul reddito”, e
l’articolo unico della legge di conversione 7 febbraio 1968, n. 27: le
due norme sarebbero illegittime, la prima, perché riserva all’erario
un’entrata nuova per finalità non specificate; la seconda, perché
avendo convertito in legge la prima, non ne fa cessare rispetto ad essa
la materia del contendere, ma anzi allude a tali finalità con
espressione così generica che non è possibile individuarle e
controllarle: tanto è vero che, come risulta dai lavori preparatori,
la proroga servirebbe a scopi diversi da quelli originari, cioè a
provvidenze di carattere pensionistico, e che il gettito previsto è
superiore alla spesa a cui si riferisce. Comunque il solo fatto che la
proroga serva a fini di carattere ordinario – conclude la Regione nella
memoria depositata il 18 marzo 1968 – basta a rendere illegittima la
legge secondo la giusta interpretazione da dare all’art. 2 delle norme
d’attuazione.
La difesa statale con le deduzioni e la memoria depositate il 24
gennaio, il 15 marzo e il 27 febbraio 1968, risponde che la proroga
dell’addizionale serve agli stessi scopi per cui questa era stata
introdotta (scopi che non occorreva indicare trattandosi di proroga
d’entrata statale preesistente e che ad ogni modo sono stati indicati
nella legge di converzione, dimodoché sarebbe venuta a cessare la
materia del contendere); che l’addizionale, quando fu istituita nel
1966, essendo imposta nuova, restava fuori dai proventi regionali e
perciò ne resta fuori anche la proroga (v. sentenza 1967 n. 146 della
Corte costituzionale); che la finalità, a cui allude, pur non
essendovene bisogno, la legge di conversione, è quella di “far fronte
alle eccezionali esigenze di spesa dello Stato per l’esercizio 1968 e
successivi”: nuove spese che si prevedevano ammontare a circa 175
miliardi (v. relazione al disegno di legge e resoconti della seduta del
15 dicembre 1967).
La terza causa, avente analogo oggetto, è scaturita da un ricorso
per regolamento di competenza che l’Avvocatura, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri, ha depositato il 27 febbraio 1968. In esso si
denuncia la “circolare” 23 dicembre 1967 n. 3240, con cui l’Assessore
per le finanze della Regione siciliana invitava le intendenze a
impartire disposizioni perché il gettito della predetta addizionale
fosse versato nelle casse regionali a datare dal 1 gennaio 1968; la
circolare violerebbe gli artt. 20 e 36 dello Statuto siciliano poiché
dispone in materia che non è di sua competenza (riscossione di tributi
erariali) e su proventi che spettano allo Stato per le ragioni esposte
sopra.
La Regione, con deduzioni depositate il 5 marzo 1968, eccepisce
l’inammissibilità del ricorso sia perché la presunta circolare
sarebbe invece un atto interno, manifestazione di puro desiderio,
insuscettibile di far esplodere un conflitto con lo Stato sia perché
essa semmai violerebbe una legge ordinaria (cioè l’art. 1, secondo
comma, del D.L. 1967, n. 1132, che proroga l’imposta) e non una norma
costituzionale, sia perché questa Corte non potrebbe dichiarare che
l’addizionale spetta allo Stato se prima non ha respinto le denuncie
regionali di incostituzionalità delle leggi che riservano quella
imposta all’erario. Nella memoria depositata il 18 marzo 1968 si
precisa che la riscossione del tributi è di competenza regionale e
viene effettuata da uffici statali per conto della Regione: sì che
questa ha potestà di rivolgere direttive (circolari) a tali uffici e
le leggi ordinarie che riservano alcuni tributi allo Stato non spostano
la “distribuzione costituzionale delle competenze”.
4. – Nella discussione orale si sono riassunte e chiarite le
diverse tesi.
1. – Le sei cause, avendo ad oggetto analoghe questioni, vengono
decise con un’unica sentenza.
2. – Alle prime due ha dato origine un conflitto di competenza
sorto fra Stato e Regione a proposito dell’estensione e dell’aumento
dell’addizionale E.C.A. introdotti con la legge 10 dicembre 1961, n.
1346. Si tratta di proventi tributari che lo Stato rivendicava a sé
col telegramma 04112-403388 diretto dal Ministero delle finanze alle
intendenze della Sicilia e che invece l’Assessore alle finanze della
Regione siciliana, con la circolare 28 febbraio 1967, n. 7397,
disponeva fossero versati nelle casse regionali a datare dal marzo
1967.
La Corte ritiene che spettino alla Regione siciliana.
Infatti le norme d’attuazione (D.P.R. 1965, n. 1074) hanno
riservato allo Stato i proventi compresi nelle tabelle A, B, C, oltre
quelli indicati nell’art. 5, e le nuove entrate tributarie dirette a
soddisfare particolari finalità statali (art. 2). L’aumento e
l’estensione della c.d. addizionale E.C.A. non figurano in quelle
tabelle né costituiscono entrate “nuove” rispetto alle norme di
attuazione. La difesa statale sostiene che l’art. 2 di queste norme
riserva allo Stato tutti i proventi tributari erariali derivanti da
leggi posteriori al bilancio siciliano del 1947-48; ma la tesi non può
essere accolta dato che né quella disposizione né la relazione che
l’accompagna né altri indizi rivelano un qualunque riferimento,
diretto o indiretto, al bilancio 1947-48. Anzi sia la lettera della
legge, che fa perno sulle situazioni quali erano al momento in cui essa
è stata emanata (“tutte le entrate… riscosse nell’ambito… ad
eccezione…”), sia l’analogia con le disposizioni coeve, che, nel
Friuli – Venezia Giulia, riservano allo Stato soltanto i tributi
“disposti successivamente all’entrata in vigore” di esse, dimostrano
come la tendenza fosse quella di sottrarre alle casse regionali solo le
entrate derivanti da leggi posteriori alle norme d’attuazione.
Ne discende l’illegittimità dell’atto di cui al telegramma n.
04112 – 403388 emesso dal Ministro per le finanze e trascritto nella
lettera 5 aprile 1967 n. 1137.
3. – Oggetto della terza causa è invece la proroga c.d.
addizionale pro Calabria avvenuta nel 1967 con riserva allo Stato (art.
1 legge 19 maggio 1967, n. 356) . Il secondo comma di quest’articolo è
stato impugnato dalla Regione perché il provento non sarebbe nuovo,
né diretto a soddisfare quelle particolari finalità statali senza cui
anche le entrate tributarie introdotte dopo il D.P.R. 1965, n. 1074
spetterebbero ad essa.
La denuncia è infondata.
L’addizionale disposta con la legge 1967, n. 356, pur non essendo
un tributo nuovo, è un’entrata tributaria “nuova” dato che sarebbe
mancata se quella legge non ne avesse deciso la proroga: poiché le
norme d’attuazione richiedono la novità del provento, non del tipo di
imposta, sotto quest’aspetto l’addizionale così prorogata rientra fra
quelle che lo Stato può riservare a se stesso.
Per il resto, in verità, la norma impugnata non indica
espressamente l’esigenza particolare al cui soddisfacimento è diretta
l’entrata; ma, con ciò, non si può negare la particolarità dello
scopo che ha ispirato la legge. Infatti l’addizionale è un tipo di
tributo a cui specie negli ultimi tempi l’erario è ricorso normalmente
proprio per “soddisfare particolari finalità”: il che è comprovato,
nel caso da decidere, dalla stessa temporaneità dell’imposizione.
Inoltre là proroga di un’imposta introdotta per un certo scopo, come
è l’addizionale pro Calabria, di regola non può avere altro fine da
quello originario, sì che un’ulteriore specificazione sarebbe
superflua.
La Regione siciliana crede di desumere dai lavori preparatori della
legge che il gettito di questa addizionale non sia più destinato a
fronteggiare le spese per lo sviluppo economico della Calabria; ma essi
convincono piuttosto del contrario: non a caso fu respinta la proposta,
fatta in Senato, di svincolare l’entrata dai nuovi impegni inerenti a
una migliore attuazione della finalità originaria. Di fatto questo e
altri proventi consimili affluiscono a tre capitoli di spesa del
Ministero del tesoro (nn. 3523, 5381, 6036) che servono “a far fronte
ad oneri dipendenti” da leggi in corso: ed appunto, fra tali leggi è
compresa proprio quella che contiene provvedimenti straordinari per la
Calabria (v. art. 19 legge 28 marzo 1968, n. 437).
In realtà, poiché lo Statuto non dà alla Regione, né obbliga a
darle, le entrate tributarie erariali (Corte costituzionale, sentenza
1967 n. 146), di ciò si deve tener conto nell’interpretare le norme
d’attuazione che gliele hanno attribuite. L’art. 2 ha voluto soltanto
evitare che lo Stato, dal 1965, potesse sottrarre alla Regione
maggiorazioni di aliquote o nuove entrate fiscali ordinarie: sotto
questo aspetto è illuminante il raffronto con la norma, diversa ma
ispirata ad analogo intento, del D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, per il
Friuli – Venezia Giulia. Perciò, quando un nuovo provento sia diretto
a soddisfare particolari finalità, non se ne può contestare
l’appartenenza allo Stato. Vale a dire che la norma d’attuazione è
rispettata nella sostanza anche se il collegamento fra l’entrata e la
spesa non sia oggetto d’una esplicita e puntuale preposizione normativa
e se una parte del provento sia impiegato per fini diversi da quello
che ha ispirato la legge istitutiva: infatti la norma di attuazione va
conciliata, da un canto, con lo sfavore corrente per le imposte di
scopo (altrimenti ogni tributo erariale, non essendo a rigore una
imposta di scopo, spetterebbe alla Regione, il che sarebbe in contrasto
con la stessa volontà di quella norma); dall’altro, col potere del
Governo e del Parlamento, una volta assicurata la copertura della
spesa, di impostare il bilancio secondo propri criteri (art. 81 della
Costituzione).
4. – Con ciò è risolta anche l’altra questione che è oggetto
delle ultime tre cause. L’addizionale istituita per un anno con l’art.
80 del D.L. 18 novembre 1966, n. 976, era certamente ‘un’imposta nuova
destinata a sostenere oneri dipendenti da particolari calamità: la
Regione non dubita che in quel periodo essa spettasse allo Stato; ma
rivendica a sé il gettito dello stesso tributo per gli anni
successivi, dato che recentemente se ne è prorogata l’imposizione
oltre il 1967 (D.L. 1967, n. 1132 e sua conversione in legge 7 febbraio
1968, n. 27). Senonché, trattandosi di proroga d’un’imposta di scopo
ed essendo richiamata nel secondo testo normativo la destinazione “a
soddisfare particolari finalità” statali, non si può che ripetere
quanto s’è detto dell’addizionale pro Calabria: il provento non deriva
da un tributo ordinario e perciò spetta allo Stato. Poco importa poi
se le somme vengano impiegate per affrontare calamità naturali od
altre esigenze (pensioni di guerra).
Ne discende che la questione di legittimità costituzionale delle
norme di proroga con riserva allo Stato è priva di fondamento. Invece
deve essere accolto il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio
contro la circolare 23 dicembre 1967, n. 3240, dell’Assessore regionale
per le finanze; ricorso ammissibile perché la circolare, essendo stata
indirizzata a organi dello Stato di cui la Regione si avvale, è atto
di rilevanza esterna che ha fatto sorgere un conflitto d’attribuzione:
l’Assessore infatti asserisce che “l’entrata in parola… deve
ritenersi di spettanza regionale” e invita le intendenze a disporre che
“il gettito… venga versato nella cassa della Regione”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate:
a) la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
secondo, legge 19 maggio 1967, n. 356 (proroga dell’addizionale pro
Calabria), proposta con ricorso depositato il 13 luglio 1967 dalla
Regione siciliana, in riferimento all’art. 36 dello Statuto e in
relazione agli artt. 1 e 2 del D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (norme
d’attuazione in materia finanziaria);
b) le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
secondo, D.L. 11 dicembre 1967, n. 1132, e dell’articolo unico legge di
conversione 7 febbraio 1968, n. 27 (proroga dell’addizionale per eventi
calamitosi del 1966) proposte, con ricorsi depositati il 10 gennaio e
il 9 marzo 1968 dalla Regione siciliana, in riferimento all’art. 36
dello Statuto e in relazione all’art. 2 del D.P. R. 26 luglio 1965, n.
1074 (norme d’attuazione in materia finanziaria);
dichiara inoltre che spetta allo Stato di far proprie le entrate
derivanti dai citati D.L. 11 dicembre 1967, n. 1132, e legge 7
febbraio 1968, n. 27, ed annulla pertanto la circolare 23 dicembre
1967, n. 3240, diretta dall’Assessore per le finanze della Regione
siciliana alle intendenze della Sicilia;
dichiara infine che spetta alla Regione siciliana far proprie le
entrate derivanti dall’estensione e dall’aumento dell’addizionale
E.C.A. disposti con la legge 10 dicembre 1961, n. 1346, e pertanto
annulla l’atto di cui al telegramma 04112 – 403388 (diretto dal
Ministero delle finanze alle intendenze della Sicilia e trascritto
nella lettera 5 aprile 1967 n. 1137) e respinge il ricorso depositato
il 3 luglio 1967 dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1968.
ALDO SANDULLI – BIAGIO PETROCELLI –
ANTONIO MANCA – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI.