Sentenza N. 519 del 1987
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1987
Data deposito/pubblicazione
17/12/1987
Data dell'udienza in cui è stato assunto
26/11/1987
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
il 22 marzo 1982 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica di Bari nei confronti di Laudati
Pasquale, iscritta al n. 734 del registro ordinanze 1982 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 dell’anno 1983;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1987 il Giudice
relatore Giovanni Conso;
dal Procuratore della Repubblica di Bari in ordine alla scelta della
decisione da eseguire nei confronti di Laudati Pasquale, avendo il
Pretore di Bari ed il Pretore di Prato emesso contro di lui per lo
stesso fatto sentenza di condanna passata in giudicato, ha, con
ordinanza del 22 marzo 1982, denunciato, in riferimento all’art. 24
della Costituzione, l’art. 579 del codice di procedura penale, “nella
parte in cui esclude la notifica del ricorso del P.M.
all”interessato'”.
Rilevato che soggetto interessato alla tutela apprestata dalla
norma sottoposta a censura è colui che nei processi di cognizione ha
rivestito la qualità di imputato, il giudice a quo osserva come non
possa negarsi il concreto ed attuale interesse di tale soggetto ad
avere formale “notizia” dell’instaurazione dell’iter processuale
disciplinato dall’art. 579 del codice di procedura penale, donde la
violazione dell’art. 24 della Costituzione, determinata
dall’impossibilità di partecipazione alla detta procedura del
“soggetto giudicato”, “quale portatore dell’interesse a prospettare,
dedurre e far quindi valere ogni sua ragione, di qualsivoglia natura,
comunque giuridicamente rilevante”.
Il fatto che nel giudizio di cassazione non sia prevista la
comparizione personale della parte privata e nel giudizio in camera
di consiglio nemmeno la comparizione del difensore non assume, ad
avviso della Corte di cassazione, alcuna rilevanza. Nella specie,
infatti, la partecipazione dell’interessato potrebbe “idoneamente
svolgersi attraverso la nomina di un difensore di fiducia”, mentre
l’esigenza ad essa sottostante non potrebbe essere soddisfatta con
l’eventuale nomina di un difensore di ufficio ai sensi degli artt.
532 e 533 del codice di procedura penale, essendo tale nomina
subordinata alla condizione che l’interessato non abbia provveduto
alla nomina di un difensore di fiducia.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.74 del 16 marzo 1983.
È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Premesso che l’art. 579 del codice di procedura penale è volto ad
eliminare l'”errore di funzionamento” in cui incorre la giustizia
penale quando, per il medesimo fatto, la stessa persona sia stata
giudicata e condannata più di una volta, e che tutta la procedura è
ispirata al principio del favor rei, l’Avvocatura ritiene che
l’omessa partecipazione dell’imputato non pregiudichi minimamente il
diritto di difesa. Proprio perché la norma impugnata fa obbligo alla
corte di cassazione – priva di ogni potere discrezionale al riguardo
– di adottare la soluzione più favorevole all’imputato, non
sussisterebbe alcun interesse difensivo “pregiudicato dalla mancata
notifica del ricorso”, né la difesa potrebbe espletare alcuna utile
funzione “in ordine alla scelta che la Corte dovrebbe operare”.
La difesa, conclude l’Avvocatura, non tende a garantire una
partecipazione meramente formalistica, ma mira “ad assicurare –
sostanzialisticamente – la tutela dei beni della vita”: nella specie,
le posizioni sostanziali dell’imputato non sono per nulla minacciate,
“onde appaiono carenti” sia “l’interesse sostanziale involto nel
procedimento che determinerebbe l’insorgere del diritto di difesa”
sia “l’interesse processuale ad interloquire, che ne costituirebbe la
misura d’esercizio”;
costituzionale dell’art. 579 del codice di procedura penale, “nella
parte in cui esclude la notificazione del ricorso del P. M.
all'”‘interessato'”, per contrasto con l’art. 24 della Costituzione.
Più precisamente, a venire in discussione, sotto il profilo
dell'”inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del
procedimento”, sancito dall’art. 24, secondo comma, della
Costituzione, è la parte centrale del primo comma dell’art. 579 del
codice di procedura penale. Tale comma, infatti, dopo aver premesso
che “Se più sentenze di condanna divenute irrevocabili sono
pronunciate contro la stessa persona per il medesimo fatto, il
procuratore generale o il procuratore della Repubblica della
circoscrizione a cui appartiene uno dei giudici che pronunciarono le
sentenze predette, promuove anche d’ufficio in qualsiasi tempo, con
ricorso alla corte di cassazione, la decisione circa la sentenza che
deve essere eseguita” e prima di disporre che “La corte in camera di
consiglio dichiara con ordinanza doversi eseguire la sentenza con cui
si pronunciò la condanna meno grave e annulla le altre”, detta
testualmente: “Tale ricorso non è notificato all’interessato”.
2. – L’ordinanza di rimessione muove dal rilievo che “il principio
fondamentale posto dall’art. 24 della Costituzione” comporta
“l’esigenza di rendere possibile la partecipazione” del “soggetto
giudicato” anche ad “un iter processuale” come quello disciplinato
dall’art. 579 del codice di procedura penale, “in ogni caso da
ricomprendersi nel lato concetto di “procedimento incidentale'”,
essendo tale soggetto “portatore dell’interesse a prospettare,
dedurre e far quindi valere ogni sua ragione, di qualsivoglia natura,
comunque giuridicamente rilevante”.
Tenuto conto dei limiti formali previsti per i giudizi di
cassazione, il giudice a quo ritiene che l’unico strumento idoneo a
consentire in qualche modo la partecipazione dell’interessato
all’iter in esame sia ravvisabile nella nomina di un difensore di
fiducia e, solamente se l’interessato non vi abbia provveduto, nella
nomina di un difensore d’ufficio (art. 532, secondo comma, del codice
di procedura penale). Ma, poiché la nomina di un difensore di
fiducia in tanto è possibile in quanto l’interessato sia messo al
corrente dell’avvio del procedimento, risulta innegabile l’esistenza
di un suo “concreto ed attuale interesse” ad avere “formale notizia
e, quindi, conoscenza dell’instaurazione dell’iter processuale
disciplinato dall’art. 579”. Lineare la conclusione che se ne trae:
il primo comma dell’art. 579, obliterando completamente tale
interesse, non sarebbe conforme all’art. 24 della Costituzione.
3. – La questione è fondata.
Le argomentazioni attraverso le quali l’ordinanza di rimessione
perviene a denunciare l’illegittimità costituzionale di quella parte
dell’art. 579 del codice di procedura penale che esclude la notifica
del ricorso del pubblico ministero all’interessato, trovano ampio
riscontro nella giurisprudenza di questa Corte. Molteplici sono,
invero, le affermazioni di principio e le applicazioni specifiche che
vi si rinvengono, sia per quanto riguarda l’applicabilità dell’art.
24, secondo comma, della Costituzione, a procedimenti giurisdizionali
diversi da quello di cognizione, come i procedimenti incidentali o
complementari (v., nell’ambito penale, sentenze n. 280 del 1985, n.
98 del 1982, n. 188 del 1980, n. 125 del 1979, n. 5 del 1976, n. 168
e n. 122 del 1972, n. 69 del 1970, n. 83 del 1969, n. 53 del 1968),
sia per quanto riguarda la funzione determinante della difesa tecnica
(sentenze n. 74 del 1973, n. 63 del 1972, n. 96 del 1971, n. 76 e n.
69 del 1970, n. 149 e n. 148 del 1969), sia per quanto riguarda la
necessità che all’imputato o al condannato sia assicurata
l’effettiva conoscenza degli atti essenziali al fine del procedere
(sentenze n. 280 del 1985, n. 178 del 1980, n. 57 del 1975, n. 177
del 1974, n. 186 del 1973, n. 168 e n. 77 del 1972, n. 25 del 1970,
n. 74 del 1965), così da consentirgli, anzitutto, “di designare il
difensore di fiducia” (sentenza n. 186 del 1973).
Altrettanto indiscutibile si appalesa l’adattabilità di ciascuno
di tali asserti all’istituto cui attiene la norma in esame: il
ricorso presentato dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 579 del
codice di procedura penale introduce un procedimento sicuramente
incidentale, autonomo rispetto ai normali incidenti di esecuzione,
legato com’è alla particolare problematica concernente l’esecuzione
di due o più giudicati in conflitto; la presenza di un difensore
gioverebbe a prospettare, dedurre e far valere ogni eventuale ragione
dell’interessato attraverso la presentazione di memorie o di istanze,
non essendo prevista nei giudizi di cassazione la comparizione
personale delle parti private e, trattandosi di decisione in camera
di consiglio, nemmeno quella dei difensori; la notifica del ricorso
all’interessato sarebbe, data la semplicità della procedura prevista
dall’art. 579, la più logica, se non l’unica, via per informare
l’interessato dell’imminenza della decisione circa la sentenza da
eseguire nei suoi confronti, consentendogli di attivarsi per
esternare il punto di vista a lui più favorevole.
4. – Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, che, nell’atto di
intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, conclude per
l’infondatezza della questione, l’asserito interesse del condannato
alla notifica del ricorso ed alla nomina di un difensore onde far
valere il proprio punto di vista sarebbe privo di reale consistenza,
riducendosi ad un vuoto formalismo, dal momento che l’art. 579 del
codice di procedura penale, chiaramente ispirato al principio del
favor rei, già di per sé obbliga la corte di cassazione ad
adottare, senza alcuna discrezionalità, “la soluzione più
favorevole per l’imputato”. In un contesto del genere, nessun effetto
sarebbe in grado di provocare l’intervento della difesa, né alcuna
incidenza avrebbero eventuali memorie difensive, trattandosi di una
“scelta, oltre che di mera legittimità, anche vincolata”.
5. – L’obiezione dell’Avvocatura dello Stato, pur muovendo da
premesse indiscutibili, non può essere condivisa. Nessun dubbio che
nell’art. 579 del codice di procedura penale trovi estrinsecazione il
principio del favor rei; nessun dubbio che la corte di cassazione sia
obbligata a disporre che si dia esecuzione “alla condanna meno
grave”. Ma ciò non significa che la “scelta” sia talmente
“vincolata” da risultare automatica. L’apparente automatismo, che il
secondo e il terzo comma dell’art. 579, limitandosi a fissare criteri
aritmetici per il ragguaglio fra eventuali pene di specie diversa,
sembrerebbero avallare, è smentito dalla constatazione che i casi in
cui la sentenza di condanna si risolve nella semplice comminatoria di
una pena principale non sono certo i più frequenti.
Accanto alla pena principale può trovar posto una misura di
sicurezza, una pena accessoria, un beneficio, un altro più
particolare effetto penale. La stessa eventuale diversità del titolo
di reato ritenuto in sentenza può avere, a parità di sanzioni,
riflessi non indifferenti. Ma, anche a limitarsi alla comminatoria
della sola pena principale, le incertezze nella scelta tra due o più
sentenze possono risultare non lievi, quando – come nel caso che ha
dato origine al procedimento a quo – essendosi in presenza di fatti
legati ad altri dal vincolo della continuazione, specie se in
differenti composizioni, si debba addivenire alla scomposizione degli
episodi e della pena complessivamente inflitta per individuare, in
ordine al fatto oggetto di più sentenze, quella che ha pronunciato
la condanna meno grave.
La configurabilità di un interesse processuale ad interloquire,
mediante il difensore tecnico, anteriormente all’emanazione della
pronuncia contemplata nella terza parte del primo comma dell’art. 579
del codice di procedura penale, non può, di conseguenza, essere
negata, donde l’illegittimità costituzionale di quell’altra parte
dello stesso comma, la seconda appunto, che esclude la notifica del
ricorso del pubblico ministero all’interessato, condizione in
mancanza della quale resta preclusa la nomina di un difensore di
fiducia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 579, primo
comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui,
riferendosi al ricorso del pubblico ministero, dispone: “Tale ricorso
non è notificato all’interessato”.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1987.
Il Presidente: SAJA
Il Redattore: CONSO
Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1987.
Il direttore della cancelleria: MINELLI