Sentenza N. 57 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
06/07/1965
Data deposito/pubblicazione
06/07/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/06/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO
MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE
FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI — Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO, Giudici,
Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile
1964 dal Tribunale di Brescia nel procedimento penale a carico di Lodi
Adolfo, iscritta al n. 113 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 169 dell’11 luglio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 12 maggio 1965 la relazione del
Giudice Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con ordinanza del 2 aprile 1964, emessa nel procedimento penale
contro Lodi Adolfo, il Tribunale di Brescia ha sollevato, su richiesta
della difesa, la questione di legittimità costituzionale della norma
contenuta nell’art. 173 del Codice di procedura penale, relativa alla
notificazione degli atti all’imputato renitente (che cioè non si
presenti a rendere l’interrogatorio senza un legittimo impedimento),
con riferimento all’art. 24 della Costituzione.
Nell’ordinanza si osserva che, secondo detta norma, l’imputato
renitente viene equiparato, agli effetti della notificazione degli atti
processuali, al latitante od all’evaso, nonostante l’esistente
disparità di situazioni in relazione alla volontarietà del
comportamento, che per il renitente può dipendere anche da cause
indipendenti dalla sua volontà. Si rileva, altresì, che la disciplina
adottata dal legislatore, secondo la quale per l’imputato renitente le
notificazioni vengono eseguite, a termini del capoverso dell’art. 170
del Codice di procedura, mediante deposito in cancelleria, rappresenta
una misura di carattere indiscriminato e sanzionatorio, la quale,
tenuto conto delle conseguenze che ne scaturiscono, lede,
sostanzialmente, attraverso il mancato intervento dell’imputato, il suo
diritto alla difesa, riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione.
L’ordinanza è stata regolarmente comunicata, notificata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 dell’11
luglio 1964. Nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale
dello Stato, la quale, nell’atto di intervento del 16 maggio 1964,
contesta la fondatezza della questione, rilevando, innanzi tutto, che
il giudice o il P. M. deve provvedere a nominare un difensore
all’imputato renitente, che ne sia privo; il che già porterebbe ad
escludere la assenta violazione del diritto di difesa. Osserva, poi,
che, anche nel caso in cui l’imputato, per circostanze non dipendenti
dalla sua volontà, non abbia potuto dare comunicazione del legittimo
impedimento, le conseguenze sono facilmente eliminabili facendo ricorso
agli strumenti di una comune diligenza, nulla vietando che si ponga
rimedio all’inconveniente con la successiva presentazione al giudice,
senza che il diritto di difesa venga per nulla pregiudicato. E conclude
rilevando che una eventualità del tutto accidentale e raramente
possibile a verificarsi nella pratica non può condurre ad una grave
conseguenza, quale sarebbe quella della illegittimità della norma.
Secondo l’ordinanza di rimessione, il diritto di difesa garantito
dall’art. 24 della Costituzione sarebbe violato nella ipotesi in cui –
secondo la norma dell’art. 173 del Codice di procedura penale – le
notificazioni all’imputato che non si sia presentato per
l’interrogatorio, si eseguono mediante deposito nella cancelleria o
nella segreteria, a termini del primo capoverso dell’art. 170.
L’ordinanza, adduce, a sostegno della tesi della illegittimità
della norma, una particolare ipotesi di fatto, che non rientra nella
previsione legislativa dell’art. 173 e che perciò non puo avere alcuna
importanza ai fini della decisione della questione proposta. Il caso
dell’imputato il quale non riesca a dare tempestivamente notizia al
giudice del legittimo impedimento, va esaminato sotto altri aspetti,
perché allorquando sussista il legittimo impedimento e la mancata
presentazione non sia, quindi, volontaria, non si può configurare uno
stato di renitenza; e la questione si sposta nella ricerca dei
possibili rimedi rispetto alla difficoltà in cui si sia trovato
l’imputato di portare a conoscenza del giudice l’impedimento.
L’art. 173 presuppone un volontario comportamento dell’imputato, il
quale, avendo ricevuto regolare notifica del mandato o dell’ordine non
si presenti per l’interrogatorio, e rinunci quindi implicitamente a
prospettare le sue difese. La norma impugnata, va esaminata pertanto
sotto questo aspetto.
La questione è fondata.
La norma impugnata ha il carattere di una sanzione per un
comportamento processuale dell’imputato. Pur essendo reperibile nel suo
domicilio, il renitente non gode del diritto di ricevere notizia degli
atti processuali nella forma di notificazione prevista dall’art. 169
del Codice di procedura penale, soltanto per non avere ubbidito
all’ordine del giudice di presentarsi per l’interrogatorio. Alla forma
di notificazione adottata per coloro che possono in qualunque momento
essere rintracciati, viene sostituita – senza plausibile motivo –
quella del deposito degli atti, la quale non dà la stessa certezza di
conoscibilità da parte del destinatario, importando solamente una
presunzione legale di conoscenza. Il che costituisce una ingiustificata
diminuzione di garanzie del diritto di difesa.
Mentre per il latitante o l’evaso la notifica ai sensi dell’art.
170 del Codice di procedura penale non comporta la limitazione di alcun
diritto, in quanto essi si sono resi irreperibili ed hanno quindi posto
la giustizia in condizioni di dovere – in mancanza di altra
possibilità – ricorrere a questa forma di notificazione, lo stesso non
può dirsi per l’imputato renitente.
La notificazione degli atti processuali è uno strumento necessario
ed indispensabile per instaurare il contraddittorio e per dar modo
all’imputato di provvedere alla sua difesa. Questa esigenza
fondamentale non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui pur essendo
possibile adottare una forma di notificazione tale da portare il
contenuto dell’atto nella effettiva sfera di conoscibilità del
destinatario, si faccia ricorso ad altra forma di notifica, dalla quale
deriva una semplice presunzione legale di conoscenza.
Pertanto, la norma impugnata, che – senza necessità e senza che ne
ricorrano i presupposti – prescrive per il renitente la notificazione a
termini dell’art. 170, primo capoverso, del Codice di procedura penale,
limita la garanzia del diritto di difesa per ciò che attiene alla
instaurazione del contraddittorio, ponendosi così in contrasto con
l’art. 24 della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara, in riferimento all’art. 24 della Costituzione,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 173 del Codice di procedura
penale, nella parte in cui dispone che le notificazioni all’imputato
renitente si eseguono mediante deposito nella cancelleria o nella
segreteria a termini del primo capoverso dell’art. 170.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – ANTONIO MANCA – ALDO
SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA – MICHELE
FRAGALI – COSTANTINO MORTATI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.