Sentenza N. 512 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
31/12/1993
Data deposito/pubblicazione
31/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/12/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, prof. Cesare RUPERTO;
decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della
direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavori subordinati in
caso di insolvenza del datore di lavoro), promossi con n. 3 ordinanze
emesse il 21 aprile, il 29 giugno ed il 23 aprile 1993 dal Pretore di
Brescia nei procedimenti civili vertenti tra Assoni Daniele ed altri
e l’I.N.P.S. ed altri, iscritte ai nn. 343, 568 e 569 del registro
ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 27 e 40, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visti gli atti di costituzione di Amadei Emanuela e Cameletti
Giovanni Battista e dell’I.N.P.S. nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 1993 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
Uditi l’avv. Rina Sarto per l’I.N.P.S. e l’Avvocato dello Stato
Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri;
contro l’I.N.P.S. e la Presidenza del Consiglio dei ministri per
ottenere – previo accertamento della responsabilità dello Stato
italiano per la mancata tempestiva attuazione della direttiva CEE n.
80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di
insolvenza del datore di lavoro – la condanna dell’INPS al pagamento
dell’indennità prevista dall’art. 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio
1992, n. 80, il Pretore di Brescia, con ordinanza del 21 aprile 1993,
ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 6, del citato decreto legislativo (erroneamente indicato nel
dispositivo come decreto-legge) per contrasto con l’art. 3 Cost.
Il d.lgs. n. 80 del 1992, che ha attuato la menzionata direttiva
comunitaria, è stato emanato in base alla delega conferita al
Governo dall’art. 48 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge
comunitaria per il 1990). Essendo intervenuta, nel corso del termine
della delega, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee 19 novembre 1991 (cause riunite C-6/90 e C-9/90), che ha
dichiarato la responsabilità dello Stato italiano per i danni
derivati ai singoli della mancata adozione entro il termine
prescritto (23 ottobre 1983) dei provvedimenti occorrenti per
l’attuazione della direttiva, l’art. 2, comma 7, della legge delegata
ha previsto una regola speciale per la determinazione del danno, che
viene commisurato alla prestazione corrisposta nel sistema a regime
dal Fondo di garanzia istituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, e
un’altra regola speciale che assoggetta l’azione per ottenere
l’indennità risarcitoria al termine di decadenza di un anno dalla
data di entrata in vigore del decreto.
Dagli artt. 2, comma 6, e 4 il giudice remittente argomenta che
“il Fondo è ex lege tenuto a sostituirsi all’insolvente datore di
lavoro nel pagamento delle tre ultime mensilità di retribuzione
soltanto per le ipotesi previste nell’art. 1 verificatesi dopo
l’entrata in vigore del decreto, mentre per il periodo precedente
viene affermato l’obbligo del risarcimento del danno a carico dello
Stato italiano”. Dovrebbe conseguirne, a suo avviso, un giudizio di
illegittimità costituzionale del comma 7 per violazione dell’art. 81
Cost., non essendo “prevista alcuna copertura finanziaria in
relazione agli oneri ricadenti direttamente sullo Stato”. Tuttavia,
poiché la caducazione del comma 7 comporterebbe una ingiustificata
discriminazione a danno dei lavoratori coinvolti in procedure
concorsuali contro datori di lavoro insolventi iniziate anteriormente
all’entrata in vigore del decreto n. 80 del 1992, l’ordinanza
preferisce censurare il precedente comma 6 di violazione del
principio di eguaglianza, in quanto esclude i detti lavoratori dal
campo di intervento del Fondo di garanzia gestito dall’INPS. Per tal
via sarebbe assicurato il rispetto sia dell’art. 3 Cost., perché
anche i lavoratori cui si riferisce il comma 7 potrebbero far valere
il loro diritto contro il Fondo di garanzia, sia dell’art. 81 Cost.,
perché l’onere finanziario troverebbe copertura nell’art. 4 del
decreto.
2. – Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è
costituito l’INPS concludendo per l’inammissibilità della questione
in conseguenza della sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 285 del
1993, che ha interpretato il comma 7 individuando nell’INPS, in
qualità di gestore del Fondo di garanzia, il soggetto passivo del
diritto di indennizzo ivi previsto.
3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione
sia dichiarata manifestamente infondata alla stregua della sentenza
richiamata.
4. – Con successiva ordinanza del 23 aprile 1993 lo stesso Pretore
– nel corso di analogo giudizio promosso da Giovanni Cameletti – ha
impugnato gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 80 del 1992 per contrasto:
a) con l’art. 3 Cost., perché discriminano ingiustificatamente
i lavoratori dipendenti da imprese in stato di insolvenza a seconda
del momento di inizio delle procedure indicate nell’art. 1;
b) con gli artt. 24 e 25 Cost., perché escludono l’intervento
del Fondo di garanzia nel caso di inizio delle procedure
anteriormente all’entrata in vigore del decreto senza individuare il
soggetto tenuto al pagamento dell’indennità di cui al comma 7,
rendendo così impossibili o gravemente difficoltosi l’esercizio del
diritto e la determinazione del giudice competente;
c) con l’art. 81 Cost., perché, anche ammesso che l’esclusione
dell’obbligo a carico del Fondo possa essere intesa come obbligo
gravante direttamente sullo Stato e, per esso, sul Governo,
insorgerebbe l’ostacolo della mancanza di copertura dell’onere
finanziario.
5. – Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è
costituita la parte privata chiedendo in principalità che la
questione di legittimità costituzionale, così come prospettata
dall’ordinanza di rimessione, sia dichiarata manifestamente infondata
in conformità della sentenza n. 285 del 1993; in subordine, che la
Corte sollevi d’ufficio davanti a sé questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, commi 6 e 7, per contrasto con gli artt.
3, 24, 25 e 76 Cost., in guisa da rimuovere ogni differenza di
trattamento in ordine ai periodi anteriore e posteriore all’entrata
in vigore del decreto n. 80.
6. – Si è pure costituito l’INPS ed è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, chiedendo, rispettivamente, una
dichiarazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza.
7. – Infine, successivamente alla sentenza n. 285 del 1993 di
questa Corte, la questione di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 6, per violazione dell’art. 3 Cost., è stata nuovamente
sollevata dal Pretore di Brescia con ordinanza del 29 giugno 1993.
Premesso di non poter condividere l’interpretazione che attribuisce
all’INPS, in qualità di gestore del Fondo di garanzia, la
legittimazione passiva all’azione indennitaria prevista dal comma 7,
il giudice remittente chiede che l’obbligo dell’INPS sia stabilito
con una sentenza caducatoria del comma 6, la quale “dirima la
questione senza margini di equivoco e senza interpretazioni
inaccettabili in diritto”.
8. – Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la parte
privata chiedendo in principalità una dichiarazione di manifesta
infondatezza della questione, in quanto sostenuta da “argomenti in
larga misura formalistici, centrati soprattutto su una contestabile
esegesi della disposizione concernente la copertura finanziaria”.
Ritiene tuttavia che la situazione di diritto sarebbe meglio chiarita
ove la Corte, sollevando d’ufficio la questione davanti a sé,
dichiarasse l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 6 e 7,
per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 76 Cost.
9. – Si è costituito pure l’INPS ed è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri con conclusioni analoghe a quelle
formulate nei due giudizi precedenti.
indicate in epigrafe (R.O. nn. 343 e 568/93) il Pretore di Brescia
solleva questione di legittimità costituzionale, per contrasto con
l’art. 3 Cost., dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n.
80, interpretato nel senso di escludere la legittimazione passiva
dell’INPS, in qualità di gestore del Fondo di garanzia di cui
all’art. 1, alla pretesa di indennizzo riconosciuta dal comma 7 ai
lavoratori dipendenti da imprese divenute insolventi dopo la scadenza
del termine (23 ottobre 1983) per l’attuazione della direttiva CEE n.
80/987 e assoggettate a una procedura concorsuale o di
amministrazione straordinaria anteriormente all’entrata in vigore del
provvedimento attuativo.
Con la seconda ordinanza (R.O. n. 569/93) lo stesso Pretore
impugna l’art. 2 del medesimo decreto legislativo (in relazione ai
commi 6 e 7), per contrasto, oltre che con l’art. 3 Cost., con gli
artt. 24 e 25 Cost., in quanto “impedisce la tutela giudiziale dei
diritti dei detti lavoratori” non individuando il soggetto debitore
dell’indennità prevista dal comma 7 e rendendo così difficoltosa
anche la determinazione del giudice competente; nonché l’art. 4, per
violazione dell’art. 81 Cost., in quanto non prevede la copertura
finanziaria del relativo onere finanziario, “sicuramente non
ricadente sul predetto Fondo, ma in generale ricadente sullo Stato
italiano”.
2. – I giudizi instaurati dalle tre ordinanze hanno per oggetto
questioni analoghe, e pertanto è opportuno disporne la riunione
affinché siano decisi con unica sentenza.
3. – Le questioni non sono fondate.
Esse dipendono interamente dalla soluzione del dubbio
interpretativo circa il soggetto obbligato al pagamento
dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 2, comma 7, del d.lgs.
n. 80 del 1992. La sentenza n. 285 del 1993 di questa Corte ha
accolto l’interpretazione – già adottata dall’INPS con circolare n.
44 del 18 febbraio 1993 – che attribuisce la legittimazione passiva
allo stesso INPS per il tramite del Fondo di garanzia di cui all’art.
1 del decreto. Gli argomenti esegetici opposti dal Pretore di Brescia
non sono tali da indurre la Corte a mutare avviso.
L’art. 1, comma 1, del decreto dispone a carico del Fondo di
garanzia istituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, l’accollo (ex
lege) – entro certi limiti, precisati dall’art. 2, comma 1 – del
pagamento dei crediti di lavoro (diversi da quelli spettanti a titolo
di trattamento di fine rapporto) dei dipendenti di imprese
assoggettate a procedure concorsuali o di amministrazione
straordinaria. Poiché il Fondo si sostituisce al datore di lavoro
insolvente in attuazione della menzionata direttiva comunitaria, di
per sé non suscettibile di applicazione immediata, s’intende che
l’intervento del Fondo in veste di obbligato a titolo di accollo, a
norma del comma 1 e con le modalità indicate nei commi 2, 3, 4 e 5,
non opera – come precisa il comma 6 – se non nei casi in cui le dette
procedure siano state avviate posteriormente all’entrata in vigore
del decreto. La caducazione del comma 6, prospettata dal giudice a
quo, non risolverebbe la questione, posto che non si tratta di
estendere al caso del comma 7 l’intervento sostitutivo del debitore
originario in ordine alle retribuzioni spettanti ai prestatori di
lavoro: in quest’altro caso – che il comma 6 ha la funzione di tenere
distinto da quello regolato “dalle disposizioni che precedono” – il
lavoratore non fa valere un credito di lavoro, bensì un diritto
risarcitorio nei confronti di un organo o un ente (che occorre
individuare) dell’apparato statale, investito della correlativa
obbligazione a titolo originario.
Dal comma 6 si può argomentare soltanto che nel caso in cui la
procedura concorsuale o di amministrazione straordinaria sia
intervenuta prima dell’entrata in vigore del decreto n. 80 il Fondo
di garanzia non si accolla il pagamento dei crediti di lavoro ai
sensi delle disposizioni dei commi precedenti; nessun argomento
negativo si può trarne, invece, in merito all’ipotesi interpretativa
che lo stesso INPS, gestore del Fondo, sia a diverso titolo
passivamente legittimato (per volontà di legge) all’azione di
indennizzo accordata in questo caso dal comma 7 in esecuzione della
sentenza della Corte di giustizia. La collocazione della norma nel
corpo dell’art. 2, sotto il titolo “intervento del Fondo di
garanzia”, fornisce piuttosto un’indicazione – non decisiva, ma
orientativa – nel senso dell’articolazione dell’intervento in due
forme distinte, corrispondenti al diverso titolo e alla diversa
natura dei diritti del lavoratore previsti dal comma 1 e dal comma 7.
Questa indicazione trova conferma nell’art. 48, lett. g), della
legge delega n. 428 del 1990, secondo cui “l’attuazione della
direttiva del Consiglio 80/987/CEE non dovrà comportare oneri a
carico del bilancio dello Stato e degli enti del settore pubblico
allargato”. Considerato che, in virtù del criterio generale
impartito dall’art. 2 lett. f), della legge medesima, il potere
legislativo conferito al Governo si estende all’attuazione della
sentenza 19 novembre 1991 della Corte di giustizia (cfr. sent. n. 285
del 1993 cit.), l’art. 48, lett. g), esclude che la legittimazione
passiva all’azione risarcitoria prevista dall’art. 2, comma 7, della
legge delegata possa essere individuata in capo a un organo
dell’amministrazione dello Stato impegnando una spesa direttamente
gravante sul bilancio statale; in pari tempo qualifica il richiamo
dell’intero art. 2, operato dall’art. 4, come indice dell’intenzione
del legislatore di porre a carico del Fondo di garanzia anche gli
oneri derivanti dall’applicazione dell’art. 2, comma 7. Invero, una
volta escluso che l’indennità possa onerare il bilancio dello Stato,
il canone della totalità ermeneutica, e per altro verso anche il
divieto di non liquet, non ammettono se non l’alternativa della
responsabilità dell’INPS (in qualità di gestore del Fondo di
garanzia), essa pure finanziata a norma dell’art. 4, mediante
ripartizione dell’onere tra i datori di lavoro, con possibilità di
revisione dell’aliquota contributiva, per gli anni successivi al
1992, in relazione all’andamento gestionale del Fondo.
Non varrebbe obiettare che in tal modo si fa ricadere sui datori
di lavoro l’onere del risarcimento del danno derivato da un fatto
illecito ad essi non imputabile, considerato che l’indennità
prevista dall’art. 2, comma 7, è commisurata alla responsabilità
debitoria che, anche per il periodo di cui si discute, sarebbe
accollata al Fondo se la direttiva comunitaria fosse stata
tempestivamente attuata.
4. – La conferma di questa interpretazione implica un giudizio di
infondatezza di tutte le censure rivolte nelle ordinanze di
rimessione contro gli artt. 2, commi 6 e 7, e 4 del decreto in esame,
in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 81 Cost.
Ne risulta chiarita e semplificata anche la domanda subordinata
formulata dalla parte privata nel secondo e nel terzo dei giudizi
riuniti, la quale si appunta in sostanza sul termine di decadenza
stabilito dall’art. 2, comma 7, ritenuto contrastante col precetto
della sentenza comunitaria di non prevedere condizioni tali da
rendere eccessivamente difficile l’esercizio dell’azione. Ma la
medesima ragione sottesa alla dichiarazione di inammissibilità di
tale questione nella sentenza n. 285 del 1993, impedisce che essa
possa essere sollevata d’ufficio dalla Corte davanti a se medesima.
In tutti i giudizi a quibus l’azione risarcitoria è stata
tempestivamente esercitata dai lavoratori interessati entro l’anno
dalla data di entrata in vigore del decreto n. 80, di guisa che la
questione risulta irrilevante.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 6, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione
della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), sollevata,
in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Brescia
con le ordinanze in epigrafe, iscritte in R.O. nn. 343 e 568/1993;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 2, commi 6 e 7, e 4 del citato decreto legislativo,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 81 della
Costituzione, dal medesimo Pretore con l’ordinanza in epigrafe,
iscritta in R.O. n. 569/1993.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA