Sentenza N. 48 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1965
Data deposito/pubblicazione
26/06/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. BIAGIO PETROCELLI – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE
BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof.
GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA
BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
ricorso notificato il 18 luglio 1964, depositato nella cancelleria
della Corte costituzionale il 23 successivo ed iscritto al n. 11 del
Registro ricorsi 1964, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la
Regione siciliana, sorto a seguito del decreto assessoriale 14 luglio
1962, n. 2084, emesso sul ricorso dell’Esattore delle imposte dirette
di Belmonte Mezzagno avverso l’ordinanza 16 marzo 1962, n. 11259,
dell’Intendente di finanza di Palermo.
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione siciliana;
udita nell’udienza pubblica del 17 marzo 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri, e l’avv. Pietro Virga,
per la Regione siciliana.
L’Assessore per le finanze e il demanio della Regione siciliana con
decreto 14 luglio 1962, n. 2084, respingeva il ricorso presentato
dall’esattore delle imposte dirette di Belmonte Mezzagno avverso
l’ordinanza 16 marzo 1962, n. 11259, dell’Intendente di finanza di
Palermo, con la quale gli erano state irrogate delle pene pecuniarie.
In riferimento al detto decreto, il Presidente del Consiglio dei
Ministri, con ricorso contro il Presidente protempore della Regione
siciliana, notificato il 18 luglio 1964 e depositato il 23 successivo,
ha sollevato conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione
stessa, per violazione dell’art. 20 in relazione agli artt. 14, 17 e 36
dello Statuto della Regione, in relazione anche all’art. 2 del decreto
legislativo presidenziale 12 aprile 1948, n. 507.
Si assume nel ricorso che la legge 7 gennaio 1929, n. 4, sulla
repressione delle violazioni di leggi finanziarie, alla quale si
richiama l’art. 150 del T.U. sulla riscossione delle imposte dirette
(approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858), ha una particolare
funzione nel sistema tributario dello Stato, per cui nelle sue norme
vanno riconosciuti dei principi generali che costituiscono limite alla
competenza della Regione. Si rileva inoltre che il ricordato art. 150,
nel disciplinare più organicamente, rispetto alla legislazione
precedente, la devoluzione allo Stato delle pene pecuniarie, ha
confermato che contro il provvedimento dell’Intendente è ammesso
ricorso al Ministero delle finanze. In base a tali considerazioni, si
nega che dalle norme provvisorie di cui al decreto legislativo 12
aprile 1948, n. 507, le quali hanno attribuito alla Regione competenza
in materia di riscossione dei tributi di sua pertinenza, possa dedursi
un trasferimento alla Regione della competenza a decidere ricorsi di
esattori contro provvedimenti che abbiano irrogato pene pecuniarie a
loro carico, tanto più in quanto gli esattori in Sicilia riscuotono
anche tributi erariali; comunque, anche per i tributi della Regione, la
competenza di questa per la loro riscossione non può estendersi al
campo delle pene pecuniarie. In ogni caso, si aggiunge, mancano
esplicite norme che abbiano previsto il trasferimento alla Regione
delle dette competenze. Il ricorso conclude perché sia dichiarata la
competenza degli organi dello Stato e sia annullato il decreto
dell’Assessore regionale, innanzi indicato.
Il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso
dall’avv. Pietro Virga, si è costituito in giudizio con atto pervenuto
alla Corte il 4 agosto 1964.
Con tale atto si eccepisce preliminarmente l’irricevibilità del
ricorso, essendo decorso il termine di 60 giorni, di cui all’art. 39
della legge 11 marzo 1953, n. 87. Si fa presente in proposito che la
decisione dell’Assessore, che è del 14 luglio 1962, fu immediatamente
comunicata all’Intendente di finanza, che ne diede comunicazione al
Ministero, e non vale ad escludere l’irricevibilità del gravame il
fatto che il provvedimento fu reso noto alla Presidenza del Consiglio
con lettera 20 maggio 1964.
Nel merito si afferma, in primo luogo, che in materia di
riscossione di tributi di esattorie, non solo la Regione siciliana ha
competenza esclusiva, ma, per il combinato disposto del decreto
legislativo 12 aprile 1948, n. 507, e degli artt. 2 e 3 della legge
regionale 1 luglio 1947, n. 2, ad essa competono indistintamente tutti
i poteri relativi, essendo subentrata nella posizione giuridica dello
Stato; poteri, si soggiunge, che sono stati finora pacificamente
esercitati dalla Regione.
Inoltre, si afferma che l’applicazione delle sanzioni
amministrative costituisce una facoltà accessoria al potere
amministrativo relativo a una determinata materia, mentre dagli artt. 3
e 4 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, si desume che l’applicazione
della sanzione amministrativa della pena pecuniaria è strettamente
inerente all’esercizio dell’attività in relazione alla quale viene
accertato l’illecito. Né, prosegue la difesa della Regione, ha valore
il richiamo alla posizione della legge n. 4 del 1929 nel sistema
tributario generale. Nella specie la Regione ha dato applicazione alla
legge stessa, e comunque non può sostenersi che ogni volta che ci sia
un rinvio a tale legge la competenza si sposti dalla Regione allo
Stato, giacché altra cosa è la organicità di una determinata
legislazione e altra la esclusività della sua applicazione da parte
dello Stato.
La Regione conclude che il ricorso sia dichiarato irricevibile, e,
subordinatamente, che sia dichiarato infondato e sia riconosciuta la
competenza delle autorità amministrative regionali per l’applicazione
delle sanzioni in materia esattoriale.
Nella discussione orale le difese delle parti hanno illustrato le
tesi rispettive.
L’eccezione di irricevibilità del ricorso per decorrenza di
termini non può essere accolta.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, in
applicazione di un principio generale di diritto processuale, la
notificazione o la conoscenza del provvedimento impugnabile, ai sensi
dell’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, debbono intendersi
riferite agli organi legittimati a proporre il ricorso: vale a dire,
per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei Ministri; per la Regione,
al Presidente della Giunta regionale (sentenza n. 82 del 1958).
Nella specie, non essendo stato provato che il Presidente del
Consiglio dei Ministri abbia avuto conoscenza del provvedimento
dell’Assessore regionale prima della nota del Ministero delle finanze
20 maggio 1964, deve ritenersi la tempestività del ricorso, notificato
il 18 luglio successivo.
Nel merito, il ricorso è fondato.
Non v’ha dubbio che, come questa Corte ha ripetutamente affermato
(sentenze nn. 9,14, 17 e 52 del 1957) e com’è stato ricordato dalla
difesa della Regione, in base al decreto legislativo 12 aprile 1948, n.
507, la materia della riscossione dei tributi è stata trasferita dallo
Stato alla Regione siciliana. Spetta conseguentemente alla Regione il
potere di organizzare i servizi di riscossione ad essa affidati
(sentenza n. 52 del 1957) e rientra nella organizzazione di questi
servizi la disciplina del rapporto esattoriale, in quanto diretto a
tale riscossione.
Se non che, la materia trasferita alla Regione in base alla
ricordata norma, pur comprendendo l’organizzazione dei servizi di
riscossione, e quindi del servizio esattoriale, non si estende a quelle
funzioni di sorveglianza sull’esecuzione del rapporto esattoriale che
danno luogo alla applicazione di sanzioni amministrative, e in
particolare all’irrogazione delle cosiddette pene pecuniarie, e che
costituiscono un sistema, unitariamente disciplinato, di attività
sopraordinata al servizio di riscossione, nel quale non possono essere
considerate confuse. Tali funzioni, affidate dalle vigenti leggi
statali all’Intendente di finanza e al Ministero delle finanze (art.
150 del T.U. approvato con D.P.R. 15 maggio 1963, n. 858; artt. 55-59
della legge 7 gennaio 1929, n. 4), non hanno formato specificamente
oggetto di norme di attuazione dello Statuto regionale, come questa
Corte ebbe già occasione di rilevare nella sentenza n. 11 del 1957.
Deve quindi ritenersi tuttora in vigore la competenza del Ministro
delle finanze a decidere sul ricorso gerarchico contro il decreto
dell’Intendente di finanza che applichi le pene pecuniarie ai sensi
delle ricordate norme di leggi statali, e deve di conseguenza essere
annullato l’impugnato decreto dell’Assessore regionale per le finanze.
Ai fini del presente giudizio non occorre prendere in esame la tesi
della difesa dello Stato circa la posizione della legge 7 gennaio 1929,
n. 4, nel sistema tributario generale, e circa l’asserita
inderogabilità delle sue norme da parte della Regione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge l’eccezione di irricevibilità del ricorso presentato dal
Presidente del Consiglio dei Ministri;
dichiara la competenza dello Stato a decidere il ricorso presentato
dall’esattore delle imposte dirette del Comune di Belmonte Mezzagno
contro l’ordinanza n. 11259 del 16 marzo 1962 dell’Intendente di
finanza di Palermo e pertanto annulla il decreto n. 2084/62, in data 14
luglio 1962, dell’Assessore per le finanze e il demanio della Regione
siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.