Sentenza N. 503 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
15/11/1989
Data deposito/pubblicazione
15/11/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/10/1989
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 14 febbraio
1989 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a
carico di Giuliani Antonio, iscritta al n. 233 del registro ordinanze
1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29,
prima serie speciale, dell’anno 1989;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice
relatore Giovanni Conso;
merito alla richiesta di riesame dell’ordine di cattura emesso il 23
dicembre 1987 a carico di Giuliani Antonio, aveva, con ordinanza del
26 gennaio 1988, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 13 della
Costituzione, questione di legittimità dell’art. 314 del codice
penale militare di pace, in forza del quale, se non obbligatoria a
norma dell’art. 313, “è sempre consentita l’emissione di mandato (o
ordine) di cattura contro l’imputato di qualsiasi reato militare non
colposo, con l’unica eccezione dei reati di duello (artt. 201 e 211
c.p.m.p.)”, di modo che proprio “in forza del citato art. 308 è
consentita l’emissione del provvedimento restrittivo della libertà
personale per il reato attribuito al Giuliani, nonostante la pena per
esso prevista non sia che la reclusione militare da sei mesi a due
anni”.
Questa Corte, con ordinanza n. 4 del 1989, considerato che il
Giuliani era stato sottoposto a privazione della libertà personale
in seguito ad arresto in flagranza e che la sua cattura era comunque
obbligatoria ex art. 308 del codice penale militare di pace,
dichiarava inammissibile la questione allora proposta.
2. – Riavuti gli atti, il Tribunale militare di Padova ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 52, ultimo comma,
della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 308 del
codice penale militare di pace.
L’indiscriminato obbligo di arresto nella flagranza di ogni reato
militare (eccettuate soltanto le contravvenzioni di cui agli artt.
150 e 154 D.P.R. 14 febbraio 1964 n. 237), stabilito dalla norma
denunciata, contrasterebbe, anzitutto, con l’art. 13, terzo comma,
della Costituzione, venendo ad accomunare nell’identico trattamento
limitativo della libertà personale qualsiasi tipo di reato, “senza
distinzione alcuna sulla base del bene giuridico tutelato, o della
quantità della pena edittale, o della procedibilità d’ufficio o a
richiesta del comandante”, così da non soddisfare i requisiti della
“necessità e urgenza”.
L’art. 308 violerebbe, poi, l’art. 3 della Costituzione, e sotto
un duplice profilo: per un verso, perché attribuisce al militare che
commetta un reato militare un trattamento più severo rispetto a
quanto previsto dagli artt. 235 e 236 del codice di procedura penale
e, per un altro verso, perché – stando alla giurisprudenza della
Corte di cassazione – nel caso di connessione di reati militari con
reati comuni risulterebbero applicabili, anche con riferimento al
reato militare, le più liberali disposizioni del codice di procedura
penale. Tali disparità di trattamento non potrebbero essere
giustificate dal particolare rigore richiesto per le esigenze di
tutela delle Forze armate e, quindi, dalle peculiarità inerenti
all’esercizio della funzione di polizia giudiziaria e dell’azione
penale: esigenze del genere hanno senza dubbio un qualche fondamento,
ma possono trovare una risposta sia nel fatto che, in assenza della
norma impugnata, per i più gravi reati militari opererebbero gli
artt. 235 e 236 del codice di procedura penale sia nella
constatazione che la polizia giudiziaria militare sarebbe tuttora
vincolata ad attuare determinati interventi nella flagranza di
qualsiasi reato militare.
Infine, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con gli
artt. 2 e 52, ultimo comma, della Costituzione, dovendo il
procedimento penale militare svolgersi nel rispetto dei princìpi
fondamentali della Carta costituzionale, soprattutto quando a venire
in considerazione è il diritto di libertà personale, tanto è vero
che per tale ragione la Corte ha dichiarato l’illegittimità
dell’art. 309 del codice penale militare di pace (v. sentenza n. 74
del 1985).
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 20, prima serie speciale, del
17 maggio 1989.
Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Secondo l’Avvocatura, la “specialità” del reato militare rispetto
al reato comune renderebbe non irrazionale la diversità di
disciplina voluta dal legislatore in tema di arresto in flagranza
“per quel che attiene alla ‘soglia’ di punibilità cui è riconnessa
l’operatività dell’istituto”. Una “soglia”, comunque, già altre
volte superata dallo stesso legislatore comune con la previsione
dell’arresto sia per reati contravvenzionali sia anche al di fuori
dei casi di flagranza (fattispecie, quest’ultima, ritenuta non
illegittima dalla Corte: v. sentenza n. 64 del 1977).
Quanto alla disparità di trattamento derivante dalla connessione
fra reati di competenza del giudice ordinario e reati di competenza
del giudice militare, la questione sarebbe inammissibile, non
essendosi tale ipotesi in alcun modo verificata nella specie (v.
ordinanza n. 4 del 1989, emessa nel procedimento a quo).
“gravi illegittimità che sembrano caratterizzare” l’art. 308 del
codice penale militare di pace, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e
52 della Costituzione.
2. – L’ordinanza di rimessione lamenta, innanzi tutto, la
violazione dell’art. 13, terzo comma, della Costituzione, là dove
viene sancito il principio che “l’autorità di polizia può adottare
provvedimenti restrittivi solo ‘in casi eccezionali di necessità ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge”. L’art. 308 del codice
penale militare di pace non rispetterebbe tale principio, imponendo
agli ufficiali di polizia giudiziaria militare “il generale obbligo”
di “procedere ad arresto nella flagranza di qualsiasi reato militare
punibile con pena detentiva o con pena più grave, in tal modo
praticamente riferendosi ad ogni reato militare (eccettuate le
contravvenzioni di cui agli artt. 150 e 154 D.P.R. 14 febbraio 1964
n. 237)”.
3. – Più precisamente, la questione così enunciata ha quale
oggetto il primo comma dell’articolo censurato. È in forza di tale
comma, infatti, che “Le persone indicate nell’art. 301” dello stesso
codice penale militare di pace (cioè, le persone preposte alle
funzioni di polizia giudiziaria militare) “devono procedere o far
procedere all’arresto di chiunque è colto in flagranza di un reato
militare, punibile con pena detentiva o con pena più grave”,
restando irrilevante il peraltro pleonastico inciso finale, che si
preoccupa di mantenere “ferma la osservanza dei modi prescritti dai
regolamenti per l’accesso in luoghi militari”.
4. – La questione è fondata.
Senza porre menomamente in discussione la tassatività
dell’indicazione dei casi di arresto in flagranza da parte del
legislatore penale militare, il giudice a quo non nega che i
requisiti della “necessità ed urgenza” del provvedimento restrittivo
si possano “indurre presuntivamente” dalla stessa situazione di
flagranza di reato, ma per aggiungere subito dopo che, “quando,
tuttavia, l’arresto, come avviene per l’art. 308, debba essere
inderogabilmente adottato in presenza di qualsiasi reato”,
l’attualità insita nella flagranza “non appare più da sola idonea a
soddisfare l’accennato requisito della “necessità ed urgenza’”.
Invero, se, trattandosi di arresto obbligatorio in flagranza, gli
estremi della necessità ed urgenza “vanno considerati in relazione
alle esigenze dell’acquisizione e della conservazione delle prove”
(v. sentenza n. 3 del 1972, pure per i richiami alla sentenza n. 173
del 1971; cfr., inoltre, sentenza n.79 del 1982), nonché
all’assoggettabilità dell’arrestato a giudizio direttissimo (v.
sentenza n. 126 del 1972) – finalità tutte perseguibili soltanto
attraverso l’immediato intervento dell’autorità di polizia in
temporanea vece dell’autorità giudiziaria, lontana normalmente dalla
flagranza o quasi flagranza dei reati – altrettanto non si può dire
per il requisito dell'”eccezionalità”.
È questo, non quelli, a risultare carente allorché l’arresto in
flagranza venga prescritto dal legislatore nei confronti di qualsiasi
reato rientrante nello speciale sistema sanzionatorio cui la norma
sull’arresto si riferisce, tanto da assurgere ad aspetto
caratterizzante del sistema stesso. Non si può certo parlare di
“casi eccezionali di necessità ed urgenza” a fronte di una normativa
che, in nome della necessità ed urgenza “inducibili”, o meglio
deducibili, dalla flagranza di reato, impone sempre l’arresto di
polizia in presenza di essa, sì da farne una situazione talmente
generalizzata da ricomprendere tutti i reati previsti dal codice
penale militare di pace. Né bastano le due contravvenzioni punibili
con la sola pena pecuniaria – menzionate dalla medesima ordinanza
come le uniche ipotesi di reato militare non punibile con pena
detentiva o più grave (artt. 150 e 152 d.P.R. 14 febbraio 1964, n.
237) – a modificare, rovesciandoli, i termini della situazione. A
parte l’opinione (non condivisa dal giudice a quo) di chi, in seguito
alla legge 24 novembre 1981, n. 689, ritiene depenalizzate anche le
suddette contravvenzioni, si tratterebbe pur sempre di violazioni
che, per il fatto di non contemplare l’irrogazione finale di una pena
detentiva, non potrebbero comunque giustificare l’adozione di misure
restrittive della libertà personale né da parte dell’autorità di
polizia né da parte dell’autorità giudiziaria (v. sentenze n. 215
del 1983 e n. 39 del 1970).
La conclusione può essere soltanto una: l’art. 308, primo comma,
del codice penale militare di pace, nell’allontanarsi dalla regola
ordinaria – contrassegnata in materia di restrizioni della libertà
personale dal principio generale dell’intervento preventivo
dell’autorità giudiziaria (v. sentenza n. 64 del 1977) – difetta del
requisito dell’eccezionalità richiesto dall’art. 13, terzo comma,
della Costituzione. Un tale requisito non può certo consentire che
alla riserva di giurisdizione posta dal secondo comma dello stesso
articolo siano apportate deroghe aventi una sfera di applicabilità
talmente ampia ed esaustiva da tradursi, a loro volta, in regola
assoluta, così collocandosi agli antipodi di ciò che si intende per
eccezionalità (v. sentenza n. 74 del 1985).
5. – La conclusione raggiunta dispensa dall’esaminare, perché
assorbiti in essa, gli altri motivi di illegittimità prospettati dal
giudice a quo, a cominciare dalla disparità di trattamento ravvisata
nel ” diverso e più liberale contenuto degli artt. 235 e 236 c.p.p.,
a danno del militare che commetta un reato militare”. Le conseguenze
della declaratoria di illegittimità dell’art. 308, primo comma, sono
evidenti: a determinare i casi di arresto in flagranza nei confronti
di reati militari commessi da militare non potranno che essere, allo
stato della legislazione, le disposizioni del diritto processuale
penale ordinario (artt. 380 e 381 del codice di procedura penale del
1988, subentrati agli artt. 235 e 236 del codice di procedura penale
del 1930). Il dettato dell’art. 261, prima parte, del codice penale
militare di pace è lineare in proposito: “Salvo che la legge
disponga diversamente, le disposizioni del codice di procedura penale
si osservano anche per i procedimenti davanti ai tribunali militari”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 308, primo
comma, del codice penale militare di pace.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 ottobre 1989.
Il Presidente e redattore: CONSO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 15 novembre 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI