Sentenza N. 511 del 1991
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1991
Data deposito/pubblicazione
30/12/1991
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/12/1991
Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI; prof. Enzo CHELI, dott.
Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI;
della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi
civici e gestione delle terre civiche) promosso con ordinanza emessa
il 16 aprile 1991 dal Commissario regionale per il riordinamento
degli usi civici in Abruzzo nel procedimento demaniale vertente tra
il Comune di Avezzano ed il Consorzio per il nucleo industriale di
Avezzano iscritta al n. 488 del registro ordinanze 1991 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie
speciale, dell’anno 1991;
Udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
della natura di demanio civico o allodiale di alcuni terreni alienati
dal Comune di Avezzano al Consorzio per il nucleo industriale di
quella città, avendo il rappresentante del Comune depositato una
deliberazione della giunta comunale in data 11 aprile 1991, con cui
si chiede la sclassificazione dei terreni medesimi ai sensi dell’art.
10, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n.
25 (modificata dalla legge reg. 8 settembre 1988, n. 77), il
Commissario regionale per il riordinamento degli usi civici in
Abruzzo, reputando che la definizione del giudizio dipenda dalla
delibera che il Consiglio regionale adotterà in merito alla domanda,
ha sollevato, con ordinanza del 16 aprile 1991, questione di
legittimità costituzionale del citato art. 10, secondo comma.
2. – Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata viola l’art.
117 Cost., in quanto “vulnera i principi fondamentali posti dalla
legge nazionale 16 giugno 1927, n. 1766, dell’imprescrittibilità dei
diritti di uso civico, nonché dell’inusucapibilità e
dell’indisponibilità delle terre collettive .. sottoposte al vincolo
dell’immutabilità della loro destinazione”; viola l’art. 118 perché
attribuisce alla Regione “poteri che non sono certamente di natura
amministrativa, ma legislativa”; viola infine l’art. 42 Cost.,
perché “i diritti proprietari della collettività vengono
praticamente espropriati senza che alla medesima sia corrisposto
alcun compenso a titolo di indennizzo”.
25, modificato dalla legge reg. 8 settembre 1988, n. 77, dispone al
secondo comma: “Nei casi in cui, per effetto di utilizzazioni
improprie ormai consolidate, porzioni di terre civiche abbiano da
tempo irreversibilmente perduto la conformazione fisica e la
destinazione funzionale di terreni agrari, ovvero boschivi e
pascolivi, il Consiglio regionale, su richiesta motivata del Comune
territorialmente interessato, ovvero dell’Amministrazione separata
frazionale, sentito il Comune, se trattasi di beni di pertinenza
frazionale, può disporre la sclassificazione di dette terre dal regime demaniale civico”. La disposizione è impugnata dal Commissario
regionale per il riordinamento degli usi civici per preteso
contrasto:
a) con l’art. 117 Cost., perché “vulnera i principi
fondamentali posti dalla legge nazionale 16 giugno 1927, n. 1766,
dell’imprescrittibilità dei diritti di uso civico, nonché
dell’inusucapibilità e dell’indisponibilità delle terre
collettive”, soggette a “vincolo di immutabilità della loro
destinazione”;
b) con l’art. 118 Cost., perché non rispetta “i limiti della
delega stabilita dall’art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616”,
attribuendo alla Regione “poteri che non sono certamente di natura
amministrativa, ma legislativa”;
c) con l’art. 42, terzo comma, Cost., perché con la prevista
“sclassificazione” di terre civiche i diritti di proprietà della
collettività “vengono praticamente espropriati senza che alla
medesima sia corrisposto alcun compenso a titolo di indennizzo”.
2. La questione non è fondata.
Per valutare correttamente se la norma denunciata si mantenga
nella cornice dei principi fondamentali risultanti dalla legge del
1927 sugli usi civici, occorre considerare che le diverse e più
remunerative possibilità di occupazione, prodotte dal sopravvenuto
sviluppo industriale del Paese anche nelle zone tradizionalmente
agricole, hanno ridotto a dimensioni modestissime le economie
familiari di produzione per il consumo, determinando un progressivo
abbandono dell’esercizio degli usi civici collegati a quelle
economie. Tale fenomeno ha comportato che terreni gravati da usi
civici, di cui si è quasi perduto il ricordo, sono stati alienati
dai Comuni trascurando le condizioni e le procedure previste
dall’art. 12 della legge del 1927, per finalità di pubblico
interesse connesse ai bisogni di urbanizzazione (dal 1927 la
popolazione italiana è pressoché raddoppiata) o ai bisogni
dell’industrializzazione, apportatrice di nuovi posti di lavoro.
La regolarizzazione di siffatte situazioni alla stregua del citato
art. 12, come vorrebbe il giudice a quo, è difficilmente
praticabile, sia perché presuppone l’assegnazione dei terreni a una
o l’altra delle categorie distinte dall’art. 11, mentre essi hanno
ormai perduto da tempo l’originaria destinazione agricola o boschivo-pastorale, sia perché impone l’onere di rinnovazione dell’atto di
vendita con un nuovo prezzo calcolato tenendo conto dell’attuale
destinazione urbanistica o industriale dei terreni. Oltre a tutto, il
Comune sarebbe esposto al rischio di vedersi citato in giudizio, ai
sensi dell’art. 1338 cod. civ., con una domanda di risarcimento dei
danni sofferti dall’acquirente per avere confidato, senza sua colpa,
nella validità del precedente contratto. Sulla base di quel
contratto e del prezzo allora convenuto è stata fatta, nel caso in
esame, l’analisi dei costi-benefici dell’insediamento industriale in
vista del quale i terreni di cui è causa sono stati alienati dal
Comune di Avezzano.
3. – Occorre perciò, pur nel quadro della legge nazionale,
trovare spazi a leggi regionali di sanatoria. La soluzione adottata
dall’art. 10 della legge abruzzese utilizza a tale scopo il modello
della “sclassificazione” dei beni demaniali (art. 829 cod. civ.),
fondandosi sul fatto che le terre civiche ivi considerate “hanno da
tempo perduto irreversibilmente la conformazione fisica e la
destinazione funzionale di terreni agrari ovvero boschivi o
pascolivi”. Non si tratta di una “sdemanializzazione” esonerata dal
presupposto della previa assegnazione dei terreni a categoria. La
sclassificazione è un atto di natura meramente dichiarativa, che
accerta la perdita delle caratteristiche che qualificavano i terreni
come beni di demanio collettivo, con conseguente esclusione di questa
specifica ragione di nullità della vendita stipulata senza le
condizioni dell’art. 12 della legge del 1927, e quindi, se la vendita
fosse già avvenuta, restando esclusa la necessità di rinnovazione
del contratto.
La norma denunciata non viola il limite indicato dall’art. 117
Cost., ma anzi risponde a un principio generale della legislazione
statale, desumibile dagli artt. 39 e 41 del r.d. 26 febbraio 1928, n.
332, nel senso che sono consentite in ogni caso – con
l’autorizzazione del Ministro dell’agricoltura (sentito il parere del
Commissario regionale per gli usi civici), e ora della Regione (non
soggetta al requisito del detto parere preventivo) – l’alienazione o
la concessione, previo mutamento di destinazione, di terre civiche
quando le forme di utilizzazione previste dalla legge n. 1766 del
1927 non siano più possibili o risultino antieconomiche, mentre la
diversa destinazione sopravvenuta rappresenta un reale beneficio per
la generalità degli abitanti.
Questo principio si riflette nell’ultimo comma dell’art. 6 della
legge regionale (non impugnato): di esso il successivo art. 10,
secondo comma, costituisce un adattamento ordinato alla sanatoria di
mutamenti di destinazione già intervenuti, dei quali il Consiglio
regionale riconosce la rispondenza a finalità di interesse pubblico,
in pari tempo dichiarando che sono cessate definitivamente le ragioni
che giustificavano l’originario vincolo di destinazione, con
conseguente passaggio dei terreni nel patrimonio disponibile del
Comune.
4. – La seconda censura, indicata al punto 1, sub b), è
contraddittoria con la precedente. Il motivo di impugnazione sub a)
presuppone il riconoscimento alla Regione di una competenza
legislativa concorrente in materia di usi civici. Al contrario, il
motivo sub b) aderisce a una dottrina minoritaria, non condivisa da
questa Corte (cfr. sentenza n. 511 del 1988), la quale contesta la
valutazione degli usi civici come submateria dell’agricoltura e
foreste, sottesa all’art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977. Il
trasferimento delle funzioni amministrative in questa materia, in
quanto estranea all’elenco dell’art. 117 Cost., dovrebbe intendersi
in realtà come delega ai sensi dell’art. 118, secondo comma,
assistita dal limitato potere normativo previsto dall’art. 7 del
citato decreto, che la statuizione della norma in esame avrebbe
ecceduto.
Caduta la premessa, perde consistenza il riferimento
dell’impugnazione all’art. 118 Cost.
5. – Non appare violato, infine, l’art. 42, terzo comma, Cost.
L’atto di sclassificazione non è assimilabile all’espropriazione
forzata, essendo nella specie ordinato alla regolarizzazione di una
vendita, già avvenuta, finalizzata a un insediamento industriale che
rappresenta un reale beneficio per la collettività. Nella diversa
ipotesi, in cui il mutamento di destinazione dei terreni fosse
intervenuto indipendentemente da una alienazione da parte del Comune,
il prezzo ricavato dalla vendita successiva alla sclassificazione
dovrà essere destinato alla realizzazione di opere pubbliche di
interesse della collettività, secondo la prescrizione dell’art. 6,
sesto comma, della legge regionale. Questa norma, da sottintendersi
anche nell’art. 10, secondo comma, corrisponde all’art. 24 della
legge del 1927, escluso l’obbligo, che certo non può considerarsi un
principio vincolante per il legislatore regionale, dell’investimento
del prezzo in titoli del debito pubblico intestati al Comune.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10, secondo comma, della legge della Regione Abruzzo 3
marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle
terre civiche), sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 42
della Costituzione, dal Commissario regionale per il riordinamento
degli usi civici con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 1991.
Il presidente: CORASANITI
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI