N. 48 del 1962
Data generale
07/06/1962
Data deposito/pubblicazione
07/06/1962
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/05/1962
MARIO COSATTI – Prof. FRANCESCO PANTALEO GABRIELI – Prof. GIUSEPPE
CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici.
comma, del T.U. 16 maggio 1960, n. 570, promosso con ordinanza emessa
il 12 giugno 1961 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a
carico di Maccauso Antonio, iscritta al n. 115 del Registro ordinanze
1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del
9 settembre 1961.
Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio
dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica dell’11 aprile 1962 la relazione del
Giudice Giovanni Cassandro;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso di un giudizio penale d’appello celebrato davanti al
Tribunale di Catanzaro contro il signor Antonio Maccauso, imputato del
reato previsto e punito dall’art. 93 del T.U. delle leggi elettorali 16
maggio 1960, n. 570, fu sollevata la questione di legittimità
costituzionale dell’ultimo comma dell’art. 102 del medesimo T.U., che
esclude l’applicabilità ai reati elettorali del beneficio della
sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna
nel certificato del casellario giudiziale, in relazione agli artt. 3 e
27 della Costituzione. La medesima questione era stata sollevata nel
giudizio di primo grado davanti al Pretore di Borgia, ma era stata
ritenuta da questo Pretore manifestamente infondata.
Il Tribunale di Catanzaro, invece, con ordinanza 12 giugno 1961,
accoglieva la richiesta dell’appellante, osservando che “la questione
non è infondata in quanto i benefici che il Codice penale
espressamente prevede, pur essendo rimessi al potere discrezionale del
giudice, presuppongono una valutazione della personalità dell’imputato
(art. 164 Cod. pen.). La sospensione condizionale della pena è ammessa
allorché il giudice presume che il colpevole si asterrà dal
commettere ulteriori reati. Scopo di tale norma è quello di evitare
che un incensurato che può essere ricuperato alla società e
rieducato, debba essere ristretto in carcere, in un ambiente cioè non
sufficientemente idoneo al ricupero e alla rieducazione”.
L’ordinanza fu notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri,
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e pubblicata,
per disposizione del Presidente della Corte costituzionale, nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 225 del 9 settembre 1961.
2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall’Avvocatura
generale dello Stato, depositando le sue deduzioni il 14 luglio 1961,
nelle quali ha concluso perché siano dichiarate infondate le questioni
di legittimità costituzionale promosse con l’ordinanza del Tribunale
di Catanzaro.
Osserva l’Avvocatura che la sospensione condizionale della pena in
tanto è applicabile, in quanto sussista la condizione che il soggetto
condannato non sia pericoloso, e che, nel caso, il legislatore presume
la qualità di persona pericolosa in colui il quale ha commesso un
reato elettorale. Considerazioni connesse con queste espone per quanto
concerne il beneficio della non menzione della condanna nel certificato
del casellario giudiziale, dopo aver sollevato l’eccezione della
rilevanza della relativa questione rispetto al giudizio principale e
dopo aver manifestato dei dubbi sulla ammissibilità di una pronuncia
in proposito, basata sulla applicazione della norma contenuta nell’art.
27, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
3. – Nella pubblica udienza dell’11 aprile l’Avvocatura dello Stato
ha insistito nelle conclusioni già prese, rimettendosi alle
argomentazioni già svolte negli scritti defensionali.
1. – L’Avvocatura dello Stato ha eccepito che la questione di
legittimità costituzionale della non menzione della condanna nel
certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati
non fosse rilevante nel giudizio a quo, sul fondamento che “la censura
della mancata applicazione del beneficio” non sarebbe stata dedotta con
uno specifico motivo d’impugnazione: di qui la conseguenza che il
giudice di secondo grado si sarebbe trovato nella impossibilità di
concedere di sua iniziativa il beneficio. L’eccezione non può essere
accolta. La giurisprudenza consolidata di questa Corte ha ripetutamente
chiarito quali siano i limiti che incontra un esame da parte sua della
fondatezza del giudizio di rilevanza che è di competenza del giudice a
quo, segnatamente nei casi nei quali esso attenga all’estensione della
competenza e all’esercizio dei poteri spettanti all’autorità
giurisdizionale che solleva la questione di legittimità.
Pertanto la Corte deve esaminare tanto l’ora enunciata questione,
quanto l’altra dell’inapplicabilità ai reati elettorali della
sospensione condizionale della pena.
2. – Tutte e due le questioni non sono fondate sia nei confronti
dell’art. 3, sia nei confronti dell’art. 27 della Costituzione. La
Corte ha più volte enunciato che il principio di eguaglianza
consacrato nell’art. 3 non impedisce al legislatore ordinario di
regolare con norme speciali situazioni speciali, sempre che il
regolamento di queste situazioni non urti contro gli espliciti divieti
di quel medesimo articolo, e non sia manifestamente arbitrario o
irrazionale. Ora non può davvero dirsi che negare l’applicabilità ai
reati elettorali dei due benefici sopra ricordati concreti un caso nel
quale la discrezionalità del legislatore si tramuti in arbitrio,
essendo ovvi i motivi che possono averlo indotto a ritenere opportuno
un trattamento differenziato per i reati elettorali, sia per la natura
della materia alla quale essi si riferiscono, che è di fondamentale
importanza in un regime democratico, sia per l’efficacia immediata che
in tali casi deve essere riconosciuta alla pena e alle misure che alla
pena conseguono.
3. – Non risulta con chiarezza dall’ordinanza su quale punto verta
il contrasto dell’inapplicabilità ai reati elettorali dei benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione della
condanna, con l’art. 27 della Costituzione. È da ritenere, da quel che
in essa si dice circa lo scopo che la sospensione si proporrebbe, che
il contrasto è da porre con la norma contenuta nel terzo comma
dell’art. 27, giusta il quale “le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato”. Dice, infatti, il Tribunale di Catanzaro
che lo scopo della norma, che consente al giudice di sospendere
condizionalmente la pena, “è quello di evitare che un incensurato che
può essere recuperato alla società e rieducato, debba essere
ristretto in carcere, in un ambiente non sufficientemente idoneo al
recupero e alla rieducazione”. Ora, ritiene la Corte che la norma
dell’art. 27 testé richiamata fa riferimento ai modi di esecuzione
della pena, e perciò è arbitrariamente richiamata nel caso presente,
nel quale si discute viceversa di una pena, la cui esecuzione è
sospesa. Ma, anche se si volesse accogliere l’interpretazione estensiva
che l’ordinanza sostiene di quella norma costituzionale, non si
potrebbe pervenire alla dichiarazione di illegittimità dell’ultimo
comma dell’art. 102 del T. U. delle leggi elettorali. È infatti, il
fondamento e i caratteri dell’istituto della sospensione della pena non
possono essere riportati soltanto alla finalità della rieducazione del
colpevole. Si deve tener conto, nella sua valutazione, non soltanto dei
criteri fissati dall’art. 164 del Cod. pen. (previsione del giudice che
il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati), ma anche del
limite segnato dall’articolo 163, in base al quale la sospensione è
ammissibile soltanto se la pena detentiva irrogata, o che il colpevole
dovrebbe scontare a seguito di conversione, non superi la durata di un
anno. Con che il legislatore ha mostrato di ispirarsi, nel regolare la
concessione del beneficio, anche al criterio della gravità del reato.
E se, in via generale, i limiti sono ricondotti dall’art. 163 del Cod.
pen. al criterio quantitativo della pena, nulla vieta al legislatore di
escludere l’applicabilità del beneficio anche con riferimento alla
qualità dei reati, quando questi, cioè, siano di tale natura da
richiedere che la pena irrogata esplichi senza limitazioni la sua
propria funzione intimidativa e reintegrativa del diritto. Sempre che,
così operando, come appunto accade nel caso in esame, non siano
violati precetti o principi garantiti dalla Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato;
dichiara non fondata la questione, sollevata con ordinanza 12
giugno 1961 dal Tribunale di Catanzaro, sulla legittimità
costituzionale dell’art. 102 del T.U. delle leggi per la composizione
e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato
con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, in relazione agli artt. 3 e 27 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 maggio 1962.
GASPARE AMBROSINI – MARIO COSATTI –
FRANCESCO PANTALEO GABRIELI –
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – ANTONINO
PAPALDO – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI.