Sentenza N. 57 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1980
Data deposito/pubblicazione
22/04/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/04/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott.
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di
immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 7 marzo 1979 dal
Pretore di Carpi, nel procedimento civile vertente tra Vaccari Rosa e
Barbato Maria ed altri, iscritta al n. 409 del registro ordinanze 1979
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 182 del 4
luglio 1979.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore
Brunetto Bucciarelli Ducci;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso di un procedimento civile promosso da tale Vaccari Rosa,
locatrice, contro i conduttori di un suo appartamento al fine di
ottenerne il rilascio esercitando il diritto di recesso ai sensi degli
artt. 58 e 59, n. 1, della legge n. 392/78, il Pretore di Carpi ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e secondo comma,
della Costituzione, questione incidentale di legittimità dell’art. 59
suddetto, nella parte in cui esclude il recesso del locatore nei
confronti dei conduttori che percepiscono un reddito annuo superiore
agli 8 milioni di lire. Osserva il giudice a quo che la discriminazione
operata a vantaggio dei conduttori più abbienti appare irrazionale,
così come posto in luce in altre numerose precedenti ordinanze di
rimessione. Soggiunge il Pretore di Carpi che ciò contrasterebbe anche
con il secondo comma dell’art. 3 Cost., perché non assicurerebbe una
eguale partecipazione dei cittadini ai diritti previsti dalla
Costituzione, tra cui è fondamentale quello al godimento
dell’abitazione.
La stessa ordinanza censura l’estensione del c.d. rito del lavoro
alle azioni di recesso per necessità (artt. 30 e 46 legge n. 392/78,
in relazione ai successivi artt. 58 e 59), in riferimento agli artt. 3
e 24, primo e secondo comma Cost., assumendo che tale procedura,
adottata per avvantaggiare il lavoratore, parte più debole nel
relativo rapporto contrattuale, non è giustificatamente apprestata a
favore del locatore, parte più forte nel rapporto di locazione,
contrastando quindi anche con il disposto del secondo comma dell’art. 3
della Carta.
Ad avviso del giudice a quo, sul piano della difesa in giudizio del
diritto soggettivo del singolo, la deroga ai comuni principi
processuali non è sorretta da alcun argomento razionale. Ciò
emergerebbe anche dalla circostanza che la più sollecita procedura è
oggi ammessa a tutela di una nozione di necessità meno rigorosa di
quella prevista dalla precedente disciplina, e che in materia di
rilascio il locatore può ottenere un titolo esecutivo in maniera molto
più rapida. Non sarebbero quindi più ravvisabili né ragioni di
politica sociale né di tecnica legislativa a sorreggere l’innovazione
impugnata, attesoché, in materia, già soccorreva, sotto il secondo
profilo, il procedimento per convalida di sfratto. La estensione del
nuovo rito si tradurrebbe in un irrazionale privilegio per il locatore,
parte forte del contratto, con menomazione di tutela sostanziale e
giudiziale del conduttore, onde la denunciata violazione degli articoli
3, primo e secondo comma, e 24, primo e secondo comma, della
Costituzione.
È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con atto di deduzioni depositato il 13 luglio 1979, chiedendo
dichiararsi l’infondatezza di entrambe le questioni sollevate.
Osserva la difesa dello Stato, richiamandosi alle argomentazioni
svolte ripetutamente in precedenti giudizi (poi definiti con sentenza
n. 22 del 1980), che la denuncia formulata per pretesa violazione
dell’art. 3 Cost., appare infondata, sostanzialmente per la non
omogeneità delle distinte ipotesi prese in considerazione, con
conseguente legittimità del prospettato trattamento differenziato.
Per quanto attiene alla censura rivolta all’applicabilità in
subiecta materia della procedura del lavoro, disposta dagli impugnati
artt. 30 e 46 della legge n. 392/78, denunciati in riferimento agli
artt. 3 e 24 Cost., l’Avvocatura generale chiede ne sia dichiarata
l’infondatezza per l’assoluta erroneità dei presupposti da cui muove
l’ordinanza del Pretore di Carpi.
Invero si nega che il c.d. rito del lavoro abbia introdotto una
tutela differenziata a favore di uno dei soggetti processuali, il
lavoratore, parte più debole nel rapporto fatto valere in giudizio,
con la conseguente mancanza di giustificazione dell’estensione della
maggiore tutela al locatore, che si assume essere la parte più forte
nel rapporto di locazione. Infatti il nuovo processo del lavoro è
ispirato al criterio direttivo di realizzare la giustizia nel modo più
efficace e pronto, evitando che il ritardo nella conclusione dei
processi possa tradursi, come spesso accadeva, in un sostanziale
diniego di giustizia.
Pertanto apparirebbe evidente l’insostenibilità della tesi
supposta dal giudice a quo, secondo cui il nuovo rito introdurrebbe un
processo in contrasto con i principi costituzionali che garantiscono
pari e adeguata difesa in giudizio a tutti i cittadini.
1. – La Corte costituzionale è chiamata a decidere se contrasti o
meno con l’art. 3 della Costituzione, l’art. 59 della legge n. 392 del
1978 (o meglio il combinato disposto degli artt. 58,59, n. 1, e 65 di
tale legge), nella parte in cui esclude il diritto di recesso del
locatore nei confronti dei conduttori il cui reddito annuo sia
superiore agli otto milioni di lire, pur ammettendolo verso i
conduttori titolari di contratti già soggetti a proroga, in quanto
percettori di un reddito inferiore.
Sono altresì denunciati, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e
secondo comma, Cost., gli artt. 30 e 46 della legge n. 392/78 (in
relazione agli artt. 58 e 59 stessa legge), dubitandosi che
l’estensione della particolare procedura propria del “rito del lavoro”
alla facoltà di recesso del locatore sia la più idonea a
salvaguardare i diritti delle parti nel rapporto di locazione, giacché
il locatore avrebbe una tutela irrazionalmente privilegiata sia in sede
di cognizione sia in sede di esecuzione, mentre non sussisterebbero le
ragioni giustificatrici – garanzia del contraente più debole – che ne
avevano resa necessaria l’introduzione nelle controversie di lavoro.
Occorre ulteriormente vagliare alla stregua della ordinanza di
rimessione se la censurata estensione del nuovo rito del lavoro alle
controversie ora indicate, contrasti, o meno, anche con il principio,
di cui al secondo comma dell’art. 3 Cost., per il dubbio che non
rimuova gli ostacoli di ordine economico rispetto al diritto
all’abitazione.
2. – La prima censura è stata accolta da questa Corte con la
sentenza n. 22 del 1980, che ha già dichiarato l’illegittimità
costituzionale del disposto normativo denunciato dal giudice a quo. La
relativa questione, giusta la costante giurisprudenza della Corte, va
pertanto dichiarata manifestamente infondata, essendo già stata
dichiarata illegittima la norma impugnata.
3. – La seconda questione sollevata appare non fondata.
Occorre innanzitutto rilevare che il giudice a quo muove da
un’interpretazione del nuovo rito del lavoro che è stata ampiamente
confutata sia in dottrina sia da parte di questa Corte, principalmente
con la sentenza n. 13 del 1977.
Con tale decisione, mentre è stato escluso che i caratteri
innovativi di tale procedura, e le deroghe a quella ordinaria,
potessero costituire violazione degli artt. 3 e 24 Cost. per
un’asserita tutela privilegiata di una delle parti in causa, si è
posta in luce quanto al processo di cognizione la realizzazione “nella
concreta dialettica del nuovo processo del lavoro, di una perfetta
simmetria di posizione tra le parti”.
Da ciò consegue l’inesistenza della prospettata differenza di
tutela, ed il riconoscimento che la estensione, entro determinati
limiti, del nuovo rito del lavoro, alle controversie in materia di
locazione, intende soltanto realizzare una più sollocita definizione
dei relativi giudizi. Il perseguimento di detto scopo, ch’è frutto di
una ragionevole scelta di politica legislativa, appare quindi conforme
agli invocati principi costituzionali che vogliono assicurare la pari
tutela giudiziale dei diritti. Quanto poi alla fase di esecuzione il
giudice a quo ha omesso di specificare quale sarebbe la normativa
applicabile alla locazione e quale ne sarebbe la rilevanza nel giudizio
di cui è investito.
Per quanto attiene, infine, alla pretesa violazione del secondo
comma dell’art. 3 Cost., è difficilmente ipotizzabile che il
legislatore possa rimuovere gli ostacoli di ordine economico esistenti
in tema di abitazione, adottando o perpetuando una disciplina
processuale più lenta. Altri sono, infatti, gli strumenti utilizzabili
a questo scopo apprestati dal legislatore: a titolo meramente
esemplificativo, possono enumerarsi l’istituto del fondo sociale – di
cui agli artt. 75 ss. citata legge sull’equo canone – e quelli previsti
dai più recenti provvedimenti normativi per incentivare la costruzione
di nuovi immobili o almeno assicurare l’assegnazione o la locazione di
case agli sfrattati, da parte di Enti pubblici, o anche i sussidi
disposti a favore degli inquilini morosi.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 58, 59,
n. 1, e 65 della legge n. 392/1978, sollevata in riferimento all’art. 3
Cost., in quanto la normativa impugnata è stata già dichiarata
illegittima con sentenza n. 22 del 1980;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 30 e 46 (in relazione agli artt. 58 e 59) della legge
sull’equo canone n. 392/1978, sollevata, in riferimento agli artt. 3,
primo e secondo comma, e 24 della Costituzione, con l’ordinanza n.
409/1979 in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere