Sentenza N. 56 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1980
Data deposito/pubblicazione
22/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott.
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
comma primo, del d.l. 27 giugno 1967, n. 460 (disciplina transitoria
delle locazioni di immobili urbani), convertito, con modificazioni, in
legge 28 luglio 1967, n. 628 e dell’art. 7, comma quarto, della legge
26 novembre 1969, n. 833 (norme relative alle locazioni degli immobili
urbani), modificata dall’articolo 56 del d.l. 26 ottobre 1970, n. 745,
convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034, promossi con le seguenti
ordinanze:
1) ordinanza emessa il 21 maggio 1975 dal tribunale di Brescia nel
procedimento civile vertente tra Gatti Beniamino e Bonetta Mario,
iscritta al n. 494 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 320 del 3 dicembre 1975;
2) ordinanza emessa il 6 giugno 1974 dal tribunale di Roma nel
procedimento civile vertente tra Gasparrini Claudio e l’Istituto
Bancario Italiano S.p.A., iscritta al n. 728 del registro ordinanze
1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 del
19 gennaio 1977.
Visto l’atto di costituzione dell’Istituto bancario italiano,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore
Antonino De Stefano;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 6 giugno 1974 nel procedimento civile,
in grado di appello, avente ad oggetto il diritto al blocco del canone
di locazione di immobile urbano adibito all’esercizio di attività
commerciale, vertente tra Gasparrini Claudio e l’Istituto bancario
italiano S.p.A., il tribunale di Roma ha sollevato d’ufficio,
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dell’art. 7 della legge 26 novembre 1969, n. 833. nella
parte in cui, attribuendo al conduttore la possibilità di dimostrare
il proprio reddito mediante la produzione di un certificato attestante
la sua iscrizione a ruolo ai fini dell’imposta complementare dovuta per
l’anno 1969, non riconosce al locatore la facoltà di provare
l’inattendibilità dell’accertamento fiscale.
Ad avviso del giudice a quo, la denunciata norma viola il principio
di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, in quanto
attribuisce al conduttore la possibilità di dimostrare le proprie
condizioni economiche mediante la produzione di un certificato
amministrativo insindacabile, mentre nega al locatore la facoltà della
prova contraria, creando così una differenza di trattamento non
giustificata. La stessa norma, inoltre, appare in contrasto con l’art.
24 della Costituzione, perché si risolve in una violazione del diritto
di difesa, attribuendo all’accertamento fiscale valore vincolante,
senza riconoscere al locatore la facoltà di provare l’inattendibilità
dell’accertamento medesimo.
Nel giudizio dinanzi alla Corte, relativo a tale ordinanza, si è
costituito soltanto l’Istituto bancario italiano, rappresentato e
difeso dall’avvocato Vincenzo Marone, il quale ha sostenuto che la
norma denunciata non necessiterebbe di espressa dichiarazione
d’incostituzionalità, in quanto le espressioni in essa contenute sono
identiche a quelle dell’art. 6, comma secondo, della stessa legge n.
833 del 1969, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 132 del
1972, ignorata dal tribunale, ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo, al pari degli artt. 1, comma secondo, e 3, comma terzo,
della medesima legge, nella parte in cui non riconoscono al locatore il
diritto di provare che il conduttore gode di un reddito superiore a
quello risultante dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare
per l’anno 1969. Ha chiesto, pertanto, che la Corte dichiari
inammissibile la questione sollevata, essendosi già pronunciata, e in
subordine che la dichiari infondata.
2. – Con ordinanza emessa il 21 maggio 1975 nel procedimento
civile, in grado di appello, avente ad oggetto il diritto alla proroga
di un contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso di
abitazione, vertente tra Gatti Beniamino e Bonetta Mario, il tribunale
di Brescia ha sollevato d’ufficio, ritenendola rilevante e non
manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale,
in riferimento agli articoli 3, comma primo, e 24, comma secondo, della
Costituzione, dell’art. 3, comma primo, del d.l. 27 giugno 1967, n.
460, convertito con modificazioni in legge 28 luglio 1967, n. 628.
Si tratta, come specifica l’ordinanza, della locazione di un
appartamento composto di vani abitabili in numero inferiore a quello
dei componenti la famiglia del conduttore, quale risultante dai
registri anagrafici alla data del 1 gennaio 1967; mentre il
proprietario deduce, chiedendo di provarlo anche con testi, che alla
data dello sfratto l’appartamento era abitato dal solo conduttore.
Secondo il giudice a quo la denunciata norma viola gl’indicati
parametri costituzionali, sia perché, mentre consente al conduttore di
giovarsi di un indice di affollamento determinato sulla base delle sole
risultanze anagrafiche, non riconosce al locatore il diritto di provare
che i componenti la famiglia del conduttore, che realmente occupano
l’immobile, sono in numero diverso e minore rispetto a quelli
risultanti dai registri anagrafici; e sia perché nega rilevanza alle
variazioni eventualmente intervenute nella composizione della famiglia
del conduttore dopo il 1 gennaio 1967.
Nel giudizio dinanzi alla Corte, relativo a tale ordinanza, è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocato generale dello Stato, il quale ha concluso per
l’infondatezza della proposta questione, osservando che – in assenza
nella legislazione vincolistica di una espressa deroga al principio che
consente al giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi
illegittimi – ben può il locatore contestare le risultanze
anagrafiche, offrendo la prova contraria, sicché resta tutelato il suo
diritto di difesa.
1. – Le ordinanze in epigrafe sottopongono alla Corte le seguenti
questioni:
A) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione – l’art. 7 della legge 26 novembre
1969, n. 833, nella parte in cui, in tema di blocco dei canoni di
locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione, attribuendo al conduttore la possibilità di dimostrare le
proprie condizioni economiche mediante la produzione di un certificato
attestante la sua iscrizione a ruolo, ai fini dell’imposta
complementare per l’anno 1969, per un reddito non superiore a sei
milioni di lire, negherebbe al locatore la facoltà di fornire la prova
della inattendibilità dell’accertamento fiscale (ordinanza del 6
giugno 1974 del tribunale di Roma);
B) se sia costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli
artt. 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione – l’art.
3, comma primo, del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito con
modificazioni in legge 28 luglio 1967, n. 628, nella parte in cui
subordina la proroga dei contratti di locazione di immobili urbani
adibiti ad uso di abitazione a un indice di affollamento determinato
dividendo il numero dei componenti la famiglia, risultante dai registri
anagrafici alla data del 1 gennaio 1967, per il numero dei vani
abitabili, in quanto:
a) non riconoscerebbe al locatore il diritto di provare che i
componenti la famiglia del conduttore, che realmente occupano
l’immobile, sono in numero diverso e minore rispetto a quelli
risultanti dai registri anagrafici;
b) negherebbe rilevanza alle variazioni eventualmente intervenute
nella composizione della famiglia del conduttore dopo il 1 gennaio 1967
(ordinanza del 21 maggio 1975 del tribunale di Brescia).
2. – Stante la connessione delle sollevate questioni, i giudizi
vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.
3. – Le due ordinanze sono state emesse anteriormente all’entrata
in vigore (30 luglio 1978) della legge 27 luglio 1978, n. 392, che ha
dettato nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani. Peraltro,
la Corte rileva che, in virtù dell’art. 82 della sopravvenuta legge,
ai giudizi in corso alla data anzidetta continuano ad applicarsi ad
ogni effetto le norme precedenti, come quelle denunciate, sulle quali,
quindi, ritiene di portare il suo esame, senza richiedere ai giudici a
quibus conferma della rilevanza delle sollevate questioni.
4. – La questione puntualizzata alla lett. A) del precedente n. 1,
deferita dal tribunale di Roma, è fondata.
Con la sentenza di questa Corte n. 132 del 1972 è stata già
dichiarata la illegittimità costituzionale, per contrasto con gli
artt. 3 e 24 della Costituzione, di altre norme della medesima legge n.
833 del 1969, come modificate dall’art. 56 del d.l. 26 ottobre 1970, n.
745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034, anch’esse nella
parte in cui non riconoscono al locatore il diritto di provare che il
conduttore gode di un reddito superiore a quello risultante
dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per l’anno 1969. E
precisamente: l’art. 1, comma secondo (ai fini della inapplicabilità
della proroga dei contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad
uso di abitazione); l’art. 3, comma terzo (ai fini della
inapplicabilità della riduzione dei canoni di locazione degli stessi
immobili non soggetti a regime di blocco); l’art. 6, comma secondo (ai
fini della inapplicabilità della proroga dei contratti di locazione di
immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione). In
particolare, in quest’ultima norma si riscontra la identica espressione
(“quando il conduttore o il subconduttore siano iscritti, ai fini
dell’imposta complementare per l’anno 1969, per un reddito superiore ai
sei milioni di lire”), adoperata nel quarto comma dell’art. 7 ora
denunciato, ai fini della inapplicabilità del blocco o della riduzione
dei canoni di locazione dei medesimi immobili.
Alla dichiarazione di illegittimità delle menzionate norme questa
Corte allora pervenne, osservando che l’accertamento fiscale trasferito
in un procedimento avente carattere e finalità assai differenti, può
avere soltanto valore dimostrativo e, come tale, va soggetto
all’apprezzamento del giudice: innanzi al quale la tutela del diritto
controverso deve essere pienamente garantita dal regolare
contraddittorio e dalla ammissione della prova contraria, che
rappresentano mezzi essenziali per la ricerca della verità e per
l’attuazione della giustizia. Tali ragioni (di poi adottate nella
successiva sentenza di questa Corte n. 225 del 1976, per la
dichiarazione di illegittimità costituzionale di analoghe norme
succedutesi nel tempo) sono egualmente valide per dichiarare adesso la
illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, del citato art. 7 della legge 26 novembre 1969, n. 833,
nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di provare che
il conduttore o subconduttore gode di un reddito superiore a quello
risultante dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per
l’anno 1969.
5. – Del pari fondata è la questione di cui alla lett. B) del
precedente n. 1, sollevata dal tribunale di Brescia.
Con l’art. 1 del d.l. 27 giugno 1967, n. 460, convertito con
modificazioni in legge 28 luglio 1967, n. 628, l’alternativa, per gli
alloggi composti da tre o più vani abitabili, tra cessazione della
proroga legale alla data del 31 dicembre 1967 o protrazione del vincolo
fino al 30 giugno 1969, veniva messa in correlazione, tra l’altro, con
un indice di affollamento inferiore ad uno, nel primo caso, o pari o
superiore ad uno, nel secondo. La stessa alternativa era posta, dal
successivo art. 2, per il blocco dei canoni di locazione. L’indice di
affollamento, a termini del primo comma dell’art. 3 dello stesso
provvedimento, veniva determinato dividendo il numero dei componenti la
famiglia, risultante dai registri anagrafici alla data del 1 gennaio
1967, per il numero dei vani abitabili. E per famiglia si prescriveva
(art. 3, comma secondo) dovesse intendersi la “famiglia anagrafica”,
come definita dall’art. 2 del d.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136, e cioè
“un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela,
affinità, adozione, affiliazione, tutela o da vincoli affettivi,
coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune, che
normalmente provvedono al soddisfacimento dei loro bisogni mediante la
messa in comune di tutto o parte del reddito di lavoro o patrimoniale
da esse percepito”.
Ora, non v’ha dubbio che la consistenza del nucleo familiare possa
desumersi con obiettiva certezza da una documentazione proveniente dai
registri anagrafici; ma può anche darsi, ovviamente, che la effettiva
situazione non coincida, per infedeli dichiarazioni o per intervenuti
mutamenti, non denunciati, nella composizione della famiglia o nella
convivenza, con quanto figuri negli atti anagrafici. IL che trova
conferma, se pur ve ne fosse bisogno, nello stesso ordinamento delle
anagrafi della popolazione, che prevede appunto accertamenti d’ufficio,
qualora si dubiti della verità dei fatti denunciati o si venga a
conoscenza di fatti che comportino la istituzione o la mutazione di
posizioni anagrafiche, per i quali non siano state rese le prescritte
dichiarazioni (artt. 4 e 5 legge 24 dicembre 1954, n. 1228, e artt. 11
e 13 regolamento di esecuzione approvato con il cit. d.P.R. n. 136 del
1958). La normale coincidenza tra posizione anagrafica e reale
situazione familiare ben può, dunque, restare alterata per effetto di
negligente od illecito comportamento (omessa o non veridica denuncia)
del capo famiglia, o di inerzia od inefficienza dell’ufficiale di
anagrafe. Le stesse ragioni innanzi richiamate contro la
irrefragabilità delle risultanze fiscali nell’ambito dei rapporti
locatizi, valgono, pertanto, per riconoscere al locatore il diritto di
fornire la prova contraria anche nei confronti delle risultanze
anagrafiche, e per dichiarare in conseguenza la illegittimità, sempre
per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, della denunciata
norma che ciò non consente.
6. – La stessa norma è poi censurata dal giudice a quo anche nella
parte in cui cristallizza le risultanze anagrafiche “alla data del 1
gennaio 1967”. Come si è già accennato, proroga dei contratti di
locazione e blocco dei relativi canoni, per gli alloggi composti di tre
o più vani abitabili, venivano protratti fino al 30 giugno 1969
(anziché fino al 31 dicembre 1967) qualora l’indice di affollamento
fosse pari o superiore ad uno: s’intendeva così apprestare più
estesa tutela a quei nuclei familiari che disponessero di alloggi
appena sufficienti per le loro esigenze abitative. Concorreva,
peraltro, con siffatto requisito (di poi obliterato nelle leggi
vincolistiche successive alla legge n. 833 del 1969), anche quello
delle modeste condizioni economiche, prescrivendosi all’uopo che il
reddito annuo del conduttore e degli altri componenti la famiglia
anagrafica non superasse determinati importi (due milioni e
cinquecentomila lire per la proroga, tre milioni per il blocco), quali
desunti dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per l’anno
1967 (artt. 1, comma terzo, e 2, comma secondo, d.l. n. 460 del 1967,
come modificato dalla legge di conversione n. 628 del 1967). Ma con le
già ricordate sentenze di questa Corte n. 132 del 1972 e n. 225 del
1976, relative a successiva normativa vincolistica, non soltanto
l’accertamento dell’entità del reddito è stato svincolato dal rigido
collegamento con le risultanze fiscali, ma è stata, altresì,
dichiarata la illegittimità costituzionale della normativa medesima,
nella parte in cui non attribuiva rilevanza alle variazioni di reddito
del conduttore eventualmente sopravvenute.
Non vi è, però, ragione che lo stesso principio, valido per l’un
requisito (condizioni economiche), non debba egualmente esserlo per
l’altro (indice di affollamento): comune, invero, è la considerazione
che nei rapporti locatizi i parametri di supporto del trattamento di
maggior favore per il conduttore non possano rimanere ancorati ad una
determinata data, ma debbano, per non dar luogo ad irrazionali
differenze, trovar riscontro anche nella situazione esistente al
momento in cui si decide del diritto alla proroga del contratto od al
blocco del relativo canone. Non è, dunque, sufficiente, nella
fattispecie normativa all’esame della Corte, che il richiesto indice di
affollamento sia verificato al 1 gennaio 1967, occorrendo che esso
anche successivamente permanga, a giustificare così il perdurare del
vincolo. Va, perciò, dichiarata la illegittimità, sempre per
contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, del denunciato art.
3, comma primo, del d.l. n. 460 del 1967, anche nella parte in cui non
attribuisce rilevanza alle variazioni eventualmente sopravvenute nella
composizione della famiglia anagrafica del conduttore o subconduttore
dopo il 1 gennaio 1967, fino al definitivo accertamento in sede di
merito delle condizioni giustificative del vincolo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, quarto
comma, della legge 26 novembre 1969, n. 833 (norme relative alle
locazioni degli immobili urbani), modificata dall’articolo 56 del d.l.
26 ottobre 1970, n. 745, convertito in legge 18 dicembre 1970, n. 1034,
nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di provare che
il conduttore o subconduttore gode di un reddito superiore a quello
risultante dall’iscrizione nei ruoli dell’imposta complementare per
l’anno 1969;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma
primo, del d.l. 27 giugno 1967, n. 460 (disciplina transitoria delle
locazioni di immobili urbani), convertito con modificazioni in legge 28
luglio 1967, n. 628:
a) nella parte in cui non riconosce al locatore il diritto di
provare la diversa composizione della famiglia anagrafica del
conduttore o subconduttore rispetto a quella risultante dai registri
anagrafici;
b) nonché nella parte in cui non attribuisce rilevanza alle
variazioni eventualmente sopravvenute nella composizione della famiglia
anagrafica del conduttore o subconduttore dopo il 1 gennaio 1967, fino
al definitivo accertamento in sede di merito delle condizioni
giustificative del vincolo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere