Sentenza N. 487 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
10/11/2000
Data deposito/pubblicazione
10/11/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/10/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Valerio ONIDA, Fernanda CONTRI,
Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE, Giovanni Maria FLICK;
sorti a seguito della richiesta al giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Bologna in data 3 maggio 1999, di non
doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e della
polizia per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato e del
successivo decreto dello stesso giudice per le indagini preliminari
del 31 maggio 1999, promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio
dei Ministri notificati il 19 luglio 1999, depositati in cancelleria
il 27 successivo ed iscritti ai nn. 23 e 24 del registro conflitti
1999.
Visti gli atti di costituzione del Procuratore della Repubblica e
del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna;
Udito nell’udienza del 10 ottobre 2000 il giudice relatore
Fernanda Contri;
Udito il dott. Paolo Giovagnoli per il Procuratore della
Repubblica del tribunale di Bologna nonché l’avv. dello Stato
Ignazio Francesco Caramazza per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
e, a séguito dell’ordinanza di ammissibilità del conflitto n. 321
del 1999, regolarmente notificato il 19 e nuovamente depositato il
27 luglio 1999 – il Presidente del Consiglio dei Ministri ha
sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei
Ministri, assunta in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in
persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data
3 maggio 1999 al giudice per le indagini preliminari presso lo stesso
Tribunale, di “non doversi procedere” nei confronti di funzionari del
SISDE e di funzionari di polizia che con essi avevano collaborato,
per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal
Presidente del Consiglio dei Ministri ex art. 12 della legge
24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le
informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e
“confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410
del 1998”.
In relazione a tale attività del pubblico ministero, consistente
nella richiesta di archiviazione al giudice per le indagini
preliminari per l’esistenza di un segreto di Stato – deducendo la
violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della
Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre
1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura
penale, e con riferimento alle sentenze nn. 110 e 410 del 1998 della
Corte costituzionale – il Presidente del Consiglio solleva l’odierno
conflitto, ritenendo la motivazione della richiesta del pubblico
ministero contraddittoria e atta a provocare, da parte del giudice,
il provvedimento di fissazione dell’udienza in camera di consiglio,
ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen., ed altresì lamentando che la
detta richiesta è stata corredata di tutta la documentazione, anche
segretata, la quale accompagnava le precedenti richieste di rinvio a
giudizio, rispettivamente annullate da questa Corte con le sentenze
nn. 110 e 410 del 1998.
Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto
dell’intera vicenda in cui si inserisce, il ricorrente ripercorre
preliminarmente i fatti dai quali hanno tratto occasione i due
conflitti di attribuzione in precedenza sollevati dal Presidente del
Consiglio dei Ministri nei confronti della Procura della Repubblica
di Bologna, definiti da questa Corte con le citate sentenze n. 110 e
n. 410 del 1998.
Nel presente giudizio, il ricorrente si duole che il Procuratore
della Repubblica, invece di restituire i documenti segretati ai
legittimi detentori e di avanzare richiesta di archiviazione, abbia
nuovamente violato il segreto, attentando alle prerogative del
Presidente del Consiglio dei Ministri. In particolare, l’iniziativa
della Procura di porre nella disponibilità del giudicante gli atti
segretati non solo contrasterebbe con le statuizioni contenute nelle
citate sentenze della Corte costituzionale nn. 110 e 410 del 1998, ma
avrebbe determinato anche l’ulteriore effetto di rendere conoscibile
al giudice per le indagini preliminari, in sede di delibazione della
menzionata richiesta di archiviazione, emergenze documentali di cui
il medesimo giudice non dovrebbe prendere cognizione e di offrire la
documentazione segreta alla pubblicità dell’udienza.
Il Presidente del Consiglio, deducendo la violazione dei
menzionati parametri costituzionali, anche in relazione alle citate
sentenze nn. 110 e 410 del 1998, chiede a questa Corte di dichiarare
che non spetta al pubblico ministero corredare una richiesta di non
doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato dei
documenti che da quel segreto sono coperti e che non spetta al
pubblico ministero motivare tale richiesta in modo contraddittorio ed
atto, comunque, a provocare da parte del giudice per le indagini
preliminari una richiesta di ulteriori indagini o una imputazione
coatta, con il conseguente annullamento della richiesta di
archiviazione del 3 maggio 1999 e con l’ordine di restituzione dei
documenti coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori.
2. – Con l’ordinanza n. 321 del 1999, questa Corte ha dichiarato
ammissibile questo nuovo conflitto proposto dal Presidente del
Consiglio dei Ministri nei confronti del pubblico ministero, in
persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Bologna.
3. – Nel giudizio davanti a questa Corte quest’ultimo si è
costituito, per argomentare l’inammissibilità e l’infondatezza del
ricorso del Presidente del Consiglio.
In primo luogo, il pubblico ministero obietta che “non sarebbe
stato possibile tecnicamente espungere materialmente dal fascicolo
processuale la documentazione sia perché ne è parte integrante”,
sia perché, proprio la Corte costituzionale, con la sentenza n. 145
del 1991, ha affermato, si legge nell’atto di costituzione,
“l’obbligo inderogabile dell’integrale trasmissione degli atti
processuali, comunque compiuti, al g.i.p. per le sue valutazioni”. A
questo riguardo, il resistente aggiunge che “nessuna norma del codice
autorizza, se pure indirettamente e per qualunque motivo,
l’eliminazione di atti e documenti dai fascicoli processuali”.
Inoltre, si afferma nell’atto di costituzione, “la stessa Corte
[costituzionale] non ha mai ritenuto di indicare espressamente e
specificamente i documenti colpiti dalla ricordata sanzione
processuale”.
In secondo luogo, il resistente asserisce la propria incompetenza
a decidere sulla inutilizzabilità degli atti e dei documenti coperti
da segreto di Stato, spettando esclusivamente al giudice “applicare
la sanzione dell’inutilizzabilità”.
4. – In prossimità della data fissata per l’udienza, il
ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, per insistere
nell’accoglimento del ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto
già dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.
Nella memoria – che nell’identico testo, data “la sostanziale
identità della linea difensiva avversa in entrambi i conflitti”, è
stata depositata anche in vista dell’udienza prevista per la
trattazione del conflitto n. 24 – il ricorrente richiama l’ordinanza
di questa Corte n. 344 del 2000, che ha dichiarato, escludendone il
carattere pregiudiziale, la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale – sollevata, in riferimento
all’art. 3, secondo (recte: primo) comma, 101, secondo comma, e 112
della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Bologna, nel corso del procedimento instaurato a norma
dell’art. 409, comma 2, cod. proc. pen. con il provvedimento
all’origine del conflitto n. 24 – dell’art. 256 cod. proc. pen.,
“nella parte in cui consente di opporre il segreto di Stato anche in
relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto già
contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti
che, venendo contestualmente trasmessi alla a.g., perdono le loro
caratteristiche di segretezza, ovvero laddove non prevede che il
segreto in precedenza ritualmente e correttamente opposto diventi
inefficace nel caso in cui l’atto da esso coperto abbia perso il suo
carattere di segretezza”.
Il ricorrente contesta poi l’affermazione del resistente circa
“la pretesa giuridica impossibilità di espungere dal fascicolo atti
ancorché coperti da segreto”, osservando che sebbene “nessuna norma
di legge preveda esplicitamente tale espungibilità, ciò
rientrerebbe nella generale regola di comune buon senso che nessuna
espressa previsione normativa è necessaria per legittimare i
comportamenti leciti che non solo rientrano nella logica del sistema
ma il cui compimento è addirittura doveroso in quanto necessario per
evitare conseguenze gravissime o addirittura la commissione di
reati”. Diversamente opinando, conclude la difesa erariale,
“accettando la logica della controparte, un p.m. ed un g.i.p. nei cui
incarti processuali fosse stato per avventura versato l’elenco
completo degli agenti ed informatori di SISDE e SISMI dovrebbero
comunque offrire tale elenco alla pubblicità del processo e
sufficiente garanzia del bene pubblico e del pubblico interesse
sarebbe solo l’inutilizzabilità dell’elenco ai fini del decidere”.
Quanto alla lamentata impossibilità di individuare con esattezza
gli atti e i documenti coperti da segreto, il Presidente del
Consiglio osserva che “una semplice lettura degli atti del
procedimento di segretazione (segnatamente della motivazione della
conferma) effettuata in spirito di leale collaborazione, sarebbe
stata sufficiente, a tacer d’altro, per intendere quali documenti
fossero coperti da segreto di Stato”.
5. – Con ricorso del 5 luglio 1999 – depositato il 6 luglio 1999
e, a séguito dell’ordinanza di ammissibilità del conflitto n. 321
del 1999, regolarmente notificato il 19 e nuovamente depositato il
27 luglio 1999 – il Presidente del Consiglio dei Ministri ha
sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei
Ministri, assunta in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato nei confronti del giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al decreto,
emesso ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data
31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999
l’udienza in camera di consiglio, a séguito della richiesta del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di non
doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia,
per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente
opposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi
dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e
ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e
disciplina del segreto di Stato).
Il ricorrente lamenta che il provvedimento all’origine del
conflitto sarebbe stato adottato sulla base di tutta la
documentazione, compresa quella segretata, che accompagnava le
precedenti richieste di rinvio a giudizio proposte dal pubblico
ministero riguardo ai medesimi fatti, e costituirebbe quindi
esercizio di attività giurisdizionale in materie sottratte alla
competenza dell’autorità giudiziaria, con conseguente lesione delle
proprie attribuzioni costituzionali, come definite dagli artt. 1, 5,
52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli
artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202,
256 e 362 cod. proc. pen. e con riferimento alle sentenze nn. 110 e
410 del 1998 della Corte costituzionale.
Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto
dell’intera vicenda in cui si inserisce, il ricorrente, anche in
questo secondo ricorso, ripercorre preliminarmente i fatti dai quali
hanno tratto occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza
sollevati dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti
della Procura della Repubblica di Bologna, definiti da questa Corte
con le citate sentenze n. 110 e n. 410 del 1998.
Nell’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente si
riporta a quanto affermato da questa Corte nelle menzionate sentenze
nn. 110 e 410 del 1998, ed in particolare ai principi secondo i quali
i rapporti tra Governo ed autorità giudiziaria debbono essere
ispirati a correttezza e lealtà, e l’opposizione del segreto di
Stato non comporta alcuna immunità sostanziale e non impedisce
l’esercizio dell’azione penale, ma ha l’effetto di inibire
all’autorità giudiziaria l’acquisizione, in via diretta o indiretta,
degli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto al fine
di fondare su di essi l’esercizio dell’azione penale, che può essere
esercitata solo qualora vi siano elementi indizianti del tutto
autonomi ed indipendenti.
Secondo il ricorrente, l’iniziativa del Procuratore della
Repubblica di porre nella disponibilità del giudice per le indagini
preliminari, con la richiesta di archiviazione, gli atti segretati,
da un lato, si è posta in contrasto con quanto statuito da questa
Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998; dall’altro, ha posto il
giudice nella posizione di delibare detta richiesta sulla base di
emergenze documentali di cui non avrebbe dovuto prendere cognizione.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene quindi che il
provvedimento del giudice per le indagini preliminari di fissazione
dell’udienza in camera di consiglio, pronunciato ai sensi
dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., abbia violato le
prerogative del Governo nella materia del segreto di Stato, dal
momento che è stato adottato sulla base di documenti coperti da tale
segreto e quindi non conoscibili dal giudice; che esso è idoneo ad
offrire la documentazione segreta alla pubblicità dell’udienza; e
ancora che esso è prodromico ad ulteriori attività giurisdizionali
– l’ordinanza con la quale si indica la necessità di ulteriori
indagini, o l’ordinanza con la quale si dispone che il pubblico
ministero formuli l’imputazione – che restano precluse dal segreto
opposto.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha proposto conflitto
per sentir dichiarare che non spetta al giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna, né acquisire, né
utilizzare sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti o
documenti sui quali è stato legalmente opposto e confermato dal
Presidente del Consiglio dei Ministri il segreto di Stato; che non
spetta allo stesso giudice, a fronte di una richiesta del pubblico
ministero di non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di
Stato, corredata dei documenti che da quel segreto di Stato sono
coperti, prendere cognizione degli stessi e, su tale base, fissare
l’udienza in camera di consiglio prevista dall’art. 409, secondo
comma, cod. proc. pen., così offrendo tali documenti alla
pubblicità ed in particolare alla conoscenza della persona offesa.
Il ricorrente chiede altresì che questa Corte disponga
l’annullamento del decreto di fissazione dell’udienza in camera di
consiglio del 31 maggio 1999, ordinando la restituzione dei documenti
coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori.
6. – Con l’ordinanza n. 320 del 1999, questa Corte ha dichiarato
ammissibile il conflitto sollevato dal Presidente del Consiglio dei
Ministri nei confronti del giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Bologna.
7. – Nel giudizio davanti a questa Corte quest’ultimo si è
costituito, per chiedere che il ricorso del Presidente del Consiglio
sia dichiarato infondato.
Dopo aver ricordato – come il ricorrente – i diversi momenti
dell’intera vicenda che ha portato al presente conflitto, il giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna afferma, innanzi
tutto, che “la conoscibilità degli atti processuali, nei modi e nei
tempi previsti, da parte dei soggetti interessati e delle parti
processuali è elemento cardine del nostro sistema processuale” e
che, da un lato, “il diritto della p.o. di prendere cognizione degli
atti del procedimento prescinde totalmente dalla adozione della
procedura di cui all’art. 409 c.p.p., essendo il venir meno del
segreto sugli atti processuali collegato al momento in cui l’imputato
può averne conoscenza, o comunque “alla chiusura delle indagini
preliminari (art. 329, c. 1, c.p.p.), evenienze entrambe
verificatesi”; dall’altro, che anche qualora il g.i.p., “aderendo
alla richiesta del p.m., avesse archiviato de plano il procedimento,
comunque la p.o. avrebbe avuto, anche “dopo la definizione del
procedimento , diritto di avere copia degli atti ai sensi
dell’art. 116 c.p.p.”.
Da quanto precede, ed altresì in considerazione della
circostanza che “detti documenti erano già ampiamente nella sfera di
conoscibilità della p.o., con pieno diritto di estrarne copia
(art. 131 c.p.p.)”, il resistente deduce che “in alcun modo … il
provvedimento di fissazione della udienza ex art. 409 c.p.p. potrebbe
di per sé ledere le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei
Ministri”.
Dopo aver censurato alcuni comportamenti, ritenuti non conformi
al dovere di lealtà, tenuti dalla Questura di Bologna nei rapporti
con l’autorità giudiziaria, il g.i.p. sottolinea il carattere
obbligato, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 409
c.p.p., del provvedimento di fissazione dell’udienza; “pur in
presenza di atti ritenuti inutilizzabili perché ottenuti in
violazione del segreto di Stato”, aggiunge il resistente, “rimane
fermo ed ineludibile il ruolo della magistratura giudicante come
espressamente affermato dalla Corte [costituzionale] nella citata
sent. 110”, in ordine alla dichiarazione di “non doversi procedere”.
Né può affermarsi, ad avviso del resistente, che vi sia stata una
utilizzazione degli atti coperti da segreto, ciò che sarebbe
dimostrato proprio dalla sollevazione, da parte dello stesso g.i.p.,
nell’a’mbito del medesimo procedimento ex 409 c.p.p. di cui si
tratta, di una questione di legittimità costituzionale della
disciplina concernente la inutilizzabilità di tali atti.
Sul punto della mancata restituzione dei documenti coperti da
segreto, per altro non addebitata al g.i.p. nel ricorso, il
resistente lamenta, da un lato, la mancata indicazione, da parte di
questa Corte, dei documenti illegittimamente acquisiti; dall’altro,
la mancata richiesta di restituzione, da parte dell’amministrazione
interessata.
8. – In prossimità della data fissata per l’udienza, il
ricorrente ha depositato una memoria illustrativa, per insistere
nell’accoglimento del ricorso e per sviluppare ulteriormente quanto
già dedotto in sede di promovimento del presente giudizio.
Il testo della memoria, come si è detto, in considerazione della
“sostanziale identità della linea difensiva avversa in entrambi i
conflitti”, è identico a quello della memoria presentata
nell’imminenza dell’udienza prevista per la trattazione del conflitto
n. 23, il cui contenuto è già stato illustrato.
Consiglio dei Ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona
del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in
relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data 3 maggio
1999 al giudice per le indagini preliminari presso lo stesso
Tribunale, di “non doversi procedere” nei confronti di funzionari del
SISDE e di funzionari di polizia che con essi avevano collaborato,
per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal
Presidente del Consiglio dei Ministri ex art. 12 della legge
24 ottobre 1977, n. 801 e “confermato dalla Corte costituzionale con
le sentenze nn. 110 e 410 del 1998”.
Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di
attribuzioni, come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102
e 126 della Costituzione, e dagli artt. 12 e 16 della legge
24 ottobre 1977, n. 801, nonché dagli artt. 202, 256 e 362 del
codice di procedura penale, anche in riferimento alle sentenze di
questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, e chiede che venga dichiarata la
non spettanza al pubblico ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, del potere di presentare
al giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale la
menzionata richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999,
corredandola della documentazione “segretata” e premettendo alla
stessa richiesta una motivazione contraddittoria e atta a provocare,
da parte del giudice, il provvedimento di fissazione dell’udienza in
camera di consiglio, ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen.,
prodromico rispetto all’eventuale adozione di ulteriori provvedimenti
(in particolare: invito al p.m., ex art. 409, comma 4, cod. proc.
pen., a compiere ulteriori indagini; “imputazione coatta” ex
art. 409, comma 5, cod. proc. pen.) suscettibili di provocare una
ulteriore divulgazione dei documenti coperti da segreto.
Il ricorrente chiede altresì l’annullamento della richiesta in
data 3 maggio 1999 del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bologna, “con l’ordine di restituzione dei documenti
coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori”.
2. – Con il secondo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente
del Consiglio dei Ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti del giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al decreto,
emesso ai sensi dell’art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data
31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio 1999
l’udienza in camera di consiglio, a séguito della richiesta del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna di non
doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia,
per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente
opposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi
dell’art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.
Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di
attribuzioni, come determinata dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102
e 126 della Costituzione e dagli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre
1977, n. 801, nonché dagli artt. 202, 256 e 362 del codice di
procedura penale, anche in riferimento alle sentenze nn. 110 e 410
del 1998 di questa Corte, e chiede che venga dichiarata la non
spettanza al giudice per le indagini preliminari resistente nel
presente conflitto – a fronte della richiesta di archiviazione del
pubblico ministero in data 3 maggio 1999, corredata dei documenti
coperti da segreto di Stato – del potere di prendere cognizione degli
stessi e, su tale base, fissare, ai sensi dell’art. 409, secondo
comma, cod. proc. pen., con il decreto in data 31 maggio 1999,
l’udienza in camera di consiglio il 14 luglio 1999, offrendo tali
documenti alla pubblicità dell’udienza ed in particolare alla
conoscenza della persona offesa, e ponendo le premesse per ulteriori
attività giurisdizionali – l’ordinanza con la quale si indica la
necessità di ulteriori indagini, o l’ordinanza con la quale si
dispone che il pubblico ministero formuli l’imputazione – che devono
ritenersi precluse dal segreto di Stato opposto.
Il ricorrente chiede altresì che questa Corte disponga
l’annullamento del decreto di fissazione dell’udienza in camera di
consiglio del 31 maggio 1999, “ordinando la restituzione dei
documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori”.
3. – Con i ricorsi indicati in epigrafe, il Presidente del
Consiglio dei Ministri lamenta, in riferimento ai medesimi parametri,
la lesione della propria sfera di attribuzioni in materia di tutela
del segreto di Stato ad opera del Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Bologna e del giudice per le indagini preliminari
dello stesso Tribunale, in relazione ad atti dei rispettivi uffici
fra loro intimamente connessi, sia sotto il profilo della sequenza
procedurale, sia per l’unicità della vicenda storica all’origine di
entrambi i conflitti sollevati. In considerazione di tale stretta e
duplice connessione, i relativi giudizi possono essere riuniti e
decisi con un’unica sentenza.
4. – Occorre, innanzitutto, confermare l’ammissibilità dei
conflitti di attribuzione in questione, che questa Corte ha già
dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con le
ordinanze nn. 320 e 321 del 1999.
4.1. – Sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio
dei Ministri è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato, in quanto organo competente a dichiarare
definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla
tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non
solo in base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma, come questa
Corte ha già avuto occasione di chiarire, anche alla stregua delle
norme costituzionali che ne delimitano le attribuzioni (sentenze
nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426
del 1997).
Sotto il medesimo profilo, anche la legittimazione del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna a
resistere nel conflitto deve essere ribadita, in conformità alla
giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero la
legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra
poteri dello Stato, in quanto, ai sensi dell’art. 112 della
Costituzione, è il titolare diretto ed esclusivo dell’attività di
indagine finalizzata all’esercizio obbligatorio dell’azione penale
(sentenze nn. 410 e 110 del 1998; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426
del 1997).
Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 23 del 1999 riguarda
attribuzioni costituzionalmente garantite inerenti all’esercizio
dell’azione penale da parte del pubblico ministero ed alla
salvaguardia della sicurezza dello Stato anche attraverso lo
strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua opposizione e
conferma, è attribuita alla responsabilità del Presidente del
Consiglio dei Ministri, sotto il controllo del Parlamento.
4.2. – Anche per quanto riguarda il conflitto n. 24 del 1999, il
Presidente del Consiglio dei Ministri è legittimato dal punto di
vista attivo in quanto organo competente a dichiarare definitivamente
la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela,
apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato in base alle
citate disposizioni costituzionali e legislative.
La legittimazione del giudice per le indagini preliminari presso
il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere
ribadita, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che
riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad
essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in
quanto, in posizione di piena indipendenza garantita dalla
Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio
delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (ex
plurimis sentenze nn. 50 e 35 del 1999; 375 del 1997; ordinanze
nn. 471, 261 e 250 del 1998; 269 del 1996).
Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 24 del 1999 riguarda
attribuzioni costituzionalmente garantite inerenti all’esercizio
della funzione giurisdizionale da parte del giudice per le indagini
preliminari ed alla salvaguardia della sicurezza dello Stato anche
attraverso lo strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua
opposizione e conferma, è attribuita alla responsabilità del
Presidente del Consiglio dei Ministri, sotto il controllo del
Parlamento.
5. – Nel merito, il ricorso presentato dal Presidente del
Consiglio dei Ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Bologna è fondato.
6. – Prima di esporre le ragioni dell’accoglimento del ricorso,
è necessario ricordare ancora una volta, per sommi capi, le vicende
che hanno dato origine ai conflitti di cui è causa ed i precedenti
costituiti dalle sentenze n. 110 e 410 del 1998.
Con la prima pronuncia, la Corte costituzionale accoglieva il
ricorso con il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva
sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei
confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione ad attività
istruttoria svolta nei confronti di funzionari del SISDE e di
polizia, e diretta ad acquisire elementi di conoscenza su circostanze
incise dal segreto di Stato opposto e confermato dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, ex art. 12 della legge n. 801 del 1977.
La Corte, dopo aver dichiarato l’ammissibilità del conflitto con
ordinanza n. 426 del 1997, dichiarava, con la menzionata sentenza
n. 110 del 1998, non spettare al pubblico ministero, in persona del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, né
acquisire, né utilizzare, sotto alcun profilo, direttamente o
indirettamente, atti o documenti sui quali era stato legalmente
opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il
segreto di Stato, né trarne comunque occasione di indagine ai fini
del promovimento dell’azione penale, annullando conseguentemente gli
atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal
segreto di Stato, nonché la sopravvenuta richiesta di rinvio a
giudizio.
A séguito di tale sentenza, il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Bologna, al quale gli atti erano stati
restituiti dal giudice per le indagini preliminari, reiterava la
richiesta di rinvio a giudizio, eliminando da questa i riferimenti ai
documenti trasmessi dalla Questura di Bologna.
Con ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio 1998, il
Presidente del Consiglio dei Ministri sollevava un nuovo conflitto di
attribuzione nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta di rinvio a
giudizio formulata in data 5 maggio 1998 nei confronti di funzionari
del SISDE e di funzionari di polizia che con i primi avevano
collaborato, e che si assumeva nuovamente basata su fonti di prova
incise dal segreto di Stato opposto dal Presidente del Consiglio dei
Ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801.
In accoglimento del secondo ricorso del Presidente del Consiglio,
la Corte costituzionale, con sentenza n. 410 del 1998, ha dichiarato
non spettare al pubblico ministero, in persona del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, rinnovare la richiesta di
rinvio a giudizio utilizzando fonti di prova acquisite in violazione
del segreto di Stato già accertata con sentenza della Corte
costituzionale e ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio in
data 5 maggio 1998.
In séguito a tale decisione, il pubblico ministero resistente ha
formulato la richiesta di archiviazione ritenuta dal ricorrente
lesiva della proprie attribuzioni costituzionalmente garantite.
7. – L’obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice
per le indagini preliminari l’intero fascicolo delle indagini
preliminari, previsto dall’art. 408, comma 1, cod. proc. pen., è
stato ribadito da questa Corte con la sentenza n. 145 del 1991,
invocata dal resistente, che ne ha sottolineato la funzione di
garantire “che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla
cognizione del giudice per le indagini preliminari ai fini
dell’adozione delle determinazioni ad esso spettanti”. Senonché, a
quest’ultimo, rispetto alla valutazione circa l’inutilizzabilità dei
documenti di cui si tratta non compete, in questo caso, alcun potere
decisorio in ordine alla adozione di determinazioni ulteriori e
diverse dal rilievo d’ufficio della inutilizzabilità di tali
documenti, a norma dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen., ciò che
questa Corte ha già avuto modo di chiarire con l’ord. n. 344 del
2000, in termini del tutto espliciti.
Quest’ultima pronuncia, che ha dichiarato la manifesta
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 256 cod. proc. pen. sollevata dal giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Bologna, ha nuovamente ribadito che, con
la sentenza n. 410 del 1998, questa Corte ha già inoppugnabilmente
definito la controversia in merito all’utilizzabilità degli stessi
atti, sui quali è stato opposto e confermato il segreto di Stato,
cui fa riferimento il giudice a quo statuendo in via definitiva sulla
non spettanza al pubblico ministero del potere di utilizzarli ed
annullando la richiesta di rinvio a giudizio basata sugli stessi. In
tale occasione, si è anche chiarito che, derivando in via definitiva
la sanzione dell’inutilizzabilità degli atti di cui si tratta, non
già dall’art. 256 cod. proc. pen., bensì direttamente dalle due
citate sentenze della Corte costituzionale – pronunciate sulla base
di parametri costituzionali e sottratte dall’art. 137, ultimo comma,
della Costituzione, a qualsiasi forma, anche indiretta o impropria,
di impugnazione – il giudice a quo avrebbe dovuto rilevarla d’ufficio
a norma dell’art. 191, comma 2, cod. proc. pen., non residuando nel
procedimento penale a quo alcuno spazio per fare applicazione, ai
fini dell’identificazione degli atti non utilizzabili, dell’art. 256
cod. proc. pen. (né, quindi, per dubitare della sua legittimità
costituzionale).
La circostanza, anzi, che il divieto di utilizzazione degli atti
di cui si tratta deriva inequivocabilmente e in via definitiva non
dall’art. 256 cod. proc. pen., bensì dalle citate sentenze di questa
Corte nn. 110 e 410 del 1998, priva di valore processuale i documenti
in questione e ne rende indebita e del tutto impropria l’inclusione
nel fascicolo processuale.
Dalle citate decisioni costituzionali, nel rispetto della
correttezza che deve ispirare i rapporti tra autorità giudiziaria e
potere esecutivo nella materia della tutela del segreto di Stato,
deriva un obbligo di restituzione dei documenti coperti da tale
segreto, indipendentemente da una richiesta da parte dell’autorità
responsabile della loro custodia.
Il sistema delle norme disciplinanti il processo penale, del
resto, conosce più di un caso di obbligatoria restituzione di cose e
documenti inutilizzabili a fini probatori, non solo da parte del
giudice, ma anche direttamente da parte del pubblico ministero
(artt. 262, comma 1; 263, comma 4; 254, comma 3, cod. proc. pen.).
Non è forse inutile ricordare poi che il comma 3 dell’art. 271
cod. proc. pen. dispone la distruzione, “salvo che costituisca corpo
del reato”, della documentazione delle intercettazioni di
conversazioni o comunicazioni non utilizzabili a norma dei primi due
commi.
Al pubblico ministero non spetta pertanto corredare la richiesta
di archiviazione in data 3 maggio 1999 di documenti che, a séguito
delle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e
non poteva né acquisire, né utilizzare, direttamente o
indirettamente, e che avrebbe dovuto restituire all’autorità
responsabile della tutela del segreto di Stato.
La permanenza materiale nel fascicolo processuale di documenti
non utilizzabili perché coperti da segreto di Stato ritualmente
opposto e confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ex
art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, successivamente, e in
modo irretrattabile, ritenuti inutilizzabili con le sentenze nn. 110
e 410 del 1998 di questa Corte, concreta la lesione delle
attribuzioni costituzionali del ricorrente.
L’impugnata richiesta di archiviazione del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, corredata di tali
documenti, deve pertanto essere annullata.
Quanto precede impone a questa Corte di dichiarare che non spetta
al pubblico ministero formulare la richiesta di archiviazione in data
3 maggio 1999, corredandola di documenti che, anche a séguito delle
sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e non
poteva né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, e
che avrebbe dovuto restituire all’autorità responsabile della tutela
del segreto di Stato, e di annullare la richiesta presentata dal
resistente in data 3 maggio 1999 al giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Bologna.
8. – Le ragioni che hanno condotto all’accoglimento del ricorso
presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti
del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna e
all’annullamento della richiesta di archiviazione all’origine del
primo conflitto impongono di accogliere anche il secondo ricorso
epigrafato, proposto dallo stesso ricorrente nei confronti del
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna.
La rilevata assenza di valore processuale dei documenti dei quali
questa Corte, con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998, ha accertato,
in via definitiva e sulla scorta dei parametri costituzionali
applicati per la risoluzione dei rispettivi conflitti,
l’inutilizzabilità nel procedimento de quo, impone l’espunzione dal
fascicolo processuale dei documenti coperti da segreto di Stato
legittimamente opposto e confermato dal Presidente del Consiglio,
sottratti a qualsiasi valutazione da parte del resistente.
Da ciò consegue che non spetta al giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Bologna utilizzare in alcun modo,
direttamente o indirettamente, gli atti e i documenti coperti da
segreto di Stato, la cui inutilizzabilità è stata definitivamente
accertata con le sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998,
neppure ai fini dei provvedimenti conseguenziali alla richiesta del
pubblico ministero presentata in data 3 maggio 1999 e fissare
l’udienza in camera di consiglio prevista dall’art. 409, secondo
comma, cod. proc. pen.
Sia l’accoglimento dei due ricorsi presentati dal Presidente del
Consiglio dei Ministri, sia l’annullamento della richiesta di
archiviazione all’origine del primo conflitto impongono di annullare
tutti gli atti successivi e conseguenziali alla richiesta di
archiviazione, compreso il decreto, emesso ai sensi dell’art. 409,
secondo comma, cod. proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale
è stata fissata al 14 luglio 1999 l’udienza in camera di consiglio,
a séguito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Bologna presentata in data 3 maggio 1999.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
Dichiara che non spetta al pubblico ministero presentare al
giudice per le indagini preliminari richiesta di non doversi
procedere, corredata di documenti coperti da segreto di Stato che, a
séguito delle sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, non
può in alcun modo, né direttamente né indirettamente, utilizzare,
né conservare nel fascicolo processuale, e conseguentemente annulla
la richiesta di non doversi procedere, presentata dal resistente in
data 3 maggio 1999 al giudice per le indagini preliminari dell
Tribunale di Bologna;
Dichiara che non spetta al giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Bologna utilizzare in alcun modo, direttamente o
indirettamente, gli atti e i documenti coperti da segreto di Stato,
la cui inutilizzabilità è stata definitivamente accertata con le
sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, neppure ai fini
dell’adozione del decreto in data 31 maggio 1999 di fissazione
dell’udienza in camera di consiglio a norma dell’art. 409, secondo
comma, cod. proc. pen., e conseguentemente annulla il citato decreto
in data 31 maggio 1999, con il quale è stata fissata al 14 luglio
1999 l’udienza in camera di consiglio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Contri
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 novembre 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola