Sentenza N. 512 del 1990
Corte Costituzionale
Data generale
30/10/1990
Data deposito/pubblicazione
30/10/1990
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/10/1990
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
notificato il 7 aprile 1990, depositato in Cancelleria il 17 aprile
successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto
del Ministro dell’ambiente 26 gennaio 1990, intitolato:
“Individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle
norme tecniche generali relative alle attività di stoccaggio,
trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie”,
ed iscritto al n. 11 del registro conflitti 1990;
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 1990 il Giudice
relatore Antonio Baldassarre;
Uditi l’Avvocato Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento
e l’Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
depositato, la Provincia autonoma di Trento propone conflitto di
attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto del
Ministro dell’ambiente 28 gennaio 1990, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 1990, avente ad oggetto:
“Individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle
norme tecniche generali relative alle attività di stoccaggio,
trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie”.
La Provincia ricorrente, ricordata la propria competenza
esclusiva in materia di urbanistica, tutela del paesaggio e lavori
pubblici di interesse provinciale, nonché quella concorrente in
materia di igiene e sanità, e, più in generale, la propria
competenza in materia di tutela dell’ambiente (v. sent. n. 183 del
1987) – competenza esercitata con una copiosa normativa -, deduce
che, ove il decreto del Ministro dell’ambiente fosse ritenuto
applicabile nel territorio provinciale, lo stesso sarebbe lesivo
delle competenze provinciali sotto vari profili.
Innanzitutto, la disposizione contenuta nell’art. 1, primo comma,
includendo tra le materie prime secondarie anche i residui derivanti
da raccolte differenziate o finalizzate svolgentesi nell’ambito dei
servizi relativi ai rifiuti solidi urbani, esorbiterebbe dalla
previsione legislativa (art. 2, primo e terzo comma, decreto-legge n.
397 del 1988, convertito nella legge 9 novembre 1988, n. 475) che
rinvia al Ministro dell’ambiente la individuazione di tali materie.
Per la ricorrente, l’individuazione delle materie prime secondarie
dovrebbe considerarsi specificamente legata ai residui dell’attività
produttiva industriale, che, pur costituendo “rifiuti” in senso
proprio (e come tali soggetti alla normativa posta dal d.P.R. 10
settembre 1982, n. 915), possono essere introdotti, eventualmente
previo adeguato trattamento, nel circuito produttivo. I rifiuti
oggetto di raccolte differenziate sarebbero, viceversa, del tutto
estranei alla problematica delle materie prime secondarie e la loro
disciplina andrebbe rinvenuta nella normativa sui rifiuti solidi
urbani, e non già nel d.P.R. n. 915 del 1982 (v. in particolare
artt. 6 e 8, i quali affidano ai comuni la gestione dei servizi per i
rifiuti solidi urbani).
Illegittima sarebbe, altresì, l’inclusione tra le materie prime
secondarie anche dei residui, derivanti da processi produttivi, dei
quali il detentore o lo smaltitore possano dimostrare – sulla base di
“idonea documentazione contrattuale”, il primo, e di “idonea
dichiarazione”, il secondo – l’effettiva destinazione al riutilizzo
(art. 3, primo comma, lettere b e c), in quanto in questo modo si
rimetterebbe alla volontà di un privato una determinazione che la
legge (art. 2, terzo comma, del decreto-legge n. 397 del 1988) affida
a un atto dell’autorità amministrativa.
Inoltre, il decreto impugnato sarebbe lesivo della competenza
provinciale là dove pretende di dettare norme generali per
l’attività di utilizzazione, stoccaggio, trasporto e trattamento
delle materie prime secondarie. Premesso che il decreto-legge n. 397
del 1988 autorizza il Ministro dell’Ambiente soltanto a dettare
“norme tecniche generali” e che in questa nozione debbono
ricomprendersi esclusivamente quelle prescrizioni caratterizzate da
uno scarso, se non nullo, tasso di discrezionalità amministrativa,
che siano espressione di scelte meramente tecniche, dettate da una
indiscutibile esigenza di uniformità su tutto il territorio
nazionale, la ricorrente osserva che il decreto impugnato sarebbe
andato ben al di là di questi confini. Pertanto, a suo giudizio,
sarebbero sicuramente lesive delle competenze provinciali norme come
quelle contenute nell’art. 4, primo comma (individuazione delle
condizioni per la sottrazione delle operazioni di trattamento al
regime di autorizzazione di cui al d.P.R. n. 915 del 1982), nell’art.
