Sentenza N. 533 del 1995
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1995
Data deposito/pubblicazione
29/12/1995
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/1995
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante
disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di
immobili di civile abitazione, di termini per la definizione
agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione
della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da
depositi e conti correnti interbancari, nonché altre disposizioni
tributarie), promosso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1995 dalla
Commissione tributaria di primo grado di Cremona sul ricorso proposto
da Cesira Gramignola contro l’Intendenza di Finanza di Cremona,
iscritta al n. 305 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale,
dell’anno 1995;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 1995 il Giudice
relatore Massimo Vari;
ordinanza del 22 febbraio 1995 emessa nel giudizio sul ricorso
proposto da Cesira Gramignola contro l’Intendenza di Finanza per
l’impugnativa del silenzio rifiuto formatosi sulla istanza volta ad
ottenere il rimborso dell’imposta pagata sulle plusvalenze conseguite
in occasione di cessione volontaria di terreni classificati dal piano
regolatore in zona F, assoggettati a procedimenti espropriativi, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della
legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, recante disposizioni in
materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di
civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle
situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta
sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti
correnti interbancari, nonché altre disposizioni tributarie), nella
parte in cui fa salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti-legge 28 febbraio 1992, n. 174, 27
aprile 1992, n. 269 e 25 giugno 1992, n. 319.
Ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata rende
“attuali” le questioni di legittimità costituzionale che già si
ponevano al momento della emanazione dei menzionati decreti-legge; in
particolare, quella concernente l’art. 3, lettera a), di detti testi
normativi, che estende ad aree insuscettibili, per definizione, di
utilizzazione edificatoria, e cioè a quelle classificate nella zona
F, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, lo stesso regime di
tassabilità che l’art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991,
limitava alle plusvalenze conseguite sulle aree destinate ad opere
pubbliche e ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee
di tipo A, B, C e D, di cui al medesimo decreto ministeriale 2 aprile
1968, in ragione dell’aumento di valore delle aree stesse “a seguito
della classificazione operata dagli strumenti urbanistici”.
Si determinerebbe, in tal modo, una disparità di trattamento fra
il proprietario che vende aree classificate nella predetta zona F sul
libero mercato, che risulta sottratto, ai sensi dell’art. 81, lettera
b), seconda parte, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, a qualsiasi
tassazione a fini IRPEF, e il proprietario che subisce
l’espropriazione di aree simili, per l’effettuazione proprio degli
impianti di interesse generale cui le aree stesse sono vincolate;
proprietario che sull’indennità ricevuta subisce la tassazione in
relazione alle plusvalenze conseguite.
2. – Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la
inammissibilità o, in subordine, l’infondatezza della questione.
Secondo l’Avvocatura, la questione relativa alla asserita
disparità di trattamento è inammissibile (e anche infondata) per
inesatta individuazione del tertium comparationis: è infatti
arbitrario assumere per tale soltanto la seconda parte della lettera
b) dell’art. 81 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, contenente il
testo unico delle imposte sui redditi, senza considerare la prima
parte che, con disposizione di portata generale, prevede la
tassazione delle plusvalenze infraquinquennali. E questo senza dire
che le due discipline messe a confronto sono “reciprocamente
autonome”, in quanto per le aree incluse nella zona F la vicenda
normale è quella espropriativa, e non l’alienazione sul libero
mercato. Si deduce, inoltre, l’inammissibilità della questione sotto
il profilo della violazione dell’art. 53 della Costituzione, posto
che il remittente dubita non della sussistenza della capacità
contributiva, ma solo del diverso trattamento di capacità
contributive ipotizzate “pari”, onde il dubbio riguarda unicamente
l’art. 3 della Costituzione. Si assume che i terreni posti in zona F
sono pur sempre “suscettibili di utilizzazione edificatoria”, sicché
non v’è ragione per escludere le conseguenti plusvalenze dalle
imposte sui redditi, non senza osservare che, comunque, il dubbio del
remittente è, semmai, prospettabile in senso contrario, giacché è
proprio la disposizione che si vorrebbe assumere a tertium
comparationis ad apparire di dubbia costituzionalità, in relazione
agli artt. 3 e 53 della Costituzione, non potendosi escludere dalla
imposizione la capacità contributiva espressa da plusvalenze
comunque realizzate. Ovviamente tale questione di legittimità
costituzionale potrà essere incidentalmente sollevata, innanzi a
sé, dalla Corte stessa.
l’ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n.
75, nella parte in cui fa salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti
giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 28 febbraio 1992, n.
174, 27 aprile 1992, n. 269 e 25 giugno 1992, n. 319, ed in
particolare sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera a), dei
decreti-legge medesimi. Si tratta della disposizione, contenuta nei
vari decreti-legge testé citati, nessuno dei quali convertito in
legge, che aveva il fine di estendere alle aree classificate nella
zona F, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, la tassabilità
delle plusvalenze conseguite nell’ambito o in occasione di procedure
espropriative, che l’art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991,
limitava, invece, ai terreni destinati ad opere pubbliche e ad
infrastrutture urbane, all’interno delle zone omogenee di tipo A, B,
C e D, di cui al citato decreto ministeriale 2 aprile 1968.
2. – Il remittente lamenta violazione degli artt. 3 e 53 della
Costituzione, in quanto la disposizione denunciata sarebbe in
contrasto con la ratio dell’art. 11, comma 5, della legge n. 413 del
1991, essendo le aree classificate in zona F insuscettibili di
utilizzazione edificatoria. Di qui una disparità di trattamento, a
parità di capacità contributiva, fra il proprietario che vende aree
classificate in zona F sul libero mercato, il quale andrebbe esente
ai sensi della seconda parte della lettera b) dell’art. 81 del d.P.R.
22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dall’art. 11, comma 1,
lettera f), della legge n. 413 del 1991 da qualsiasi tassazione a
fini IRPEF, e il proprietario che subisce l’espropriazione di aree
consimili, che vede sottoposte a tassazione le plusvalenze
conseguite.
3. – In via pregiudiziale, l’Avvocatura dello Stato eccepisce
l’inammissibilità della questione, per inesatta individuazione del
tertium comparationis, a suo avviso arbitrariamente identificato
nell’art. 81, lettera b), seconda parte del d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917, senza tener conto della prima parte della disposizione in
parola che contempla, in via generale, la tassabilità delle
plusvalenze infraquinquennali.
L’eccezione non può essere accolta, in quanto il giudice
remittente ha puntualmente formulato la questione indicando la norma
rispetto alla quale si verificherebbe, a suo avviso, la disparità di
trattamento, mentre l’idoneità di questa a porsi quale tertium
comparationis rispetto alla disposizione denunciata è problema che
attiene al merito della questione e non alla sua ammissibilità.
Va respinta anche l’altra eccezione sollevata dall’Avvocatura, la
quale ritiene che la questione sarebbe inammissibile per il profilo
che attiene alla lamentata violazione dell’art. 53 della
Costituzione. Non si può, infatti, condividere l’avviso che,
essendo prospettato dal remittente un diverso trattamento di
capacità contributive “pari”, il dubbio riguarderebbe solo l’art. 3
della Costituzione. È sufficiente ricordare, infatti, in ordine alla
pertinenza del richiamo fatto dall’ordinanza all’art. 53,
l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale, secondo il quale
tale articolo costituisce uno specifico sviluppo del principio
dell’art. 3 della Costituzione.
4. – La questione non è fondata.
Il legislatore, prevedendo, con l’art. 11, comma 5, della legge 30
dicembre 1991, n. 413, la tassazione delle plusvalenze derivanti da
indennità di esproprio o da corrispettivi di cessioni volontarie nel
corso di procedimenti ablatori, ha teso ad assoggettare ad una
medesima uniforme disciplina sia il trasferimento coattivo di terreni
rientranti nelle aree urbane classificabili, secondo gli strumenti
urbanistici, quali zone omogenee di tipo A, B, C e D, sia la cessione
negoziale di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria,
anch’essa considerata fonte di plusvalenze tassabili, dal comma 1,
lettera f), del medesimo art. 11 che, in questo senso, ha provveduto
a modificare l’art. 81, lettera b), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917, contenente il testo unico delle imposte sui redditi (v. al
riguardo la sentenza di questa Corte n. 315 del 1994).
Si tratta di una scelta legislativa che trova la sua ragione nel
fatto che, secondo un principio ormai pacificamente accolto dalla
giurisprudenza, anche di questa Corte, in materia di indennizzi,
l’indennità di esproprio dei terreni localizzati in zone urbane è
divenuta un serio ristoro del bene espropriato e va pertanto
commisurata ai valori di edificabilità che i terreni avrebbero avuto
se non fossero stati vincolati ed espropriati. Di ciò danno conferma
anche i lavori preparatori della legge, esattamente richiamati dal
giudice remittente, dai quali si desume, infatti, che si è inteso
recuperare a tassazione somme che hanno consentito ai soggetti
espropriati un realizzo prossimo al valore corrente di mercato, per
terreni i cui prezzi sono lievitati non a seguito di una attività
produttiva del proprietario, bensì per l’avvenuta destinazione
edificatoria in sede di pianificazione urbanistica.
Orbene, nell’ambito della correlazione così stabilita fra ipotesi
di cessione di terreni in occasione di procedimenti ablatori e di
cessione negoziale, si colloca, contrariamente a quanto ipotizza il
remittente, anche la disposizione denunciata, che fa salvi gli
effetti dei decreti-legge decaduti che hanno esteso alle aree
classificate in zona F la disciplina dell’art. 11, comma 5, della
legge n. 413 del 1991, giacché anche i terreni che fanno parte, dal
punto di vista degli strumenti urbanistici, della zona F, per essere
destinati ad insediamenti di interesse generale, possono conseguire,
per obiettiva collocazione nell’ambito delle zone urbane,
l’indennizzo espropriativo proprio dei terreni dotati di
suscettibilità edificatoria. La inclusione della zona F tra quelle
tassabili non appare, pertanto, in contrasto con la ratio dell’art.
11, comma 5, della legge n. 413 del 1991.
D’altronde, sono proprio tali caratteristiche delle aree rientranti
nella zona F a fare escludere che il proprietario che venda aree
consimili sul libero mercato resti sottratto a qualsiasi tassazione a
fini IRPEF, ai sensi della seconda parte della lettera b), dell’art.
81 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, contrariamente all’assunto
del giudice a quo e alle conseguenze che il medesimo ne trae sul
piano della disparità di trattamento a danno del proprietario che
subisca l’espropriazione di aree site nella stessa zona. Nella
disposizione indicata quale tertium comparationis la quale sottopone
a tassazione “le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a
titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria
secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”
ben possono rientrare anche le cessioni negoziali di aree destinate
ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno della zona
omogenea di tipo F, come del resto mostra di ben conoscere lo stesso
remittente quando afferma che, per tali cessioni, il proprietario
può riuscire a conseguire un prezzo maggiore “data la persistenza di
una speranza edificatoria”. In effetti, come si evince da consolidata
giurisprudenza, l’attitudine all’utilizzazione edificatoria secondo
gli strumenti urbanistici vigenti è strettamente collegata, in
presenza di piano regolatore, alla qualificazione assegnata all’area
dal piano medesimo.
Da ciò discende che, anche in caso di cessione negoziale di aree
incluse nella zona F, sussiste la riconducibilità della fattispecie
all’ipotesi di cui alla seconda parte della lettera b), dell’art. 81
del d.P.R. n. 917 del 1986, sicché non si può ritenere sussistente
la lamentata disparità di trattamento.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 2, della legge 24 marzo 1993, n. 75 (Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n.
16, recante disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui
trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la
definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la
soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti
derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonché altre
disposizioni tributarie), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53
della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di
Cremona, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1995
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1995.
Il direttore di cancelleria: Di Paola