Sentenza N. 513 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
04/12/2002
Data deposito/pubblicazione
04/12/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/11/2002
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella Camera di consiglio del 23 ottobre 2002 il Giudice relatore Paolo Maddalena.
1.2. – Il giudice a quo riferisce di essere stato investito, nel corso di un giudizio di responsabilità a carico di taluni ex amministratori del Comune di Valenzano, dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di citazione, formulata da uno dei convenuti, per omessa notifica dell’istanza di proroga – poi accolta dalla Sezione – per l’emissione dell’atto di citazione avanzata dal Procuratore regionale ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639.
Tale eccezione di inammissibilità non è stata ritenuta accoglibile dal remittente, stante “l’insormontabilità del dato normativo”, che “non prevede alcun onere o obbligo per il P.M. contabile di notificare l’istanza di proroga al convenuto”, e tenuto conto dell’orientamento in tal senso maturato dalla prevalente giurisprudenza sia delle Sezioni riunite che delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti.
1.3. – Sennonché, la disposizione normativa in questione non è apparsa al giudice a quo compatibile con l’art. 111 della Costituzione sotto il profilo della garanzia del contraddittorio, nella considerazione che la fase introdotta dall’istanza di proroga, a differenza di quella cui dà luogo l’invito a dedurre, ha “indubbia natura processuale”; considerato che il medesimo art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, “prevede il controllo del giudice contabile sull’istanza di proroga, il quale può avere due esiti: autorizzazione o mancata autorizzazione alla proroga”.
Da tale premessa deriverebbe – secondo il remittente – che anche nella fase processuale originata dall’istanza di proroga debba essere realizzato il contraddittorio, assicurando ai convenuti le garanzie minime necessarie perché si possa definire “giusto” il processo, e cioè la conoscenza dell’atto introduttivo del giudizio e “l’eguaglianza delle armi”, nonché la pari possibilità di influire, con argomentazioni, deduzioni e prove, sulla formazione del convincimento del giudice.
1.4. – Sulla base di tali argomentazioni, è stata ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, in relazione all’art. 111 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio del contraddittorio, non valendo in contrario la tesi che, comunque, nessun nocumento può derivare al presunto responsabile, dal momento che soltanto con la vocatio in judicium, si realizza la chiamata a difendersi da parte del destinatario della citazione; ciò in quanto, alla luce dell’art. 111 della Costituzione, il contraddittorio va inquadrato fra le garanzie oggettive e strutturali concernenti la giurisdizione, a differenza del diritto di difesa, che è garanzia soggettiva, “pur rappresentando la ‘difesa’ un insopprimibile strumento di attuazione del contraddittorio”.
1.5. – La prospettata questione di costituzionalità è apparsa altresì rilevante nel giudizio a quo, in quanto pregiudiziale ai fini di decidere l’eccezione di inammissibilità avanzata da uno dei convenuti; infatti, la carenza di contraddittorio riscontrabile nel segmento procedimentale all’esame potrebbe implicare l’inefficacia dell’assentita proroga del termine per l’emissione dell’atto di citazione, con riflessi sulla tempestività dell’atto introduttivo del giudizio di responsabilità.
2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con memoria del 9 luglio 2002, è intervenuto nel giudizio così promosso, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza della questione nel giudizio a quo o infondata nel merito, in quanto la fase originata dall’istanza di proroga del termine per l’emissione dell’atto di citazione avrebbe natura pre-processuale, non essendo resa nell’ambito del giudizio di responsabilità che inizia solo con la citazione.
2. – La questione non è fondata.
Questa Corte con la sentenza n. 163 del 1997 ha avuto modo di precisare che l’invito a dedurre – in quanto diretto all’acquisizione di ulteriori elementi in vista delle determinazioni del pubblico ministero – attiene ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale, sicché l’effettiva proposizione dell’azione di responsabilità è del tutto eventuale e solo con l’atto di citazione il giudice è investito della causa ed ha inizio il relativo giudizio (analogamente, sentenza n. 415 del 1995).
Nel ritenere la natura pre-processuale della fase che precede la notifica dell’atto di citazione, questa Corte ha preso le mosse dalla giurisprudenza contabile, la quale ne trae la conseguenza che l’invito a dedurre non valga a conferire al presunto responsabile del danno la qualità di parte e, quindi, a rendere necessaria la notifica ad esso dell’istanza di proroga proposta dal pubblico ministero.
Ora, se si segue la giurisprudenza della Corte dei conti secondo cui la decisione sull’istanza di proroga è reclamabile al collegio, ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ., nel termine di dieci giorni dalla avvenuta conoscenza del decreto, il presunto responsabile del danno dispone di uno strumento processuale utilizzabile per dolersi della concessa proroga; e la possibilità di instaurare il contraddittorio su questa esclude il denunciato vizio di legittimità costituzionale, ben potendo il legislatore differire il contraddittorio ad un momento successivo al provvedimento di adozione della proroga.
Qualora, poi, si ritenesse estraneo alla fase pre-processuale l’istituto del reclamo, introdotto in via pretoria dalla giurisprudenza contabile, dovrebbe concludersi che l’eventuale illegittimità del provvedimento concessivo della proroga potrebbe essere dedotta nella fase pienamente processuale iniziata con l’atto di citazione.
Nell’un caso e nell’altro, la posizione del presunto responsabile del danno non risulterebbe compromessa, nemmeno sotto il profilo della certezza rispetto all’iniziativa del pubblico ministero, poiché, ove non riceva l’atto di citazione entro centosessantacinque giorni dall’invito a dedurre, egli potrà verificare se sia stata disposta l’archiviazione, ovvero concessa la proroga. Il presunto responsabile del danno verrebbe così gravato di un onere di attività non eccedente il limite della ragionevolezza e che pertanto non incide negativamente sul suo diritto di difesa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 dicembre 1993, n. 453, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), come sostituito dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, recante disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), sollevata, in relazione all’art. 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia -, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2002.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA