Sentenza N. 529 del 1995
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1995
Data deposito/pubblicazione
29/12/1995
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1995
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY;
della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano
urbanistico territoriale dell’area sorrentino-amalfitana), promosso
con ordinanza emessa il 28 giugno 1994 dal Tribunale amministrativo
regionale per la Campania sul ricorso proposto dalla Società GESVIT
contro il Comune di Massa Lubrense, iscritta al n. 498 del registro
ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1995;
Visti gli atti di costituzione della Società GESVIT nonché l’atto
di intervento della Regione Campania;
Udito nell’udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice
relatore Riccardo Chieppa;
Uditi l’avv. Giuseppe Abbamonte per la Società GESVIT e l’avv.
Livio Cacciafesta per la Regione Campania.
Massa Lubrense, costruito successivamente al 1955, con istanza in
data 14 ottobre 1993 aveva richiesto al comune autorizzazione per
l’esecuzione, su di uno dei bungalows in legno, di lavori di
manutenzione straordinaria, diretti alla sostituzione di alcune parti
dello stesso, ed alla integrazione dei servizi igienici. Il comune
aveva rigettato l’istanza assumendo che l’intervento richiesto
sarebbe stato in contrasto con l’art. 17 della legge della Regione
Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale
dell’area sorrentino-amalfitana).
Avverso il provvedimento di rigetto, la società GESVIT proponeva
ricorso al Tribunale amministrativo regionale che, con ordinanza
emessa in data 28 giugno 1994, pervenuta alla Corte costituzionale il
20 luglio 1995 (r.o. n. 498 del 1995), ha sollevato questione di
legittimità costituzionale della citata norma regionale, nella parte
in cui, al terzo comma, stabilisce che nella zona del piano
urbanistico territoriale classificata 1/a – in cui si assume ubicata
la costruzione in questione – non possa eseguirsi alcun intervento
edilizio, di manutenzione ordinaria e straordinaria e, per quella
classificata 1/b, consente, sugli edifici realizzati successivamente
al 1955, solo interventi di manutenzione ordinaria.
Ad avviso del collegio rimettente, il divieto di opere di
manutenzione straordinaria nella zona 1/b, e persino di manutenzione
ordinaria nella zona 1/a, si porrebbe in contrasto con l’art. 42
della Costituzione, determinando un continuo ed irreversibile degrado
dei beni oggetto del divieto stesso, per la impossibilità di
assicurare la sia pur minima opera di recupero del patrimonio
edilizio. Esso si risolverebbe, in ultima analisi, in un esproprio,
senza indennizzo, della proprietà.
Nella ordinanza si rileva la irrazionalità della normativa nel
confronto con la disciplina di cui all’art. 1-quinquies del
decreto-legge n. 312 del 1985, introdotto dalla legge di conversione
n. 431 del 1985, che, nell’imporre un vincolo di inedificabilità
assoluta a tutela delle bellezze paesistiche in vista dell’adozione
dei piani urbanistico-territoriali, esclude da tale vincolo gli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Si introduce, in tal modo, una ulteriore censura, consistente nel
contrasto con l’art. 117 della Costituzione, in quanto le
disposizioni citate del decreto-legge n. 312 del 1985, costituendo
principi fondamentali della legislazione statale, non sarebbero
derogabili ad opera di una legge regionale. Né il divieto contenuto
nella normativa impugnata rientrerebbe in alcune delle materie
attribuite alla competenza regionale: esso troverebbe, invece,
fondamento solo nella tutela del paesaggio e dei valori ambientali
del territorio.
Nell’ordinanza si invocano, altresì, gli artt. 41 e 97 della
Costituzione, senza che, peraltro, con riferimento ad essi, siano
esplicate le ragioni del lamentato vulnus.
2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la società
GESVIT, concludendo per la declaratoria di illegittimità
costituzionale delle disposizioni censurate, con argomentazioni
adesive ai rilievi contenuti nella ordinanza di rimessione, e
sviluppando i profili denunciati con riferimento ai principi di
uguaglianza, buon andamento, ragionevolezza ed imparzialità: la
normativa in questione avrebbe ancorato il limite temporale
(realizzazione prima e dopo il 1955), ai fini dell’ampiezza
dell’intervento ammissibile, ad un elemento arbitrario, che non trova
rispondenza né in un precedente provvedimento dell’amministrazione,
né in alcuna vicenda relativa alle bellezze paesistiche oggetto
della tutela.
3. – È, altresì, intervenuta la Regione Campania, che ha concluso
per la infondatezza della questione, osservando che la zona
territoriale 1/a è quella che comprende un paesaggio di
incomparabile bellezza paesistica, tale da indurre il legislatore
regionale a dettare norme di tutela particolarmente intensa,
consentendo per gli edifici costruiti fino al 1955, in armonia con
tale bellezza, interventi di restauro conservativo, ed escludendo,
per quelli realizzati “selvaggiamente” dopo il 1955, qualsiasi
intervento. La diversa tutela apprestata per la zona 1/b sarebbe
determinata dalla circostanza che questa comprende in modo prevalente
zone destinate all’agricoltura.
La regione ha, altresì, rilevato che i piani approvati ai sensi
dell’art. 1-bis della legge n. 431 del 1985, pur avendo natura di
piani urbanistici, sono, tuttavia, dotati di una specifica valenza
paesaggistica ed ambientale, in virtù della quale legittimamente
essi potrebbero dettare norme dirette alla conservazione di un
assetto territoriale di particolare pregio estetico, limitative della
proprietà. Questo escluderebbe la violazione sia degli artt. 41 e
42, sia dell’art. 117 della Costituzione, avuto riguardo alla
correlazione tra gli ambiti ambientale ed urbanistico.
costituzionale concerne l’art. 17 della legge della Regione Campania
27 giugno 1987, n. 35 (Piano urbanistico territoriale dell’area
sorrentino-amalfitana), e, segnatamente, il comma 3 dell’articolo
citato, nella parte in cui vieta la esecuzione di qualsiasi
intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria nella
zona classificata 1/a dal piano urbanistico territoriale dell’area
sorrentino-amalfitana, e consente, nella zona classificata 1/b, solo
interventi di manutenzione ordinaria per l’edilizia realizzata in
epoca successiva al 1955. Ad avviso del giudice a quo, tale
disciplina arrecherebbe, in contrasto con l’art. 42 della
Costituzione, un irreparabile pregiudizio al privato, cui verrebbe
sottratta, in modo permanente e definitivo, la possibilità di usare
e godere del bene per il quale si accerti la necessità di opere di
conservazione, con conseguente continuo ed irreversibile degrado
dello stesso. La normativa impugnata sarebbe destinata a determinare
un esproprio, senza indennizzo, della proprietà. Il collegio
rimettente deduce, altresì, la lesione dell’art. 117 della
Costituzione, sotto il profilo della esorbitanza dalla sfera delle
competenze regionali: le disposizioni di cui si tratta si porrebbero,
infatti, in contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalle
leggi dello Stato, che operano quale limite alla potestà legislativa
regionale, e, in particolare, con la disciplina di cui all’art.
1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, introdotto
dalla legge di conversione 8 agosto 1985, n. 431, che, nell’imporre
un vincolo di inedificabilità assoluta a tutela delle bellezze
paesistiche in vista dell’adozione, da parte delle regioni, dei piani
urbanistico-territoriali, aveva escluso da tale vincolo gli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
2. – La questione è fondata per i profili e nei limiti appresso
indicati.
Con la legge della Regione Campania n. 35 del 1987 è stato
approvato il piano urbanistico territoriale dell’area
sorrentino-amalfitana, in adempimento dell’art. 1-bis del
decreto-legge n. 312 del 1985, come convertito dalla legge n. 431
del 1985, che impone alle regioni l’obbligo di sottoporre a specifica
normativa di uso e valorizzazione ambientale i beni e le aree inclusi
nel vincolo paesistico, attraverso lo strumento dei “piani
paesistici”, ovvero dei “piani urbanistico-territoriali con specifica
considerazione dei valori paesistici ed ambientali”.
L’art. 17 della legge regionale n. 35 del 1987 individua sedici
tipi di zone territoriali, descrivendone le caratteristiche
morfologiche, indicando le parti del territorio che vi sono comprese
e dettando una serie di prescrizioni urbanistiche cui vanno adeguati
i piani regolatori. Per quanto riguarda, in particolare, le zone
territoriali 1/a e 1/b, alla cui regolamentazione si rivolgono le
censure del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, il
comma 3 dell’art. 17 citato chiarisce che la prima di esse – che, ai
sensi del comma 2 dello stesso articolo, va direttamente recepita
nella zonizzazione e normativa dei piani regolatori generali –
comprende “le maggiori emergenze tettoniche e morfologiche che si
presentano con roccia affiorante o talvolta a vegetazione spontanea”,
mentre la zona territoriale 1/b – che fa parte di quelle che dovranno
essere articolate in zone di piano regolatore con normativa che
rispetti le indicazioni dettate dalla stessa legge comprende la parte
del territorio “prevalentemente a manto boscoso o a pascolo, le
incisioni dei corsi d’acqua, alcune aree a colture pregiate di
altissimo valore ambientale”. Le prescrizioni più significative
imposte dal piano con riferimento alle due zone in esame sono volte
alla conservazione integrale del territorio, segnatamente attraverso
la previsione della inedificabilità, sia privata che pubblica.
Quanto al patrimonio edilizio già esistente, nelle predette zone, la
normativa in questione consente interventi di conservazione e
mantenimento di esso, che, per la zona 1/a, sono limitati al solo
restauro conservativo, mentre, per quella 1/b, si estendono anche
alle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria e demolizione
delle superfetazioni, nonché, in misura limitata, all’adeguamento
funzionale degli alloggi. I descritti interventi sono, peraltro,
ammessi solo sugli edifici costruiti fino a tutto il 1955, mentre,
per quelli realizzati in epoca successiva, nessun intervento edilizio
è consentito nella zona 1/a, ed in quella 1/b è ammessa la sola
manutenzione ordinaria, nel rispetto delle norme tecniche contenute
nel titolo IV della stessa legge.
3. – Le ragioni del rigoroso sistema di prescrizioni introdotto
dalla legge in esame risiederebbero nella esigenza, avvertita in modo
pressante dal legislatore regionale – in un momento in cui più acuta
cominciava a rivelarsi, anche per il dilagare dell’abusivismo,
l’attenzione verso la tematica della tutela dell’ambiente in
correlazione alla primarietà dei valori in giuoco – di conservazione
del patrimonio paesaggistico, cui è teleologicamente orientato il
piano urbanistico territoriale nel suo complesso. Ma, pur in un
quadro siffatto, il divieto di quegli interventi di manutenzione
straordinaria, e persino ordinaria nelle zone di maggior pregio,
volti non alla trasformazione del territorio attraverso un ulteriore
incremento edilizio, ma esclusivamente alla conservazione
(manutenzione) del patrimonio già esistente, si configura come una
illegittima compressione del diritto di proprietà, quale
riconosciuto e garantito dall’art. 42 della Costituzione. È pur
vero che il comma 2 dello stesso articolo riserva alla legge la
determinazione dei relativi modi di godimento, e che tale riserva,
per quanto attiene alla normazione conformativa del contenuto dei
diritti di proprietà, allo scopo di assicurarne la funzione sociale,
può trovare attuazione anche in leggi regionali, nell’ambito delle
materie indicate nell’art. 117 della Costituzione (sentt. n. 379 del
1994, e n. 391 del 1989). Tuttavia, le limitazioni e i vincoli
apposti dalla legge non possono superare quella soglia al di là
della quale, come la Corte ha riconosciuto fin dalla sentenza n. 55
del 1968, il sacrificio imposto venga a incidere sul bene, oltre ciò
che è connaturale al diritto dominicale quale viene riconosciuto
nell’attuale momento storico. La privazione della possibilità (in
via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilità
concreta, circa il modo e l’entità degli interventi, con le esigenze
di tutela ambientale), per il titolare del diritto di proprietà su
di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi
quale unica finalità la tutela della integrità della costruzione e
la conservazione della sua funzionalità senza alterare l’aspetto
esteriore dell’edificio, rappresenta certamente una lesione del
contenuto minimo della proprietà. Infatti, l’anzidetto divieto,
così configurato, incide addirittura sull’essenza stessa e sulle
possibilità di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto
del diritto, producendo un inevitabile deterioramento di esso, con
conseguente riduzione in cattivo stato e un progressivo abbandono e
perimento (strutturale e funzionale). Deve, in definitiva,
escludersi la legittimità di una disposizione, quale quella
all’odierno esame, che in tal senso statuisca nei confronti del
proprietario, che, pur non privato formalmente del suo diritto con un
atto di traslazione ad altro titolare, ne veda sostanzialmente
svuotato il contenuto nel modo più irrimediabile e definitivo, e
cioè con il graduale degrado e progressivo perimento del bene
(costruzione), essendogli inibito qualsiasi intervento di
manutenzione, ancorché necessario per la stessa conservazione della
costruzione.
In sostanza, l’impedire l’esecuzione di lavori necessari e
indispensabili per la conservazione o manutenzione del bene conduce
alla graduale inutilizzabilità delle costruzioni in rapporto alla
destinazione inerente alla natura del bene stesso (conforme alle
licenze, concessioni e autorizzazioni previste), e determina il
progressivo venir meno del bene. Nella specie, tanto più
irragionevole appare il divieto contenuto nell’art. 17, comma 3,
della legge della Regione Campania n. 35 del 1987, ove si consideri
che esso è variamente configurato a seconda che gli edifici siano
stati realizzati in epoca anteriore o successiva al 1955 (zona 1/a:
edifici esistenti al 1955, consentito il solo restauro conservativo;
edifici costruiti successivamente, nessuna possibilità di alcun
intervento edilizio; zona 1/b: edilizia esistente al 1955, consentiti
restauro conservativo, manutenzione ordinaria e straordinaria;
edifici costruiti successivamente, sola manutenzione ordinaria).
Nessuna ragionevole giustificazione si rinviene a tale limitazione
temporale, non potendo, fondatamente, sostenersi che le sole
edificazioni anteriori a quella data necessitino di interventi di
manutenzione. Questi, al contrario, possono risultare indispensabili
anche con riferimento ad opere successive, in molti casi anch’esse
caratterizzate da una certa vetustà, e sul cui grado di
conservazione possono, comunque, incidere numerosi fattori, compresa
l’influenza della salsedine. Né vale osservare, come fa la difesa
della regione, che la data del 1955, come limite temporale
discriminante al fine della ammissibilità dell’intervento di
manutenzione, troverebbe fondamento nella considerazione che gli
edifici costruiti fino a quella data sarebbero in armonia con le
bellezze paesistiche tutelate, mentre gli altri sarebbero stati
realizzati “selvaggiamente”. A prescindere da ogni considerazione
sul carattere in ogni caso arbitrario di una tale generalizzazione,
è sufficiente, al riguardo, rilevare che gli edifici di cui si
tratta, suscettibili di interventi, sono quelli legittimamente
esistenti, e, ovviamente, devono essere regolarmente assentiti (fin
dall’origine o con valido condono in sanatoria), dal punto di vista
urbanistico, non potendo trattarsi di costruzioni abusive. Ove
esistano speciali vincoli, devono poi essere assistiti dalle
specifiche autorizzazioni e pareri, ove richiesti. Ciò in quanto,
in caso diverso, l’autorità amministrativa competente sarebbe tenuta
agli interventi repressivi e sanzionatori, ed in nessun caso potrebbe
procedere all’esame di istanze dirette ad abilitazioni per opere di
restauro o di manutenzione di edificio esistente, che presuppongono
necessariamente una preesistente licenza o concessione edilizia,
valida ed operante all’epoca della costruzione, e non oggetto di
successivi interventi repressivi o di annullamento, accompagnata da
tutte le eventuali autorizzazioni o pareri prescritti in caso di
vincolo.
Le suesposte considerazioni portano ad escludere in radice che la
questione coinvolga profili di espropriazione e di indennizzabilità
(pur richiamati dall’ordinanza di rimessione), in quanto, nella
specie, la valutazione della illegittimità della norma impugnata non
è correlata alla mancanza di previsione di indennizzo, ma alla
inammissibilità di un intervento legislativo che, impedendo la
conservazione del bene (costruzione regolarmente assentita), ne
determina la progressiva distruzione.
4. – La esclusione della potestà della regione di imporre in modo
indiscriminato un vincolo così penetrante, con effetti finali di
perimento della costruzione, lungi dal determinare un “abbassamento
della guardia” sul tema della tutela ambientale, impedisce in sostanza
un degrado ed un abbandono ambientale del territorio e delle
(legittime e non abusive) costruzioni che insistono sullo stesso, e
resta necessariamente assistito da una serie di cautele funzionali
proprio a quella tutela. Basti pensare, al riguardo, all’ampiezza
dei poteri in sede di programmazione urbanistica e alla conseguente
responsabilità dei comuni e della regione, agli strumenti di
protezione (valutazione in sede di rilascio delle concessioni sulla
base delle previsioni e standards di piano urbanistico ed
autorizzazioni da parte delle autorità competenti) ed alle sanzioni
previste dal legislatore in modo specifico per le violazioni edilizie
e per la tutela degli interessi ambientali. Inoltre, gli stessi
limiti che il legislatore regionale ha già posto con riferimento
agli interventi edilizi consentiti sugli edifici realizzati fino al
1955, e, per la zona 1/b, indipendentemente dall’epoca di
costruzione, subordinandone l’ammissibilità al rispetto delle norme
tecniche di cui al titolo IV della stessa legge n. 35 del 1987,
debbono valere indiscriminatamente nei confronti della esecuzione
degli interventi edilizi di manutenzione nelle zone 1/a e 1/b. Né è
preclusa la possibilità di impedire le anzidette opere di
manutenzione (attraverso previsioni normative regionali, prescrizioni
negli strumenti urbanistici, rifiuto di autorizzazione o
concessione), quando l’intervento non sia necessario per la
conservazione e mantenimento del bene (secondo la destinazione
originaria prevista, potendosi escludere il cambio di destinazione) o
quando il modo (come ad esempio il colore, i materiali impiegati,
l’alterazione di caratteristiche essenziali, ecc.), o l’entità degli
interventi (che, si sottolinea, non possono alterare lo stato dei
luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici) siano tali da incidere
negativamente sull’equilibrio e sulla conservazione dell’ambiente (ad
esempio, per l’aumento degli utilizzatori). Allo stesso modo, resta
salva la possibilità di individuare altri limiti incisivi, ove
giustificati da esigenze tecniche e di tutela del territorio,
illegittimo essendo, invece, il divieto generalizzato, assoluto ed
indiscriminato che escluda ogni possibilità di opere di
conservazione e di manutenzione (conservazione del bene e della sua
concreta fruibilità) secondo le previsioni di utilizzazione
consentita.
5. – Del resto, la ragionevolezza della sottoposizione degli
interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria ad un regime
meno rigoroso rispetto alle opere edilizie idonee ad immutare le
caratteristiche visibili all’esterno, risulta dalle stesse previsioni
dell’anzidetto decreto-legge n. 412 del 1985, convertito nella legge
n. 431 del 1985. Infatti, l’art. 1, nella parte che ha introdotto il
comma dodicesimo dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,
esclude, per tali interventi, la necessità di richiedere
l’autorizzazione paesistica, salva la responsabilità penale ex art.
1-sexies in caso di modificazioni ambientali. Inoltre, l’art.
1-quinquies, nell’introdurre, come norma di salvaguardia, il divieto
di modificazioni dell’assetto del territorio e quello di opere
edilizie che alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli
edifici divieto, peraltro, temporalmente limitato, in quanto
destinato ad operare solo fino all’adozione, da parte delle regioni,
dei piani paesistici o urbanistico-territoriali di cui all’art.
1-bis dello stesso decreto-legge esclude, tra l’altro, espressamente
dal divieto di opere edilizie gli interventi di manutenzione di cui
si tratta. Analogamente dispone l’art. 1-ter, altra norma di
salvaguardia, che consente alle regioni di individuare, entro
centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del decreto-legge, le aree in cui è vietata, fino
all’adozione dei piani paesistici o urbanistico-territoriali, ogni
modificazione dell’assetto del territorio, nonché qualsiasi opera
edilizia, con esclusione, tra l’altro, degli interventi di
manutenzione di cui si tratta. Le disposizioni di cui al
decreto-legge n. 312 del 1985 hanno carattere di principi
fondamentali, a prescindere dalla qualificazione, contenuta nell’art.
2 della legge di conversione n. 431 del 1985, di norme fondamentali
di riforma economico-sociale, in considerazione dell’oggetto della
normativa, della sua motivazione politico-sociale, del suo scopo, del
suo contenuto (v. sentenze n. 379 del 1994 e n. 151 del 1986).
Sicché, anche il legislatore della Regione Campania, nel
disciplinare il piano urbanistico territoriale dell’area
sorrentino-amalfitana, avrebbe dovuto uniformarsi a tali principi,
del resto generalmente accolti nella legislazione regionale di
settore. Con ciò non si nega, peraltro – al contrario di come sembra
orientarsi il giudice a quo – la competenza specifica della regione,
titolare di attribuzioni in materia urbanistica, a legiferare nella
materia di cui si tratta, con norme di piano urbanistico
territoriale, che coinvolgono necessariamente (quando si vogliono
ottenere gli effetti previsti dal citato art. 1-bis) anche la tutela
del paesaggio e dei valori ambientali per la facoltà attribuita da
legge statale di tenere in specifica considerazione gli anzidetti
valori paesistici ed ambientali. Al riguardo, deve essere ribadito
quanto già affermato da questa Corte (sent. n. 379 del 1994) in
ordine alla “mutualità integrativa” delle due funzioni di
pianificazione paesistica ed urbanistica, quale risultato della più
ampia apertura del concetto di urbanistica e della concezione
“dinamica” del paesaggio, con la conseguenza che la tutela dei valori
paesaggistico-ambientali si realizza anche attraverso la
pianificazione urbanistica. Ciò ha valore a fortiori quando, come
nella specie (legge della Regione Campania n. 35 del 1987),
l’intervento di pianificazione assume la speciale duplice valenza
(urbanistico-ambientale) di piano urbanistico territoriale ex art.
1-bis citato, e, cioè, di piano destinato a guida vincolante della
programmazione urbanistica comunale e, nello stesso tempo, contenente
una specifica considerazione “con imposizioni anche immediate” dei
valori paesistici ed ambientali.
Ciò non vale, peraltro, ad attribuire a tutte le prescrizioni
della legge regionale di cui si tratta valore di tutela paesistico
ambientale, che, invece, va riconosciuto alle prescrizioni relative a
zone soggette a vincolo paesaggistico ambientale (imposto in base ad
atto amministrativo o per le categorie di beni previste dalla legge
n. 431 del 1985).
6. – Restano assorbiti gli altri profili sollevati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 3,
della legge della Regione Campania 27 giugno 1987, n. 35 (Piano
urbanistico territoriale dell’area sorrentino-amalfitana) nella parte
in cui esclude in via generale, per le costruzioni edilizie
legittimamente realizzate nella zona territoriale 1/a, ogni
intervento edilizio di manutenzione ordinaria e straordinaria, e, per
le costruzioni edilizie legittimamente realizzate, in epoca
successiva al 1955, nella zona territoriale 1/b, gli interventi di
manutenzione straordinaria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1995.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Chieppa
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1995.
Il direttore di cancelleria: Di Paola