6 (norme di sicurezza, durata massima dello stoccaggio provvisorio),
negli artt. 7, 8, 9 (imposizione di obblighi ai privati carenti di
base legislativa), nell’art. 10 (previsione di una dichiarazione di
identificazione dal contenuto predeterminato), nell’art. 11
(attribuzione di compiti ad un ente territoriale), nell’art. 12
(poteri di controllo tramite accessi ed ispezioni) e nell’art. 13
(norme in tema di importazione ed esportazione di materie prime
secondarie).
Né, sempre a giudizio della ricorrente, il decreto impugnato
potrebbe esser ritenuto legittimo considerandolo espressione della
funzione di indirizzo, promozione e coordinamento di cui all’art. 2,
quarto comma, del decreto-legge n. 397 del 1988, dal momento che
questa funzione va esercitata nelle forme previste dall’art. 2, terzo
comma, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, forme che nel
caso non si riscontrano.
Da ultimo, sempre ad avviso della ricorrente, il decreto
impugnato sarebbe illegittimo, in quanto, avendo esso indubbiamente
carattere regolamentare, sarebbe stato adottato senza il rispetto del
procedimento di formazione dei regolamenti ministeriali previsto
dall’art. 17, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ed in
particolare senza la preventiva acquisizione del parere del Consiglio
di Stato.
2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri
contestando la fondatezza del ricorso.
Premesso che le competenze provinciali rilevanti sono quelle, di
tipo concorrente, in materia di igiene e sanità e considerato che in
sede di conflitto non possono sollevarsi censure relative alle
previsioni del decreto-legge n. 397 del 1988, convertito nella legge
n. 475 del 1988, ovvero attinenti al merito delle scelte operate dal
decreto impugnato, l’Avvocatura dello Stato osserva, in primo luogo,
che la individuazione tra le materie prime secondarie di residui
derivanti da raccolta finalizzata non potrebbe interferire con le
competenze relative alla raccolta dei rifiuti solidi urbani, dal
momento che la disciplina posta dal decreto impugnato concernerebbe
fasi successive alla raccolta.
Inoltre, sempre ad avviso dell’Avvocatura, il decreto impugnato
non intenderebbe sostituirsi a un atto di indirizzo e coordinamento
basato sull’art. 2, quarto comma, del decreto-legge n. 397 del 1988,
poiché la funzione ivi prevista è stata espressamente fatta salva
dall’art. 6, quarto comma, del decreto impugnato, al pari delle
competenze regionali e provinciali, le quali sono state fatte salve
dall’art. 1, quarto comma, dello stesso atto.
Infine, conclude l’Avvocatura, le censure relative alla
formazione dell’atto impugnato basate sul presupposto che questo sia
un atto regolamentare ed in particolare, quella relativa alla
mancanza del parere del Consiglio di Stato, non sarebbero rilevanti
in questa sede, non essendo deducibili nei giudizi per conflitto di
attribuzione.
3. – Entrambe le parti in giudizio hanno presentato memorie.
La Provincia osserva, innanzitutto, che la disposizione invocata
dall’Avvocatura dello Stato a sostegno della salvezza delle
competenze provinciali (art. 1, quarto comma) sarebbe formulata in
modo ambiguo e sembrerebbe limitarsi semplicemente a confermare i
poteri che l’art. 2, sesto comma, del decreto-legge n. 397 del 1988
attribuisce a regioni e province e che sono proprio quelli che si
ritengono qui lesi (disciplina delle modalità per il controllo
dell’utilizzazione delle materie prime secondarie, determinazione di
modalità e condizioni per l’esclusione delle stesse dall’ambito di
applicazione della normativa in tema di rifiuti).
La Provincia contesta, poi, che le competenze provinciali in
discussione siano solo quelle in materia di igiene e sanità (v.
sentt. nn. 183 e 192 del 1987, 744 del 1988 e 324 del 1989). E, dopo
aver sottolineato che i vizi procedimentali possono essere fatti
valere se si riverberano in lesione delle competenze provinciali o
regionali (sent. n. 302 del 1988), conclude che il formale rinvio a
norme di indirizzo e coordinamento non varrebbe a nascondere la
realtà, per la quale il decreto impugnato avrebbe invaso lo spazio
destinato ad una fonte diversa.
Anche l’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato una memoria
nella quale rileva che, come la definizione dei rifiuti compete alla
legislazione statale, così anche quella delle materie prime
secondarie non potrebbe non spettare allo Stato, dal momento che
costituirebbe la base per un trattamento differenziato dei residui
derivanti da processi produttivi di cui è preferibile favorire la
destinazione alla riutilizzazione. Pertanto, poiché la Provincia di
Trento non ha impugnato l’art. 2 della legge n. 475 del 1988, nella
parte in cui deferisce ad un decreto ministeriale la individuazione
delle materie prime secondarie, il conflitto proposto nei confronti
del decreto che effettua tale individuazione dovrebbe essere
dichiarato, prima ancora che non fondato, inammissibile. Alla stessa
conclusione porterebbe pure il rilievo che la Provincia di Trento
chiederebbe a questa Corte un sindacato sulle scelte di merito, senza
che dal modo in cui la individuazione è fatta possano derivare
lesioni alle competenze provinciali.
L’Avvocatura ribadisce, poi, la sua posizione sull’infondatezza
del ricorso proposto, rilevando la natura di norme tecniche in
relazione alle previsioni contenute nel decreto impugnato,
considerato che “la normazione tecnica demandata alle fonti
ministeriali non può non dedicarsi a stabilire condizioni e limiti
che consentono (…) di sottoporre le materie prime secondarie a
controlli e procedure diverse da quelli che valgono per i rifiuti
veri e propri, nonché le definizioni della disciplina alternativa”.
attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto del
Ministro dell’ambiente 26 gennaio 1990, intitolato “Individuazione
delle materie prime secondarie e determinazione delle norme tecniche
generali relative alle attività di stoccaggio, trasporto,
trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie”. Secondo la
ricorrente, tale decreto – nell’estendere la nozione di materia prima
secondaria anche ai residui derivanti da raccolte finalizzate dei
rifiuti solidi urbani e nel dettare norme diverse da quelle tecniche
generali, impositive fra l’altro di obblighi a soggetti privati, in
materia di stoccaggio, di trasporto, di trattamento e di riutilizzo
delle materie prime secondarie – lederebbe tanto le competenze, di
carattere esclusivo, ad essa garantite dall’art. 8, nn. 5, 6 e 17,
dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670), in materia di urbanistica, tutela del paesaggio e
lavori pubblici d’interesse provinciale, quanto le competenze, di
tipo concorrente, ad essa garantite dall’art. 9, n. 10, dello stesso
Statuto in materia di igiene e sanità e, più in generale, in
materia di ambiente. La medesima ricorrente ritiene poi che la
lesione delle suddette attribuzioni si sia realizzata anche
attraverso la violazione delle norme interposte contenute nell’art.
2, quarto comma, del decreto – legge 9 settembre 1988, n. 397
(Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti
industriali), convertito nella legge 9 novembre 1988, n. 475, e
nell’art. 17, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
2. – Premesso in via generale che il decreto ministeriale
impugnato deve ritenersi applicabile anche alla Provincia di Trento,
per il fatto che la dichiarazione di salvezza delle competenze
regionali contenuta nell’art. 1, quinto comma, dello stesso decreto
non è altro che una clausola di stile priva di qualsiasi efficacia
concreta, e premesso che, nel caso in esame, è posta in discussione
la competenza concorrente della Provincia autonoma di Trento in
materia di ambiente (v. sent. n. 183 del 1987), va innanzitutto
respinto il ricorso relativamente alla censura concernente l’art. 2,
nella parte in cui include nella definizione di “materia prima
secondaria”, oltre ai residui derivanti da processi produttivi,
quelli provenienti da raccolte finalizzate.
Sulla base della prospettazione operata dalla ricorrente, pur non
potendosi dubitare che il potere di individuare le materie prime
secondarie spetti allo Stato, e, in particolare, al Ministro
dell’ambiente, sussisterebbe nel caso un esercizio illegittimo di
quel potere, dal momento che l’estensione della suddetta nozione ai
residui solidi urbani confluiti in raccolte finalizzate
contrasterebbe con l’art. 2, primo comma, del decreto-legge n. 397
del 1988, che circoscrive la definizione delle materie prime
secondarie ai “residui derivanti da processi produttivi e (…)
suscettibili, eventualmente previi idonei trattamenti, di essere
utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della
stessa o di altra natura”. In tal modo, per la parte ora in esame, il
decreto impugnato lederebbe le competenze che la Provincia autonoma
di Trento possiede in materia di igiene e sanità e di tutela
dell’ambiente da inquinamenti, interferendo illegittimamente con i
poteri che la ricorrente ha titolo di svolgere (e di fatto ha già
svolto) nell’ambito dei servizi relativi ai rifiuti solidi urbani.
Tuttavia, l’interpretazione dell’art. 2, primo comma, del
decreto-legge n. 397 del 1988 proposta dalla Provincia autonoma di
Trento, per le ragioni appresso indicate, non può essere condivisa.
Secondo il suo proprio concetto, per “materia prima secondaria”
deve intendersi qualsiasi residuo, tanto se derivante da un processo
di produzione quanto da uno di consumo (uso), il quale, essendo
suscettibile di riutilizzazione o di sfruttamento economico, viene
reimmesso in un circuito avente come destinazione finale il suo
impiego nella produzione in qualità di materia prima. In mancanza di
un collegamento di tal natura con una destinazione produttiva,
qualsiasi residuo non può neppure esser logicamente concepito come
“materia prima secondaria”, per il fatto che il legame, anche
indiretto, con una destinazione produttiva rappresenta un elemento
necessario affinché un determinato residuo non possa essere
considerato un “rifiuto” e possa essere assoggettato, invece, alla
disciplina speciale delle “materie prime secondarie”.
Questa determinazione concettuale è chiaramente richiamata
dall’art. 2, primo comma, del decreto-legge n. 397 del 1988 allorché
esige che le “materie prime secondarie” debbano consistere in residui
“suscettibili, eventualmente previi idonei trattamenti, di essere
utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della
stessa o di altra natura”. La stessa disposizione di legge, poi,
include nella medesima definizione l’ulteriore requisito della
provenienza del residuo da processi produttivi, facendo riferimento
in tal modo all’evenienza usualmente ricorrente nella pratica, anche
se non necessariamente richiesta per la qualificazione di un residuo
come “materia prima secondaria”. Infatti, ove sussistano sostanze o
materiali residuati da utilizzazioni diverse da quelle produttive
(uso, consumo) e tuttavia aventi come destinazione finale il
reimpiego in qualità di materia prima in un ulteriore processo di
produzione, essi non possono non essere definiti come “materie prime
secondarie” e non possono non essere assoggettati, a pena di una
profonda irragionevolezza, alla distinta disciplina propria di queste
ultime.
Nell’esercizio del potere di individuazione dei residui da
classificare e da disciplinare come “materie prime secondarie”,
conferitogli dall’art. 2, terzo comma, del decreto-legge n. 397 del
1988, il Ministro dell’ambiente si è attenuto alla definizione ora
ricordata. L’art. 2 del decreto ministeriale impugnato, infatti,
oltre a riprendere nei suoi termini generali la definizione contenuta
nell’atto legislativo sul quale si fonda, precisa ulteriormente che i
residui destinati al reimpiego come materie prime in altri processi
di trasformazione economica possono derivare tanto da processi
produttivi quanto da raccolte finalizzate.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente,
l’inclusione dei residui provenienti dalle raccolte finalizzate
indicate nell’elenco allegato al decreto impugnato, non costituisce
una violazione delle disposizioni di legge che, dopo aver dato la
definizione di “materia prima secondaria”, ne affidano
l’individuazione a un decreto del Ministro dell’ambiente, da adottare
di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e
dell’artigianato (art. 2, primo e terzo comma, del decreto-legge n.
397 del 1988). Se, come si è precedentemente precisato, la
destinazione finale di un residuo deve esser considerata come il
criterio di individuazione primario e preminente e se, dunque, un
determinato residuo deve esser definito e disciplinato come “rifiuto”
ovvero come “materia prima secondaria” a seconda che ad esso sia
impressa la destinazione finale dell’abbandono ovvero quella del
reimpiego produttivo in qualità di materia prima, allora la
devoluzione a una raccolta finalizzata di una sostanza o di un
materiale, quali quelli di cui all’elenco allegato al decreto
impugnato, mostra obiettivamente che al residuo considerato è stata
impressa la destinazione finale della reimmissione nel ciclo
economico. Le raccolte finalizzate indicate nell’elenco si
giustificano, infatti, solo in vista del fine della riutilizzazione
economica degli stessi. E se quest’ultima può essere di vario tipo
e, comunque, non comporta di per sé una effettiva destinazione
finale del residuo verso un ulteriore processo produttivo in qualità
di materia prima, resta il fatto che di quest’ultimo esito non si
può escludere la possibilità. Sicché, come non è arbitrario
prevedere che le materie prime secondarie provengano da raccolte
finalizzate, così è pienamente ammissibile che, ove in seguito alla
raccolta sia impressa al residuo una effettiva e obiettiva
destinazione finale al reimpiego nella produzione in qualità di
materia prima, si ritenga di dover applicare all’anzidetto residuo la
disciplina sulle “materie prime secondarie” anziché quella sui
“rifiuti”.
Per questo profilo, pertanto, il decreto ministeriale impugnato
non può esser considerato esercizio illegittimo del potere di
individuazione delle materie prime secondarie che l’art. 2, terzo
comma, del decreto-legge n. 397 del 1988 conferisce al Ministro
dell’ambiente. Né contro tale conclusione può valere l’argomento,
presente in recenti sentenze della Corte di giustizia delle Comunità
Europee e di giudici nazionali, per il quale la disciplina sui
rifiuti va applicata a qualsiasi residuo oggettivamente destinato
all’abbandono senza che rilevi la sua suscettibilità ad essere
reimpiegato nell’attività produttiva. Infatti, non è l’intrinseco
valore patrimoniale del residuo o l’astratta suscettibilità dello
stesso ad essere riutilizzato in un processo di trasformazione
economica a far considerare il residuo come una “materia prima
secondaria”, ma è, piuttosto, la sua attuale, effettiva e oggettiva
destinazione finale alla produzione a renderlo sottoponibile al
distinto regime giuridico delle “materie prime secondarie”.
3. – Prive di fondamento sono altresì le censure che la
Provincia autonoma di Trento rivolge allo stesso decreto impugnato in
relazione alle disposizioni contenute nell’art. 3, lettere b ) e c),
sul presupposto che queste ultime, nel far dipendere l’individuazione
delle “materie prime secondarie” da una “idonea documentazione
contrattuale” o da una “idonea dichiarazione dello smaltitore”,
rinvierebbero in concreto, per la predetta individuazione, ad atti di
privati, in violazione dell’art. 2, terzo comma, del decreto – legge
n. 397 del 1988, che richiede invece, allo stesso scopo, un atto di
una autorità pubblica (decreto del Ministro dell’ambiente).
Anche sotto il profilo ora esaminato l’interpretazione che la
ricorrente dà alle disposizioni impugnate non può essere condivisa.
Nel conferire al Ministro dell’ambiente il potere di individuazione
delle “materie prime secondarie”, l’art. 2, terzo comma, del
decreto-legge n. 397 del 1988 non predetermina i criteri di
individuazione, ma segue la via di predisporre una definizione (primo
comma) e di autorizzare il Ministro dell’ambiente a identificare,
sulla base di quella definizione, i vari residui che potrebbero
essere reimpiegati come materie prime in ulteriori processi
produttivi. Con il decreto impugnato il Ministro ha proceduto a tale
individuazione facendo ricorso, in via primaria, al metodo tabellare,
nel senso che ha predisposto un elenco di residui che, per la loro
particolare provenienza e la loro specifica destinazione produttiva,
debbono essere considerati “materie prime secondarie” (v. art. 3,
primo comma, nonché la tabella contenuta nell’allegato n. 1).
Tuttavia, in considerazione della rapida evoluzione tecnologica e del
conseguente rischio che la rigidità di un’elencazione tabellare
possa far sfuggire alla disciplina delle “materie prime secondarie”
residui aventi in effetti la natura propria di queste ultime, il
Ministro dell’ambiente ha non arbitrariamente integrato
l’individuazione per mezzo della tabella con una basata su un
criterio “aperto”, da applicarsi in via succedanea in relazione a
residui che, pur non essendo compresi nella tabella allegata al
decreto, debbono parimenti considerarsi “materie prime secondarie” in
ragione della loro effettiva e oggettiva destinazione finale al
reimpiego in un processo produttivo in qualità di materie prime.
Diversamente da quanto suppone la ricorrente, la scelta di un
criterio come quello da ultimo menzionato non comporta lo slittamento
del potere di individuazione delle “materie prime secondarie” dal
Ministro dell’ambiente agli operatori dai quali proviene la
documentazione richiesta. In realtà, il criterio di individuazione
delle “materie prime secondarie” resta pur sempre quello fissato dal
Ministro dell’ambiente e, prima ancora, dalle disposizioni
legislative precedentemente ricordate: l’effettiva e oggettiva
destinazione finale dei residui al reimpiego nella produzione come
materie prime. La “idonea documentazione contrattuale”, cui si
riferisce l’art. 3, lettera b), del decreto impugnato e la “idonea
dichiarazione dello smaltitore”, richiesta dall’art. 3, lettera c),
dello stesso decreto, costituiscono non già gli atti di
individuazione, ma piuttosto i mezzi documentali dai quali partire
per provare l’effettiva e oggettiva destinazione finale dei residui
verso la riutilizzazione produttiva.
In altri termini, poiché il decreto ministeriale impugnato ha
non irragionevolmente integrato l’elenco tabellare delle “materie
prime secondarie” con la predisposizione di modalità di
individuazione basate su un criterio di effettività e, come tali,
comportanti un accertamento da svolgere di volta in volta sulla base
di verifiche relativamente complesse, esso ha altresì introdotto una
serie di cautele e di adempimenti vòlti a fornire a quest’ultimo
tipo di individuazione un sufficiente grado di certezza e di
omogeneità rispetto alle modalità di individuazione connesse con il
sistema tabellare. A tal fine lo stesso decreto, all’articolo ora
esaminato, richiede in via generale che tanto la documentazione
contrattuale quanto la dichiarazione dello smaltitore siano “idonee”:
siano tali, cioè, da indurre a non ritenere affatto sufficiente
un’indagine sull’elemento “psicologico” degli atti di volontà
(dichiarazione o contratto) richiesti come principi di prova
dell’effettiva e oggettiva destinazione del residuo, ma ad esigere,
anzi, che quegli atti di volontà siano così circostanziati e
suffragati da elementi di fatto inequivocabilmente conducenti al
medesimo fine che non si possa ragionevolmente avere alcun dubbio
circa l’effettiva e oggettiva destinazione finale del residuo
considerato al reimpiego produttivo in qualità di materie prime.
L’art. 3 del decreto ministeriale impugnato, allo scopo di
prevenire abusi o frodi nel traffico dei rifiuti o nel loro
riciclaggio, ha, pertanto, considerato non sufficiente come mezzo di
prova dell’esistenza di una “materia prima secondaria” la mera
volontà contrattuale o la semplice dichiarazione dello smaltitore,
ma ha implicitamente richiesto, nel prevedere il requisito della loro
“idoneità”, che quelle manifestazioni di volontà siano accompagnate
da dati oggettivi e inequivocabilmente certi, quali, ad esempio, la
possibilità tecnica che un certo residuo possa essere riutilizzato
come materia prima in un ulteriore processo produttivo, la
convenienza economica dell’impiego della materia prima secondaria
rispetto a quello della corrispondente materia prima, la destinazione
produttiva specifica verso la quale il residuo è indirizzato e, ove
abbia oggettiva rilevanza, la provenienza del residuo stesso.
Inoltre, lo stesso decreto ministeriale, sempre in collegamento
necessario con il requisito della “idoneità” della documentazione
contrattuale e della dichiarazione dello smaltitore, ha espressamente
previsto agli articoli successivi una serie di adempimenti (“obbligo
di dichiarazione”, “obbligo di informazioni”, tenuta dei registri di
carico e di scarico, “scheda di identificazione”) e di controlli
rivolti ad accertare l’effettiva e oggettiva destinazione finale del
residuo e a verificare la corrispondenza alla realtà della
documentazione contrattuale o della dichiarazione dello smaltitore.
4. – Parimenti non fondate sono le censure che la ricorrente
muove all’art. 6 del decreto ministeriale impugnato, sul presupposto
che esorbiterebbe dal potere del Ministro dell’ambiente di
determinazione delle “norme tecniche” una “disposizione che prevede
l’applicazione ad un determinato oggetto di altre normative tecniche”
e che, quindi, non potrebbe essere qualificata essa stessa come norma
tecnica.
Premesso che l’impugnazione della Provincia deve ritenersi
circoscritta ai primi tre commi dell’art. 6, là dove è prevista,
con alcune correzioni, l’estensione alle “materie prime secondarie”
delle normative tecniche di sicurezza e le relative procedure
autorizzative previste per le attività industriali e commerciali
relative alla materia prima corrispondente o, in mancanza di quelle,
delle norme tecniche di sicurezza previste per i rifiuti speciali
ovvero tossici e nocivi, non si può dubitare che l’esercizio del
potere contestato, per la parte in cui si riferisce al rinvio a norme
tecniche di sicurezza, rientri nei limiti di legittimità stabiliti
in proposito. Infatti, nel ripartire le competenze fra lo Stato e le
regioni (e le province autonome) in attuazione degli artt. 117 e 118
della Costituzione e dei corrispondenti articoli degli Statuti
speciali sulle potestà legislative e amministrative regionali (e
provinciali) in materia di igiene e sanità e di protezione
dell’ambiente, l’art. 2 del decreto-legge n. 397 del 1988 – oltre a
riconoscere allo Stato la funzione di indirizzo, promozione e
coordinamento delle attività connesse all’utilizzazione, allo
stoccaggio, al trasporto, al trattamento e ai controlli relativi
(comma quarto) e oltre ad attribuire al Ministro dell’ambiente il
già ricordato potere di individuazione delle “materie prime
secondarie” (comma terzo) – conferisce allo stesso Ministro il potere
di “determinare le norme tecniche generali relative alle attività di
cui al comma quarto” (v. art. 2, quinto comma). Ebbene, che
quest’ultimo potere sia stato esercitato attraverso il rinvio a norme
tecniche previste per altre materie o sostanze (come nei primi due
commi dell’articolo impugnato) ovvero attraverso una diretta
formulazione delle corrispondenti prescrizioni (come nel terzo comma)
non modifica la natura della funzione esercitata. Pertanto, il rinvio
ad altre norme tecniche non può comportare di per sé un’esorbitanza
dai limiti di legittimità propri del potere di determinazione delle
norme tecniche generali, potere che, in ogni caso, non può
confondersi con potestà di natura regolamentare.
5. – Tanto perché esorbitano dal ricordato potere ministeriale
di adottare le norme tecniche generali, quanto perché sono
assolutamente prive della dovuta base legale, vanno invece ritenute
lesive delle competenze costituzionalmente assicurate alle regioni e
alle province autonome le disposizioni che il decreto impugnato pone
agli artt. 4, primo comma, 6, primo comma, limitatamente alle
procedure autorizzative ivi considerate, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13.
La maggior parte di tali articoli contiene statuizioni che
impongono agli operatori del settore alcuni adempimenti, i quali,
come si è precedentemente accennato, sono finalizzati alle verifiche
e ai controlli necessari per assicurare che il trattamento e il
commercio delle “materie prime secondarie” avvenga in conformità con
quanto stabilito nel decreto ministeriale e, in particolare, nel
rispetto della destinazione effettiva dei residui in relazione alle
ipotesi previste nell’art. 3, lettere b ) e c), dello stesso decreto.
Più precisamente, l’art. 7 impone un “obbligo di dichiarazione” dei
soggetti che svolgano o intendano svolgere le attività di
stoccaggio, trasporto, trattamento o riutilizzo di materie prime
secondarie sotto il regime giuridico proprio di queste ultime,
consistente nell’invio al Ministro dell’ambiente e alla regione
interessata di una relazione esplicativa delle attività svolte o da
svolgere, corredata da alcuni dati, ivi indicati, relativi alla
quantità e alle tipologie delle “materie prime secondarie” cui
quelle attività si riferiscono. L’art. 8 impone agli stessi soggetti
un “obbligo di informazione” da esercitarsi annualmente verso la
regione interessata o la provincia delegata in relazione agli stessi
dati di cui all’articolo precedente. L’art. 9, poi, prevede un
“obbligo di tenuta di registri di carico e scarico con fogli numerati
e bollati dall’ufficio del registro”, nei quali chi esercita
attività di produzione, di stoccaggio, di trattamento, di
adeguamento volumetrico o di riutilizzo di materie prime secondarie
deve annotare giornalmente e in modo congruo alcuni dati precisamente
indicati nello tesso articolo. Infine, l’art. 10 stabilisce, per chi
effettua il trasporto delle “materie prime secondarie”, che questo
sia accompagnato da una “scheda di identificazione”, il cui contenuto
e il cui regime (conservazione, sostituibilità, etc.) sono fissati
dallo stesso articolo.
Per altra parte gli articoli impugnati estendono alle “materie
prime secondarie” alcune norme di valore legislativo previste per i
rifiuti o per le materie prime. Così l’art. 6, primo comma, estende
alle “materie prime secondarie” la disciplina delle procedure
autorizzative prevista dalla normativa vigente per le attività
industriali o commerciali relative alla materia prima corrispondente.
L’art. 11, richiamando il contenuto dell’art. 7, secondo comma, del
d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, attribuisce alle province poteri di
controllo sulle attività (stoccaggio, trasporto, etc.) relative alle
“materie prime secondarie”. L’art. 12, poi, nel suo primo comma,
riformula in sostanza le norme previste dall’art. 11 del citato
d.P.R. n. 915 del 1982, autorizzando, da un lato, le autorità
competenti al controllo ad effettuare accessi o ispezioni all’interno
di stabilimenti, imprese o impianti e, dall’altro lato, vincolando i
titolari di questi ultimi a fornire le informazioni richieste.
Ancora, il secondo comma dello stesso art. 12, con esplicito
riferimento all’ormai abrogato art. 3 del codice di procedura penale
del 1930, impone all’autorità amministrativa che rilevi omissioni o
infedeltà nelle dichiarazioni e nelle registrazioni di cui agli
artt. 7, 9 e 10 dello stesso decreto di fare rapporto all’autorità
giudiziaria ordinaria ai fini dell’eventuale promovimento dell’azione
penale. L’art. 13, inoltre, espressamente estende alle materie prime
secondarie la disciplina che il decreto 22 ottobre 1988, n. 457,
sulla base dell’art. 9- bis, terzo comma, del decreto-legge n. 397
del 1988, prevede solo per l’esportazione ed importazione dei
rifiuti. Infine, l’art. 4, primo comma, dispone che restano soggette
alle autorizzazioni di cui al d.P.R. n. 915 del 1982 le operazioni di
trattamento delle materie prime secondarie che non comportino il solo
adeguamento volumetrico, nonché quelle di trasporto dal luogo di
produzione al luogo di trattamento e lo stoccaggio intermedio.
Tutte le norme e le prescrizioni ora citate devono essere
osservate come condizione per l’applicazione ad un residuo della
disciplina relativa alle “materie prime secondarie” invece di quella
relativa ai “rifiuti” (v. art. 1, secondo comma, del medesimo
decreto). In altri termini, l’osservanza del complesso di norme
appena citato costituisce la previa condizione affinché un residuo
sia “svincolato” dalla disciplina generale sui “rifiuti” per essere
sottoposto al regime speciale delle “materie prime secondarie”. In
particolare, anzi, in mancanza degli adempimenti previsti negli artt.
7, 8, 9 e 10 e dei controlli indicati nei successivi artt. 11 e 12,
la stessa individuazione delle “materie prime secondarie” da
svolgersi in base ai criteri delineati nell’art. 3, lettere b ) e c),
non può neppure essere compiuta con le garanzie di certezza
richieste. Tuttavia, questo stretto legame logico e giuridico non
può giustificare l’elusione del rispetto del principio di legalità
operata, con le disposizioni indicate, sotto un duplice profilo: sia
in quanto sono statuizioni che esorbitano dai limiti propri del
potere ministeriale di adottare le norme tecniche generali; sia in
quanto impongono adempimenti in materie che la Costituzione sottopone
a riserva relativa di legge o al principio di legalità sostanziale.
Pertanto, pur rientrando in attribuzioni spettanti allo Stato, le
disposizioni ora esaminate interferiscono illegittimamente con
competenze costituzionalmente garantite alle regioni e alle province
autonome, dal momento che sono state adottate senza la dovuta
copertura legale e con un atto (decreto ministeriale) inidoneo a
validamente porre norme diverse da quelle tecniche generali.
Resta assorbito ogni altro profilo di legittimità sollevato
dalle parti in giudizio.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che spetta allo Stato definire e individuare le materie
prime secondarie nei modi e nei termini risultanti dagli artt. 2 e 3,
lettere b ) e c) del decreto del Ministro dell’ambiente 26 gennaio
1990, intitolato “Individuazione delle materie prime secondarie e
determinazione delle norme tecniche generali relative alle attività
di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie
prime secondarie”;
Dichiara che spetta allo Stato adottare con decreto ministeriale
le norme tecniche di sicurezza di cui all’art. 6, primo, secondo e
terzo comma, del citato decreto del Ministro dell’ambiente;
Dichiara che non spetta allo Stato adottare, con decreto del
Ministro dell’ambiente, le disposizioni di cui agli artt. 4, primo
comma, 6, primo comma, limitatamente alla previsione delle procedure
autorizzative ivi considerate, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del citato
decreto ministeriale;
E, conseguentemente, annulla gli artt. 4, primo comma, 6, primo
comma, limitatamente alla previsione delle procedure autorizzative
ivi considerate, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 del citato decreto del
Ministro dell’ambiente.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 1990.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: BALDASSARRE
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 30 ottobre 1990.
Il direttore della cancelleria: MINELLI