Sentenza N. 50 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
14/04/1980
Data deposito/pubblicazione
14/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI –
Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA
– Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
(1) V. ord. n. 173 del 1980 che dispone la correzione di errori
materiali nell’epigrafe, nell’esposizione del fatto e nel dispositivo.
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell’art. 121
del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, come modificato dall’articolo 5
della legge 5 maggio 1976, n. 313 (nuove norme sugli autoveicoli
industriali), promossi con le ordinanze emesse dai Pretori di:
S. Donà di Piave, il 15 giugno 1977; Udine, il 21 maggio 1977;
Adria, il 10 maggio 1977; Cittadella, il 19 settembre (n. 2 ordinanze)
e il 26 settembre 1977; S. Vito al Tagliamento, il 26 gennaio 1978 (n.
5 ordinanze); S. Donà di Piave il 18 gennaio 1978; Biella il 10
febbraio 1978; Agordo, il 22 marzo 1978; Piana degli Albanesi, l’11
aprile 1978; Portogruaro, il 2 maggio 1978; Cento, il 19 aprile 1978;
Porto Torres, il 19 aprile 1978 (n. 2 ordinanze); Pattada, il 27 aprile
1978; dal Tribunale di Orvieto, il 12 aprile 1978; dai Pretori di:
Città di Castello, il 12 maggio 1978 (n. 2 ordinanze); Sorgono, il 20
aprile 1978; Cittadella, il 19 giugno 1978 (n. 2 ordinanze); Cervignano
del Friuli, il 21 febbraio 1978; Cittadella, il 19 giugno 1978;
Piacenza, l’11 dicembre e il 24 novembre 1978; Codogno, il 19 dicembre
1978; Grosseto, l’11 dicembre 1978; Cervignano del Friuli, il 21
febbraio 1978; Casalmaggiore, il 1 dicembre 1978; S. Donà di Piave, il
3 febbraio 1979; Codroipo, il 22 novembre 1978; Codogno, il 14 marzo
1979; Pergine Valsugana, il 3 marzo 1979; Trento, l’8 marzo 1979;
Codogno, il 30 gennaio 1979; Gemona del Friuli, il 10 febbraio 1979;
Piombino, il 20 marzo 1979; Massa, l’8 marzo 1979; Codogno, il 26
aprile 1979; Empoli, il 24 aprile 1979; Massa, l’8 marzo 1979;
Castelfranco Veneto, il 4 maggio 1979; Grumello del Monte, il 10 aprile
1979 (n. 4 ordinanze); Trento, l’11 maggio 1979, iscritte ai numeri
358, 387, 410, 509, 510, e 561 del Registro ordinanze 1977; 174, 175,
176, 177, 178, 215, 235, 306, 335, 342, 381, 387, 388, 395, 405, 409,
410, 490, 558, 559, 668 del registro ordinanze 1978; 3, 59, 60, 87,
106, 112, 260, 286, 306, 388, 389, 395, 396, 397, 432, 433, 462, 469,
490, 495, 502, 503, 504, 505, 518 del registro ordinanze 1979 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 272, 286,
299/1977; 11, 46, 164, 179, 186, 257, 271, 278, 300, 307, 313/1978; 17,
59, 73, 87, 95, 102, 154, 168, 189, 203, 217, 230, 237, 244/1979.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 1979 il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
udito l’avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
1. – In diversi procedimenti penali a carico di soggetti, imputati
di avere circolato con veicoli eccedenti i limiti di peso a pieno
carico consentiti di oltre 30 quintali, i Pretori di San Donà di
Piave, Udine, Adria, Cittadella, San Vito al Tagliamento, Biella,
Agordo, Piana degli Albanesi, Portogruaro, Cento, Porto Torres,
Pattada, Città di Castello, Sorgono, Cervignano, Piacenza, Codogno,
Grosseto, Cervignano del Friuli, Casalmaggiore, Codroipo, Pergine
Valsugana, Trento, Gemona del Friuli, Piombino, Massa, Empoli,
Castelfranco Veneto, Grumello del Monte, nonché il Tribunale di
orvieto, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5 della legge 5 maggio 1976, n. 313 (nuove norme sugli
autoveicoli industriali) nella parte in cui, per la contravvenzione
considerata, prevede una pena fissa (ammenda di lire 800 mila e 15
giorni d’arresto). Tutte le ordinanze fanno riferimento all’art. 3
della Costituzione. Alcune inoltre richiamano gli artt. 24, primo comma
(ord. 235/78); 27, primo comma (ord. 389, 395, 518/79); 27, terzo
comma (ord. 235 e 381/78); 101 (ord. 387/77, 335/78); 102 (ord.
469/79).
2. – La violazione del principio d’uguaglianza è ravvisata nella
equiparazione, in un trattamento sanzionatorio rigidamente fissato
dalla legge, di situazioni diverse: violazioni dolose e violazioni
colpose; violazioni più gravi e meno gravi della medesima norma. La
previsione di una pena in misura fissa, anziché di un minimo ed un
massimo, esclude che il giudice possa graduare la pena, ai sensi
dell’art. 133 cod. pen., “facendo uso del potere discrezionale che è
tipico e caratterizzante la funzione giurisdizionale”; nessun conto
può quindi essere tenuto né della gravità obiettiva del fatto
(entità del sovraccarico e del pericolo che ne deriva), né dei
precedenti dell’imputato, né del comportamento processuale né di
altri elementi soggettivi (così, per es., l’ord. 410/77).
3. – Sul riferimento al diritto di difesa (ord. 235/78) non vi è
alcuna motivazione articolata. Il riferimento agli artt. 101 o 102
poggia sull’assunto che la previsione di una pena fissa “comporta una
confisca della funzione giurisdizionale del magistrato giudicante,
impedendo di rapportare la norma al caso concreto” (ord. 469/79).
Quanto. infine al ritenuto contrasto con l’art. 27, primo e terzo
comma, l’argomentazione non è sviluppata in relazione alla finalità
rieducativa della pena; mentre con riguardo al principio della
“personalità” della responsabilità penale si assume che esso
imporrebbe “che la misura della pena sia determinata in concreto e
adeguata, mediante l’applicazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.,
alla personalità del reo” (ord. 389/79), il che verrebbe impedito
dalla previsione di una misura fissa.
4. – Con riferimento ad alcune fra le (prime) ordinanze di
rimessione, si è costituita nel giudizio davanti alla Corte
costituzionale l’Avvocatura generale dello Stato. La non
configurabilità della violazione del principio d’uguaglianza è
argomentata richiamando la precedente pronuncia della Corte
costituzionale in materia di pene fisse (sentenza n. 67 del 1963).
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 101, si osserva che
l’esercizio della funzione giurisdizionale, nell’ambito della legge,
non esclude “che legge sia anche la norma che determina la pena in
misura fissa, riservandosi al giudice l’esercizio del potere
discrezionale nell’ambito, non certo di minor rilievo,
dell’accertamento dei fatti e della sussistenza della responsabilità
dell’imputato”.
1. – Tutte le ordinanze di rimessione sopra indicate denunciano la
medesima disposizione di legge, con riferimento a diversi parametri
costituzionali, ma sotto il medesimo profilo riguardante la
legittimità della previsione della pena in misura fissa. I
procedimenti vanno, pertanto, riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – I giudici a quibus dubitano che l’art. 5 della legge 5 maggio
1976, n. 313 – nella parte in cui sostituendo il terzo comma dell’art.
121 del t.u. delle norme concernenti la disciplina della circolazione
stradale, approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, prevede la pena,
in misura fissa, di lire 800.000 di ammenda e 15 giorni d’arresto per
chiunque circoli con un veicolo che superi il peso complessivo a pieno
carico consentito di oltre 30 quintali – contrasti con l’art. 3 Cost.,
in quanto equipara rigidamente quoad poenam situazioni diverse, come
comportamenti dolosi e colposi, ed in genere violazioni di diversa
gravità, sotto il profilo oggettivo e/o soggettivo, della medesima
norma. Alcune ordinanze ipotizzano, inoltre, che tale previsione della
pena in misura fissa contrasti con il diritto di difesa di cui all’art.
24 Cost.; con i principi sulla funzione giurisdizionale, di cui agli
artt. 101 e 102 Cost.; con i principi della responsabilità personale e
della funzione rieducativa della pena (art. 27, primo e terzo comma,
Cost.).
Le questioni non sono fondate.
3. – Questa Corte, con la sentenza n. 67 del 1963, ha già
dichiarato non fondate, con riferimento agli artt. 3 e 27, primo e
terzo comma, Cost., analoghe questioni di legittimità costituzionale
di altra disposizione comminante una pena pecuniaria in misura fissa
(art. 54 del d.l. 15 ottobre 1925, n. 1033), pur rilevando in
motivazione come lo strumento più idoneo al conseguimento delle
finalità della pena, e più congruo rispetto al principio
d’uguaglianza, sia “la mobilità della pena, cioè la predeterminazione
della medesima da parte del legislatore fra un massimo ed un minimo”.
In via di principio, invero, l'”individualizzazione” della pena, in
modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze
dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo di
principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio
d’uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale. Lo
stesso principio di “legalità delle pene”, sancito dall’art. 25,
secondo comma, Cost., dà forma ad un sistema che trae contenuti ed
orientamenti da altri principi sostanziali – come quelli indicati
dall’art. 27, primo e terzo comma, Cost. – ed in cui “l’attuazione di
una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più
che l’uniformità” (sentenza n. 104 del 1968). Di qui il ruolo
centrale, che nei sistemi penali moderni è proprio della
discrezionalità giudiziale, nell’ambito e secondo i criteri segnati
dalla legge (artt. 132 e 133 cod.pen.; e si veda al riguardo la
sentenza n. 118 del 1973).
L’adeguamento delle risposte punitive ai casi concreti – in termini
di uguaglianza e/o differenziazione di trattamento – contribuisce da un
lato, a rendere quanto più possibile “personale” la responsabilità
penale, nella prospettiva segnata dall’art. 27, primo comma; e nello
stesso tempo è strumento per una determinazione della pena quanto più
possibile “finalizzata”, nella prospettiva dell’art. 27, terzo comma,
Cost. Il principio d’uguaglianza trova in tal modo dei concreti punti
di riferimento, in materia penale, nei presupposti e nei fini (e nel
collegamento fra gli uni e gli altri) espressamente assegnati alla pena
nello stesso sistema costituzionale. L’uguaglianza di fronte alla pena
viene a significare, in definitiva, “proporzione” della pena rispetto
alle “personali” responsabilità ed alle esigenze di risposta che ne
conseguano, svolgendo una funzione che è essenzialmente di giustizia e
anche di tutela delle posizioni individuali e di limite della potestà
punitiva statuale.
4. – In questi termini, sussiste di regola l’esigenza di una
articolazione legale del sistema sanzionatorio, che renda possibile
tale adeguamento individualizzato, “proporzionale”, delle pene inflitte
con le sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e
criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento
normale. In linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non
appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema
penale; ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere,
caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito
sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima
appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di
comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato.
5. – Nel caso in esame, la previsione di una pena edittale fissa (a
prescindere dalla eventuale applicabilità di circostanze aggravanti od
attenuanti) non fuoriesce dai limiti apposti (in funzione di tutela
individuale e di giustizia proporzionale) dalla Costituzione alla
potestà punitiva.
La misura della sanzione appare, nel quadro delle scelte
complessive operate dal legislatore penale, ragionevolmente
rapportabile al tipo di illecito. La violazione sanzionata
(circolazione di veicolo industriale con carico notevolmente eccedente
il consentito) è un illecito di pericolo, posto a prevenzione di
sinistri stradali, la cui realizzazione presuppone lo svolgimento di
un’attività normalmente lucrativa (e il fine di lucro è perseguito a
costo d’aumentare i pericoli inerenti alla circolazione). La pena
pecuniaria (lire ottocentomila di ammenda) non appare sproporzionata in
relazione al contenuto (oggettivo e soggettivo) “tipico” dell’illecito
sanzionato; la pena detentiva (quindici giorni d’arresto) è fissata ai
livelli inferiori della specie di pena in questione, di per sé non
incompatibile con illeciti come quello già considerato. Porre in
discussione la generale “proporzione” fra il tipo di illecito ed il
livello sanzionatorio significherebbe sovrapporre’ altre valutazioni di
merito a quella operata dal legislatore nell’ambito di una sua
competenza esclusiva.
Una volta riconosciuto che la generale valutazione legislativa,
incorporata nel livello sanzionatorio, non può di per sé ritenersi
sproporzionata rispetto alla figura di reato, le differenze, che pure
si ravvisano fra i casi rientranti nella previsione normativa, non
appaiono nella specie di tale rilievo da imporre formali
diversificazioni nella sanzione. Non decisiva è la differenza fra
fatti dolosi e colposi: la loro congiunta considerazione, sia pure a
fronte di cornici edittali aperte, è la regola in materia
contravvenzionale, e come tale chiaramente esprime la non necessaria
corrispondenza fra “qualità” dell’elemento soggettivo del reato
contravvenzionale, e “quantità” della risposta punitiva. Nella specie,
la funzione preventiva o cautelare del divieto, sollecitante i più
scrupolosi controlli sui carichi trasportati, non consente di ritenere
irrazionale la equiparazione fra dolo e colpa rispetto all’illecito di
pericolo.
Non decisiva, del pari, è la differenza quantitativa, fra carichi
eccedenti, posto che l’oggettiva esistenza e consistenza del pericolo
è sufficientemente definita (nella prospettiva adottata dal
legislatore) dalla di per sé notevolissima eccedenza di carico (30
quintali) al di sopra della quale la contravvenzione è integrata;
eccedenza tale da far ritenere trascurabili ulteriori variazioni in
aumento.
Resta in ogni caso aperta, ovviamente, l’applicabilità delle
circostanze aggravanti (compresa, per la pena dell’ammenda, quella di
cui all’art. 26, secondo comma, cod. pen.) e delle attenuanti (comprese
le generiche). IL che significa possibilità di considerare, ai fini
dell’adeguamento della sanzione, da un lato i più rilevanti fra i
profili della personalità dell’imputato (quali le “circostanze
inerenti alla persona del colpevole”), e dall’altro lato, qualsiasi
profilo, oggettivo e soggettivo, che appaia meritevole di
considerazione (e suscettibile di considerazione come attenuante
“generica”) al fine di meglio “proporzionare” la pena nella prospettiva
(di tutela, o di limite della potestà punitiva) segnata dagli invocati
principi costituzionali.
6. – Alcune fra le ordinanze di rimessione richiamano, contro
l’ammissibilità di “pene fisse”, anche i principi sul diritto di
difesa e sulla funzione giurisdizionale, l’uno e l’altra considerati
svuotati dalla meccanicità del vincolo normativo.
Tali censure sono manifestamente infondate. Esse confondono,
infatti, il piano delle condizioni formali d’esercizio dell’attività
difensiva e della funzione giurisdizionale, con il piano della
struttura o contenuto delle norme sostanziali da applicare in sede
giurisdizionale. Principi attinenti alla forma della giurisdizione, al
rapporto fra giudice e legge, vengono invocati quali criteri d’interna
conformazione delle leggi; che è questione logicamente e
giuridicamente rapportabile ad un diverso ordine di principi, nella
specie, quelli già sopra considerati sulla struttura del sistema
penale. La natura vincolata o discrezionale delle operazioni da
compiere dall’applicatore del diritto, incide sul modo di svolgimento e
motivazione, non invece sulla praticabilità e la natura di una
funzione istituzionale, che incorpora in via di principio sia vincoli
tassativi sia ambiti di discrezionalità, rimettendosi la scelta fra le
diverse tecniche normative (salvi ulteriori, specifici vincoli
costituzionali nelle diverse materie) alla legge stessa cui i giudici
“sono soggetti” (art. 101 Cost.).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 121, terzo comma, del t.u. delle norme concernenti la
disciplina della circolazione stradale, approvato con d.P.R. 15 giugno
1959, n. 393, nel testo sostituito dal l’art. 5 della legge 5 maggio
1976, n. 313, nella parte in cui punisce con l’ammenda di lire 800 mila
e con 15 giorni di arresto chiunque circoli con un veicolo che superi
di oltre trenta quintali il peso complessivo consentito, in relazione
agli artt. 3, 24, 27, primo e terzo comma, 101 e 102 Cost. sollevate
dai Pretori di S. Donà di Piave, Udine, Adria, Città della, San Vito
al Tagliamento, Biella, Agordo, Piana degli Albanesi, Portogruaro,
Cento, Porto Torres, Pattada, Città di Castello, Sorgono, Cervignano,
Piacenza, Codogno, Grosseto, Cervignano del Friuli, Casalmaggiore,
Codroipo, Pergine Valsugana, Trento, Gemona del Friuli, Piombino,
Massa, Empoli, Castelfranco Veneto, Grumello del Monte nonché dal
Tribunale di orvieto con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere